Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26032 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 26032 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24494-2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 661/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2021 R.G.N. 3336/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/07/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
Altre ipotesi di diritto privato
R.G.N. 24494/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 08/07/2025
CC
Il Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’ex dipendente NOME COGNOME diretta alla restituzione della somma di euro 17.941,11 corrispostagli a titolo di anticipazione di competenze relative al periodo 2008 e dal l’1.1.2009 al 31.1.2009.
La società aveva dedotto che il versamento era avvenuto, come per altri dipendenti, al fine di evitare al lavoratore l’onere finanziario derivante dalla doppia imposizione fiscale e che tale somma avrebbe dovuto essere restituita, maggiorata di accessori dalla messa in mora, non costituendo un aumento di retribuzione.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 661/2021, in accoglimento del gravame della società e in riforma della pronuncia di primo grado, condannava NOME COGNOME al pagamento dell’importo di euro 17.941,11, oltre interessi come richiesti.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) si era formato un giudicato interno in ordine al rigetto della domanda di pagamento richiesta a titolo di ripetizione dell’indebito, respinta in prime cure e non censurata in appello; b) per il principio della doppia imposizione per i redditi percepiti all’estero dai lavoratori, per i quali nel Paese terzo i redditi stessi vengono già tassati alla fonte, l’art. 165 d.P.R. n. 917 del 1986 consente al contribuente, al fine di sterilizzare la tassazione subita anche nel Paese di residenza fiscale, di usufruire di un credito per le imposte pagate all’estero, di talché gli è consentito di detrarre dalla imposta dovuta in Italia le imposte già versate all’estero a condizione che tale pagamento fosse avvenuto a titolo definitivo e fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito
complessivo; c) non era condivisibile l’assunto del primo giudice secondo cui tale meccanismo era soggetto ad un termine di decadenza, non essendo ammissibile una interpretazione analogica della disposizione di legge; d) l’art. 15 del TUIR non poneva alcun limite temporale per azionare il credito di imposta se non quello della definitività del pagamento dell’imposta all’estero e che il calcolo fosse riferito all’anno di competenza; e) nella fattispecie, alla data di consegna dei certificati di definitività da parte della società e della richiesta di restituzione delle somme anticipate a titolo di pagamento delle imposte che il lavoratore avrebbe dovuto versare in Italia, il credito fiscale non era ancora prescritto e, quindi, la società aveva diritto ad ottenere le somme versate a titolo di anticipo.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione dell’art. 38 d.P.R. n. 602/1973 in relazione agli artt. 15 co. 3 e 165 co. 7 d.P.R. 917/86 (TUIR), per avere errato la Corte di appello nel ritenere che, per azionare il diritto di portare in detrazione le imposte sul reddito pagate all’estero, non sussisteva alcun termine di decadenza ma solo quello della prescrizione decennale. Si sostiene che, nel caso di specie, non si trattava del diritto di porre in detrazione le imposte bensì di un diritto al rimborso
di somme per duplicazione delle imposte, espressamente previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, di talché la relativa istanza poteva essere avanzata, a pena di decadenza, solo nel termine di 48 mesi dal versamento (come chiarito dalla Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Parma in merito alla istanza presentata da esso ricorrente) e ciò non era stato possibile perché i certificati di definitività dell’RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE erano stati consegnati solamente in data 13.5.2014 allorquando erano già maturati appunto i termini di decadenza per ottenere il rimborso delle somme relative al 2008 ed erano prossimi a scadere (16.6.2014) quello riguardante il mese di lavoro dell’anno 2009.
Il motivo non è fondato.
L’art. 165 TUIR (e la precedente versione dell’art. 15 co. 3 del TUIR) prevedono e regolano il meccanismo della detrazione fiscale per ottenere il recupero delle somme pagate a titolo di doppia tassazione dei redditi percepiti dai lavoratori all’estero.
Il problema della decadenza è stato, dai giudici di merito, sia pure con diverse decisioni, messo in relazione proprio alla possibilità, per il contribuente, di effettuare, la detrazione fiscale.
Nella censura, invece, il ricorrente prospetta di avere chiesto il rimborso (e non di avere portato in detrazione) delle imposte duplicate per effetto della doppia imposizione alla Agenzia delle Entrate che lo ha negato richiamando l’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 che prevede testualmente il termine di decadenza di quarantotto mesi.
Orbene, osserva il Collegio che, a prescindere dal fatto che l’art. 165 TUIR regola, come detto, la possibilità di detrarre le imposte duplicate e non di chiedere il rimborso (che sono
istituti del diritto tributario sostanzialmente diversi), la questione della decadenza rapportata ad un possibile diritto al rimborso è una questione nuova, non affrontata dalla Corte territoriale la quale, come il Tribunale, ha valutato la problematica della decadenza, come chiesto in prime cure, unicamente in relazione alla possibilità di operare la detrazione delle somme duplicate.
La questione di chiedere invece il rimborso, in quanto nuova, non può essere esaminata per la prima volta in questa sede (Cass. n. 14477/2018).
Con il secondo motivo si censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 113 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere la Corte territoriale omesso l’esame e la pronuncia sulla domanda con la quale aveva chiesto alla Corte di appello di dichiarare di non essere titolare di alcun credito di imposta, in quanto aveva ricevuto da RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE le somme oggetto di causa a titolo di retribuzione contrattuale a norma dell’art. 3 del contratto inter partes , in difetto di diversa pattuizione.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
Invero, il ricorrente lamenta l’omesso esame di una questione, riguardante la natura retributiva delle somme ricevute oggetto di richiesta di restituzione da parte della società e prospettata alla Corte di appello con la memoria di costituzione (e non con appello incidentale condizionato), senza specificare se la stessa sia stata o meno prospettata in primo grado e/o se sul punto vi sia stata una pronuncia del primo giudice onde desumere la sussistenza di un rigetto implicito ovvero la ipotesi di una domanda nuova, non ammissibile in appello ex art. 345 cpc.
Il ricorrente, nella articolazione della doglianza, non ha offerto alcun dato utile per una completa ricostruzione processuale della istanza onde verificare, quindi, se effettivamente vi sia stato un vizio di omessa pronuncia o di omessa motivazione da parte dei giudici di seconde cure, con la conseguenza che mancano gli elementi decisivi per valutare la consistenza e pertinenza del denunciato vizio.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’8 luglio 2025
La Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME