Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8646 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8646 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22579-2021 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 94/2021 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 03/03/2021 R.G.N. 379/2019;
Oggetto
Doppia ratio decidendi
R.G.N.22579/2021
COGNOME
Rep.
Ud.17/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Corte di appello di Messina, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di NOME COGNOME volta ad ottenere la reiscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli, per gli anni 2011 e 2012, con conseguente accertamento dell’indebito comunicato il 16 gennaio 2017.
La Corte territoriale, in via preliminare, ha circoscritto il perimetro della lite all’anno 2011; quindi, a fondamento della decisione, ha ritenuto maturata la decadenza sostanziale del diritto, ai sensi dell’art. 22 del D.L. nr. 7 del 1970.
Il disconoscimento del rapporto era stato notificato, con il terzo elenco nominativo trimestrale del 2014, a mezzo pubblicazione telematica sul sito Internet dell’istituto, dal 15 dicembre 2014 al 10 gennaio 2015. Tardiva era dunque l’azione proposta con ricorso depositato il 2 gennaio 2018.
La decadenza era maturata, comunque, anche a prescindere dalla notifica della cancellazione dagli elenchi, avvenuta con la suddetta pubblicazione. Con nota del 16 gennaio 2017, ritualmente comunicata al ricorrente il 27 gennaio 2017, l’Inps aveva evidenziato che erano stati corrisposti trattamenti di famiglia non dovuti per difetto dei requisiti richiesti per l’iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli. Per i giudici territoriali, il provvedimento conteneva «un richiamo chiaro ed esplicito ad una mutata situazione in virtù della quale (era) venuta meno la precedente iscrizione del ricorrente negli elenchi». Dal 27 gennaio 2017, era, pertanto, senz’altro iniziato a decorrere il termine di trenta giorni per proporre ricorso in sede amministrativa e, stante il
suo inutile decorso per la mancata proposizione dello stesso, quello decadenziale di 120 giorni per la proposizione dell’azione giudiziale, scaduto il 28 giugno 2017.
Avverso tale pronuncia, la parte indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura. L ‘INPS ha resistito, con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso -formulato ai sensi dell’art. 360 nr 3 cod.proc.civ.è dedotta la violazione o falsa applicazione del codice dell’Amministrazione digitale nonché dell’art. 2712 cod.civ. Secondo la ricorrente, la documentazione prodotta dall’Inps sarebbe del tutto inidonea a dimostrare l’avvenuta pubblicazione telematica della cancellazione dagli elenchi per l’anno 2011.
Con il secondo ed il terzo motivo – entrambi formulati ai sensi dell’art. 360 nr.5 cod.proc.civ. -è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. L’omissione è , nel complesso, riferita alla nota del 16 gennaio 2017. La ricorrente assume la genericità dell’atto e la sua inidoneità ai fini della decorrenza del termine di decadenza da ll’azione giudiziale.
I motivi sono inammissibili.
Come sinteticamente riportato nello storico di lite, la Corte territoriale ha ritenuto che il termine di decadenza decorresse:
-dalla pubblicazione telematica del provvedimento di cancellazione;
«in ogni caso» dalla comunicazione della nota INPS con cui l’ E nte ha rappresentato l’indebito e le ragioni che lo giustificavano.
Si è in presenza di una doppia ratio decidendi perché ciascuna argomentazione è astrattamente idonea a sostenere il
decisum. Il Giudice, infatti, ben può, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esaminare ed accogliere anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione nel caso in cui la prima dovesse risultare erronea (Cass. n. 17182 del 2020; Cass. n. 10815 del 2019).
I motivi (secondo e terzo) che investono la seconda ratio decidendi non sono riconducibili allo schema normativo di cui al l’art. 360 nr. 5 c.p.c. La nota del 16 gennaio 2017 è stata esaminata dai giudici di merito e, pertanto, le censure, per come sviluppate, sono estranee al paradigma censorio evocato che richiede « l’omesso esame » del fatto decisivo e controverso.
I rilievi, a ben vedere, riguardano l’interpretazione del documento e non considerano l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino critiche in ordine all’interpretazione di documenti, è necessario che siano dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza, che non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni.
Ciò comporta il passaggio in giudicato della motivazione che ha fissato al 27 gennaio 2017 il momento di «conoscenza» del provvedimento lesivo dei diritti soggettivi e, quindi, il dies a quo di decorrenza dei termini rilevanti ai fini del regime decadenziale.
Di conseguenza, diviene inammissibile anche il primo motivo che investe l’altra ratio decidendi. Divenuta definitiva la precedente motivazione, le censure che investono l ‘a ccertamento di avvenuta pubblicazione telematica del
provvedimento di cancellazione, in nessun caso, potrebbero produrre l’annullamento della sentenza (tra le tante, Cass. nr. 17182 del 2020; Cass. nr. 10815 del 2019; Cass. nr. 7499 del 2019; in motivazione: Cass. nr. 3989 del 2024; Cass. nr. 19471 del 2023).
Nulla deve provvedersi in ordine alle spese, sussistendo, nella specie (ove si controverte anche di ripetizione di somme erogate), le condizioni per l’esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (Cass. nr. 10038 del 2024 con richiamo a Cass. nr. 37973 del 2022, in motiv.).
Sussistono, invece, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025