Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21873 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21873 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18366/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2084/2023 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 23/6/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che:
con sentenza resa in data 23/6/2023, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti da NOME COGNOME in conseguenza dell’aggressione fisica illecitamente condotta dallo COGNOME ai danni dell’at tore;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva rilevato l’avvenuta piena dimostrazione, da parte del COGNOME, tanto del fatto illecito ascritto a carico dello COGNOME, quanto delle conseguenze dannose effettivamente sofferte dall’attore;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione; NOME COGNOME resiste con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma prima, n. 5 c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione inesistente o solamente apparente e/o carenza di motivazione e/o contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte d’appello, così come il Tribunale, ritenuto vera la versione dei fatti avanzata dall’attore di primo grado senza che quest’ultimo ne avesse fornito la prova e comunque in assenza di indizi gravi, precisi e concordanti, e per non aver consentito all’odierno ricorrente di dimostrare i fatti come da lui esposti e per non avere
considerato le puntuali critiche da lui svolte in ordine al ‘quadro indiziario’ ricostruito dal giudice di primo grado;
il motivo è nel suo complesso infondato;
dev’essere preliminarmente rilevata l’inammissibilità di tutte le censure avanzate dal ricorrente con riferimento al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., avendo la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado sulla base delle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto indicate a fondamento della decisione impugnata, e dovendo trovare applicazione, al caso di specie, il divieto di cui all’art. 348ter c.p.c. (disposizione che ha trovato continuità normativa nel nuovo art. 360, quarto comma, c.p.c. introdotto dal d.lgs. n.149/2022), per cui, in presenza di una doppia decisione conforme in fatto, il ricorso per cassazione può proporsi esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 360;
parimenti inammissibili devono ritenersi le censure qui illustrate con riferimento alla pretesa violazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c., risolvendosi le stesse nella sostanziale prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
al riguardo, è appena il caso di rilevare come le censure illustrate dal ricorrente non contengano alcuna denuncia del paradigma di cui all’art. 2697 c.c. e di quello di cui all’art. 115 c.p.c., essendosi lo stesso limitato a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;
sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, per cui la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le
regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costituivi ed eccezioni (evenienza esclusa nel caso di specie, in cui il giudice ha dato atto dell’effettiva acquisizione di riscontri probatori sufficienti in relazione alla dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria proposta dall’originario attore), mentre per denunciare violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. occorre che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove addotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma – cioè dichiarando di non doverla osservare -, o contraddicendola implicitamente – cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c. -, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla ‘ valutazione delle prove ‘ (cfr. S.U., Sentenza n. 20867 del 30/9/2020, Rv. 659037 e già Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01);
da ultimo, deve ritenersi totalmente infondata la censura del ricorrente sul preteso carattere apparente della motivazione della sentenza: il giudice d’appello , infatti, ha dato conto in modo analitico e coerente degli elementi di carattere probatorio (diversi dalla sola considerazione della sentenza di patteggiamento della pena applicata a carico dell’odierno istante) nel loro complesso idonei a confermare la
versione dei fatti sulla base della quale l’originario attore aveva fondato la propria domanda;
correlativamente, la corte territoriale ha spiegato in modo altrettanto analitico e coerente come la versione dei fatti prospettata dal convenuto dovesse ritenersi totalmente contraddetta dalle evidenze legate alle conseguenze lesive accertate a carico della vittima, sì che del tutto irrilevanti – sia pure per implicito – dovevano ritenersi le istanze istruttorie avanzate dal convenuto per accreditare una versione dei fatti palesemente smentita dalle evidenze processuali già acquisite;
si tratta, nel complesso, di un elaborato motivazionale pienamente coerente sul piano logico e corretto in termini giuridici, tale da sottrarsi integralmente alle censure di apparenza e di contraddittorietà avanzate dal ricorrente;
quanto ai vizi concernenti l’asserita pretermissione, da parte dei giudici del merito, delle istanze istruttorie avanzate dal ricorrente, è appena il caso di sottolineare come questo abbia totalmente omesso di articolare alcuna argomentazione in ordine agli eventuali contenuti (e al relativo carattere eventualmente decisivo) di tali mezzi di prova, con la conseguente inammissibilità della censura illustrata, in ragione della relativa radicale irrilevanza;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 445 c.p.p. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. per avere – sostanzialmente e di fatto – ritenuto efficace nel giudizio civile la sentenza in sede penale emessa a seguito di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo n. 3 c.p.c., per aver ritenuto veritiera la versione dei fatti posta dall’attore in primo grado a
fondamento della propria domanda ed aver posto a fondamento della decisione fatti non dimostrati; omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. per non aver esaminato i fatti esposti dall’odierno ricorrente a propria difesa, in particolare le argomentazioni esposte dall’odierno ricorrente a dimostrazione che le circostanze indicate dal giudice di primo grado non possono essere ritenute indizi gravi precisi e concordanti; nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione inesistente o solamente apparente e/o carenza di motivazione e/o contraddittorietà della motivazione in ordine alle circostanze ritenute immotivatamente indizi gravi, precisi e concordanti dal giudice di primo grado e dal giudice di secondo grado e in ordine alle argomentazioni esposte dall’odierno ricorrente a dimostrazione che le circostanze indicate dal primo giudice non possono essere ritenute indizi gravi precisi e concordanti;
il motivo è infondato;
anche in relazione a tale censura dev’essere preliminarmente rilevata l’inammissibilità di tutte le doglianze avanzate dal ricorrente con riferimento al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., avendo la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado sulla base delle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, indicate a fondamento della decisione impugnata, e dovendo trovare applicazione, al caso di specie, il divieto di cui all’art. 348ter c.p.c., ut supra già considerato;
parimenti inammissibili devono ritenersi le censure concernenti la pretesa violazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c., risolvendosi le stesse nella sostanziale prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base di un’impostazione
critica non consentita in sede di legittimità, così come già diffusamente rilevato in corrispondenza della decisione del primo motivo;
priva di fondamento, inoltre, deve ritenersi la censura concernente l’attribuzione di una qualche valenza probatoria alla sentenza di patteggiamento della pena applicata a carico dell’odierno ricorrente, avendo la Corte d’appello espressamente sottolineato come il primo giudice avesse rinvenuto elementi probatori sufficienti a confermare la versione dei fatti accreditata dall’attore prescindendo totalmente dalla valutazione di tale sentenza;
da ultimo, deve ritenersi totalmente infondata la censura del preteso carattere apparente della motivazione: varrà anche qui ribadire come la corte territoriale abbia dato conto in modo analitico e coerente degli elementi di carattere probatorio (diversi dalla sola considerazione della sentenza di patteggiamento della pena applicata a carico dell’odierno istante) nel loro complesso idonei a confermare la versione dei fatti sulla base della quale l’originario attore aveva fondato la propria domanda;
correlativamente, la corte territoriale ha spiegato in modo altrettanto analitico e coerente come la versione dei fatti prospettata dal convenuto dovesse ritenersi totalmente contraddetta dalle evidenze legate alle conseguenze lesive accertate a carico della vittima, sì che del tutto irrilevanti (sia pure per implicito) dovevano ritenersi le istanze istruttorie del convenuto asseritamente volte ad accreditare una versione dei fatti palesemente smentita dalle evidenze processuali;
si tratta, nel complesso, di un elaborato motivazionale pienamente coerente sul piano logico e corretto in termini giuridici, tale da sottrarsi integralmente alle censure di apparenza e di contraddittorietà avanzate dall’odierno ricorrente;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo n. 3 c.p.c.; omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c.; nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione inesistente o solamente apparente e/o carenza di motivazione e/o contraddittorietà della motivazione; violazione e/o falsa applicazione del principio della preponderanza dell’evidenza;
il motivo è infondato;
anche qui dev’essere preliminarmente rilevata l’inammissibilità di tutte le doglianze avanzate dal ricorrente con riferimento al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., avendo la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado sulla base delle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, indicate a fondamento della decisione impugnata, e dovendo trovare applicazione, al caso di specie, il divieto di cui all’art. 348ter c.p.c. di cui si è già detto sopra;
parimenti inammissibili devono ritenersi le censure concernenti la pretesa violazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c., risolvendosi le stesse nella sostanziale prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità, così come già diffusamente rilevato in corrispondenza della decisione del primo motivo;
al medesimo profilo di inammissibilità -essendo dirette a prospettare una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove -devono essere ricondotte le considerazioni critiche avanzate riguardo alla pretesa violazione del principio della preponderanza dell’evidenza
in relazione al tema della causa riferita all’anosmia lamentata dall’attore ;
da ultimo, deve ritenersi totalmente infondata la censura di apparenza della motivazione in relazione all’anosmia accertata a carico della vittima: la corte territoriale, infatti, ha dato conto in modo analitico e coerente degli elementi di carattere probatorio nel loro complesso idonei a confermare la derivazione causale de ll’anosmia lamentata dall’attore come conseguenza dell’ accertato illecito;
si tratta, anche in relazione a tale aspetto della decisione di merito, di un elaborato motivazionale pienamente coerente sul piano logico e corretto in termini giuridici, tale da sottrarsi integralmente alle censure di apparenza e di contraddittorietà avanzate dall’odierno ricorrente;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c.; omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c.; nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione inesistente o solamente apparente e/o carenza di motivazione e/o contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte d’appello, così come il Tribunale, ritenuto che tutte le spese medico-farmaceutiche di cui alla documentazione prodotta dall’attore in primo grado quale doc. 2 fosse riconducibili alle lesioni da lui subite in conseguenza dei fatti per cui è causa;
il motivo è infondato;
anche in relazione a tale censura dev’essere preliminarmente rilevata l’inammissibilità di tutte le doglianze avanzate dal ricorrente con riferimento al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.,
avendo la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado sulla base delle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, indicate a fondamento della decisione impugnata, e dovendo trovare applicazione, al caso di specie, il divieto di cui all’art. 348ter c.p.c., ut supra considerato;
parimenti inammissibili devono ritenersi le censure concernenti la pretesa violazione degli artt. 2697 c.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c., risolvendosi le stesse nella sostanziale prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità, così come già diffusamente rilevato in corrispondenza della decisione del primo motivo;
al medesimo profilo di inammissibilità -essendo dirette a prospettare una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove -devono essere ricondotte le considerazioni critiche sulla riconducibilità causale delle spese medico-farmaceutiche riconosciute in favore della vittima de ll’illecito dello COGNOME;
da ultimo, deve ritenersi totalmente infondata la censura sul preteso carattere apparente della motivazione in relazione alla riconducibilità causale delle spese medico-farmaceutiche riconosciute in favore della suddetta vittima: la corte territoriale, infatti, ha dato conto in modo analitico e coerente degli elementi di carattere probatorio nel loro complesso idonei a confermare detta derivazione causale; e ciò, sulla base di un elaborato motivazionale pienamente coerente sul piano logico e corretto in termini giuridici, tale da sottrarsi integralmente alle censure di apparenza e di contraddittorietà;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
ricorrono, in considerazione della totalmente irragionevole implausibilità degli argomenti difensivi racchiusi nel ricorso, i presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, della somma equitativamente determinata nell’importo di euro 5.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., nonché per la condanna del ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma equitativamente determinata nell’importo di euro 2.500,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, c.p.c.;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.000,00, oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori come per legge, nonché a corrispondere al controricorrente la somma di euro 5.000,00 ex art. 96, co. 3, c.p.c. e alla Cassa delle ammende, la somma di euro 2.500,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, c.p.c.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione