Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11768 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11768 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18714-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 74/2022 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 10/06/2022 R.G.N. 173/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Lavoro privato Violazione dovere fedeltà
R.G.N. 18714/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
RILEVATO CHE
1. il Tribunale di Brescia, decidendo sui ricorsi riuniti proposti dalla società RAGIONE_SOCIALEora RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME, dipendente con mansioni di impiegata amministrativa sino alle dimissioni rassegnate nel marzo 2018, respingeva l’opposizione della società al decreto ingiuntivo ottenuto dalla lavoratrice per la somma di € 15.247,48 a titolo di retribuzione di marzo 2018, assegni familiari, spettanze di fine rapporto e TFR e, al contempo, respingeva le domande della società di condanna della lavoratrice al risarcimento del danno derivante da condotta infedele e alla restituzione di maggiori compensi percepiti;
2. la Corte d’Appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, svolta istruttoria anche testimoniale, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’appellata al pagamento della somma di € 35.595, oltre accessori, ritenendo, a fronte di elenco preciso e analitico di singole voci di danno da parte della società, le affermazioni della stessa sufficientemente specifiche e idonee a identificare sia la condotta inadempiente di controparte, sia la natura e l’articolazione del pregiudizio patito; precisamente, ritenuto provato il diritto della società ad essere risarcita dalla lavoratrice per il danno economico derivante da condotta inadempiente della stessa nella misura di € 47.280,41, e, al contempo, il diritto dell’appellata di percepire sulla b ase dell’ultima busta paga l’importo netto di € 11.685, operata la compensazione tra i rispettivi crediti e debiti nel rapporto di dare-avere tra le parti derivante dal contratto di lavoro, condannava l’appellata a versare all’appellante la differenza tra le due somme;
3. per la cassazione della sentenza d’appello NOME COGNOME ricorre con 3 motivi; resiste la società con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 2105 c.c., per avere la Corte territoriale travisato la normativa, ritenendo i comportamenti addebitati riconducibili al danno aquiliano, anziché a quello contrattuale, comportamenti a beneficio di soggetto terzo (l’ex -amministratore delegato), con duplicazione di poste risarcitorie;
con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale omesso di assegnare considerazione probatoria, senza aver assunto alcun riferimento in motivazione, alla testimonianza di NOMECOGNOME
con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art . 91 c.p.c., per non avere la Corte territoriale seguito il principio di soccombenza nella statuizione sulla liquidazione delle spese processuali, stante l’abuso processuale di controparte;
il primo motivo non è fondato;
nella motivazione della gravata sentenza non si rinviene il denunciato errore di diritto; invero, è stata accertata in fatto la violazione dei doveri di diligenza e fedeltà derivanti dal rapporto di lavoro; sulla base di tale accertamento è stata ritenuta provata la responsabilità della lavoratrice nel pagamento di fatture per prestazioni non nell’interesse della società, quale comportamento direttamente riconducibile alle sue responsabilità lavorative; il corrispondente danno da violazione
dei doveri derivanti dal contratto di lavoro è stato precisamente quantificato nei limiti della prova raggiunta; è stata operata la compensazione atecnica tra le rispettive partite di dare-avere derivanti dal medesimo rapporto di lavoro, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che ha chiarito che, quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico, ancorché complesso, rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione propria, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale (Cass. n. 26365/2024; v. anche Cass n. 6700/2024);
il secondo motivo non è ammissibile in sede di legittimità;
spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni; infatti, il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021);
il terzo motivo è infondato;
la statuizione sulle spese contestata risulta in linea con quanto da ultimo espresso da Cass. S.U. n. 32061/2022, ossia
che, in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c. (non ravvisati in concreto);
10. in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
11. al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, e dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 30 gennaio 2025.