Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12762 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12762 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23212/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOME, in proprio e in qualità di erede di COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Piedimonte Matese (CE), INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato nello studio dell’avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 2592/2023, resa dalla Corte d’Appello di
Napoli, depositata il 07/06/2023 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME NOME e COGNOME NOME convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, COGNOME NOME e COGNOME NOME, perché venissero condannati a rendere la loro costruzione conforme alle norme di attuazione del Piano di fabbricazione, a eliminare la cubatura realizzata sulla striscia di terreno di loro proprietà, a rispettare le altezze di copertura del loro fabbricato tali da non superare quelle dell’edificio degli attori, a demolire le opere realizzate in violazione delle distanze, a risarcire i danni subiti per tutte le altre violazioni delle norme urbanistiche da essi commesse e a ordinare di rendere il fronte del fabbricato di nuova costruzione più basso della media dei fronti dei fabbricati racchiusi nel cerchio del raggio di 50 mt. dal centro del lotto per il principio del ribaltamento ex d.m. 16/1/1966 e s.m.i..
Al riguardo, dedussero che avevano trasferito ai predetti, con atto pubblico di permuta del 4/6/2002, la porzione immobiliare facente parte del fabbricato di vecchia costruzione, sito in Piedimonte Matese, INDIRIZZO già INDIRIZZO mentre questi ultimi avevano trasferito loro un terreno con destinazione urbanistica, sito nel medesimo Comune, INDIRIZZO, con l’obbligo, gravante su questi ultimi, di realizzare a loro cura e spese un muro di delimitazione dell’altezza di mt. 2,00; che, con scrittura privata intercorsa tra essi, questi ultimi avevano dichiarato di intendere demolire e ricostruire o ristrutturare il fabbricato di loro proprietà, sito nella medesima INDIRIZZO mentre gli attori si erano impegnati a sottoporre a vincolo di inedificabilità la zonetta di
terreno avente destinazione urbanistica in favore di quest’ultimo fabbricato; e che i convenuti avevano utilizzato anche la cubatura consentita nella zonetta di terreno di cui all’atto di permuta, senza averne alcun diritto, avevano violato le altezze prescritte dal d.m. 16/1/1996, quelle dei balconi e la normativa antisismica sulle distanze e non avevano realizzato i posti auto per i due appartamenti.
Si costituirono COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo il rigetto delle avverse pretese e spiegando anche domanda riconvenzionale ex art. 96 cod. proc. civ..
Il Tribunale, con sentenza n. 1848/2017, accolse parzialmente le domande attoree, condannando COGNOME NOME e COGNOME NOME all’arretramento del fabbricato come indicato nella c.t.u., respinse le altre richieste avanzate dalle parti, ivi compresa la domanda riconvenzionale, pose le spese di c.t.u. al 50 % a carico dei contendenti e compensò le spese di lite per la metà, ponendo a carico dei convenuti il residuo.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, in proprio e in qualità di unico erede della madre NOMECOGNOMENOME nelle more deceduta, che chiese, in via principale, il rigetto del gravame e propose appello incidentale sulla reiezione delle domande relative alla cessione della cubatura effettuata in un presunto atto di permuta tra le parti, con la sentenza n. 2592/2023, con la quale la Corte d’Appello di Napoli respinse l’appello principale e quello incidentale, compensando le spese del grado.
Avverso questa sentenza COGNOME NOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. COGNOME NOME resiste con controricorso.
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
Occorre innanzitutto dichiarare l’inammissibilità del controricorso, in quanto depositato in data 11/1/2024, a distanza di oltre quaranta giorni dalla notifica del ricorso avvenuta il 20/11/2023, dovendo trovare applicazione la modifica dell’art. 370 cod. proc. civ., operata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, entrato in vigore il 1/1/2023 e applicabile ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dalla medesima data, in virtù della quale la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo con controricorso non più da notificare al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, ma da depositare entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso, non potendo, in mancanza, presentare neppure memorie, ma solo partecipare alla discussione orale.
2.1 Venendo al merito, con il primo motivo di ricorso, preliminarmente e in rito, il ricorrente lamenta l’insussistenza della (eventuale) dichiarazione di inammissibilità ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., meglio precisata rispetto all’ipotesi di “doppia conforme ai sensi dell’art. 348ter , commi 4 e 5, cod. proc. civ., articolo abrogato dal d. lgs. 1 ottobre 2022 n.149 (c.d. “riforma Cartabia”), come modificato dalla legge 29 dicembre 2022 n. 197,
sostenendo che, con la riforma c.d. Cartabia, l’inammissibilità per c.d. doppia conforme poteva ravvisarsi soltanto in caso di totale corrispondenza delle due sentenze di primo e secondo grado e sull’identità di iter logico -argomentativo in relazione ai medesimi fatti di causa, situazione questa non verificatasi nella specie, posto che mentre il Tribunale aveva fondato la decisione sul fatto che l’accordo sulla violazione di norme inderogabili, come in caso di distanze dai confini, fosse comunque nullo, indipendentemente dalla sottoscrizione del progetto, che la parte avesse prestato il consenso solo in ordine alla maggior distanza risultante dal progetto, ma non anche a quella effettiva dal confine accertata dal c.t.u., che non si applicasse il principio della prevenzione e che, nella specie, vi fosse stata la violazione delle distanze prescritte dal Programma di Fabbricazione del Comune di Piedimonte Matese, la Corte d’Appello aveva, invece, fondato la decisione sul fatto che la concessione edilizia non esonerava le parti dal rispetto delle distanze e che dall’interpretazione degli atti intercorsi tra le parti (permuta e atto d’obbligo) non emergeva alcuna volontà derogatoria alle distanze. Posta la differente motivazione tra le due sentenze, il ricorrente ha altresì evidenziato come il principio della c.d. doppia conforme non si applicasse in caso di travisamento della prova, il quale si era verificato nella specie sia con riguardo all’atto di permuta, nel quale era previsto lo spostamento del muro di confine, avendo le parti espresso la volontà di ridurre la distanza dell’eretto fabbricato di sua proprietà a dette misure interposte dal confine, sia con riguardo all’atto d’obbligo, posto che nel progetto risultavano le distanze esistenti prima della permuta e quelle successive ad essa, senza che di tali elementi vi fosse traccia nelle due decisioni.
2.2 Il primo motivo è infondato.
Occorre, in primo luogo, evidenziare come la Terza Sezione di Corte, con l’ordinanza n. 32019 del 11/12/2024, abbia già avuto modo di pronunciarsi sulla questione della c.d. doppia conforme anche alla luce della riforma introdotta con il d.lgs. n. 149 del 2022, affermando che la preclusione di cui all’abrogato art. 348 -ter quinto comma, cod. proc. civ. (in base alla quale il ricorso per cassazione non può essere proposto per il motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quando la sentenza di secondo grado «è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto», sulle quali era fondata la sentenza di primo grado) è stata sostanzialmente riprodotta dal ridetto d.lgs. nella nuova formulazione dell’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ. (in base al quale il ricorso per cassazione non può essere proposto quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado «per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti» poste a base della decisione impugnata) e che, in disparte la leggermente diversa formulazione letterale delle due disposizioni, non ricorre «una ipotesi della preclusione in esse prevista ogni qual volta la decisione del giudice di secondo grado confermi una o più statuizioni contenute nella sentenza di primo grado sulla base (non del medesimo sostrato fattuale e/o sulle stesse ragioni giustificatrici, ma) di ragioni ostative di carattere processuale, le quali, invero, per la loro stessa natura, precludono a priori la sussistenza di un giudizio prognostico negativo sulla fondatezza nel merito del proposto appello (arg. ex Sezioni Unite n. 1914/2016)». La medesima pronuncia ha dunque affermato il seguente principio di diritti: «La preclusione, già prevista dall’art. 348 -ter comma 5° cod. proc. civ. e attualmente prevista dall’art. 360 comma quarto cod. proc. civ., opera soltanto nel caso in cui la sentenza di primo grado e quella di secondo grado siano state delibate nel merito, ma non opera quando (come per l’appunto si verifica nel caso di
specie) la sentenza del giudice di secondo grado, pur confermando quella di primo grado, sia argomentata su ragioni di natura processuale (quali, ad esempio, la ritenuta aspecificità dei motivi di appello), in quanto tale circostanza impedisce di per sé quell’attività di comparazione, sottesa da entrambe le suddette disposizioni, diretta a verificare la identità delle ‘stesse ragioni’ di fatto, contenute nelle due decisioni di merito».
La sostanziale identità tra le due disposizioni consente allora di ricorrere anche ora ai principi da tempo affermati nella vigenza dell’abrogato art. 348 -ter quinto comma, cod. proc. civ., secondo i quali il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto , la quale ricorre, come chiarito da Cass., Sez. 6-2, 9/3/2022, n. 7724, «non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice».
Nella specie, il ricorrente ha riprodotto l’iter argomentativo seguito dal giudice di primo grado, il quale ha accolto la domanda riguardante la violazione delle distanze sulle base di tre ordini di considerazioni, fondate sulla nullità di qualsivoglia accordo che deroghi alle norme sui confini in quanto rispondenti a esigenze di carattere pubblicistico, sulla insussistenza di un qualunque accordo tra le parti in deroga alle suddette norme e sulla inapplicabilità, alla specie, del criterio della prevenzione, siccome escluso dal Piano di Fabbricazione del Comune di Piedimonte Matese che prevedeva il rispetto della distanza dai confini.
Risulta, invece, dalla sentenza d’appello che i giudici, dopo avere esaminato l’atto di permuta del 4/6/2002 e l’atto d’obbligo,
entrambi riprodotti nel provvedimento, e dopo avere analizzato i principi applicabili in tema di cessione di cubatura e ritenuto sussistente una siffatta fattispecie nel caso esaminato, hanno escluso che le parti avessero espresso in questo caso una volontà derogatoria delle distanze dai confini e ritenuto che fosse rimasta provata l’intervenuta violazione di tali distanze da parte degli appellanti nella edificazione del proprio immobile.
Alla stregua di quanto detto, deve allora escludersi che sussista la dedotta divergenza tra le due decisioni in ordine all’elemento posto a fondamento delle stesse, giacché entrambi gli organi giudicanti hanno interpretato gli accordi intercorsi tra le parti nel senso che non vi fosse alcuna volontà comune di consentire la violazione delle distanze, tant’è che la Corte d’Appello ha concluso il proprio ragionamento, sostenendo che, anche sotto questo profilo, la decisione del primo giudice apparisse corretta ed esente da vizi logico-giuridici.
Ciò comporta che devono riconoscersi nella specie i limiti dettati dalla c.d. doppia conforme, con conseguente inammissibilità delle questioni che la censura prospetta in termini di travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale, ricorrente in caso di svista sul fatto probatorio in sé e non sulla verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio, come chiarito da Cass., Sez. U, 5/3/2024, n. 5792, nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.
Il fatto asseritamente travisato nella specie, in quanto sostanziale, ricade nella seconda fattispecie, la quale, a sua volta, è inammissibile in ragione della sostanziale identità dell’iter argomentativo delle sentenze dei due gradi di merito, con conseguente applicabilità del criterio della doppia conforme.
3.1 Con il secondo motivo, si lamenta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in particolare secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. sotto il profilo della motivazione in alcune parti apparente, in altre illogica e in altre ancora gravemente contraddittoria, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., con conseguente nullità della sentenza, per avere i giudici di merito affermato che il rilascio della concessione edilizia non esonerasse gli appellanti dal rispetto delle distanze legali, poiché negli atti delle parti non emergeva alcuna volontà derogatoria delle stesse, benché da esplicitarsi in forma testuale, e poiché risultava documentalmente provata l’intervenuta violazione delle distanze. Ad avviso del ricorrente, i giudici erano incorsi in errore in quanto nessuna violazione delle distanze poteva profilarsi, atteso che il fabbricato era stato riedificato nello stesso punto in cui si trovava e che era stata la recinzione ad essere stata spostata per volontà concorde delle parti, e avendo omesso di argomentare sull’atto di permuta, lasciato ad una motivazione meramente apodittica, il cui esame avrebbe consentito di accertare che la violazione delle distanze andava imputata ad entrambe le parti.
3.2 Il secondo motivo è infondato.
Si osserva, in proposito, come, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di
merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
Nella specie, i giudici di merito hanno dato ampiamente conto delle ragioni della decisione, allorché hanno interpretato la permuta e l’atto d’obbligo, come negozi collegati, volti a consentire agli appellati di utilizzare la cubatura spettante ai terreni trasferiti agli appellati e culminati nel rilascio della concessione edilizia in loro favore, la quale, pur incrementando la capacità edificatoria del bene, non esonerava i beneficiari dal rispetto dei limiti di cubatura e, per quanto qui interessa, delle distanze.
Ad avviso dei giudici, la lettura dell’accordo in termini di cessione di cubatura non soltanto aveva trovato riscontro nei fatti successivi,
posto che, come accertato, le volumetrie assentite contenevano anche le capacità edificatorie delle particelle 730 e 886, ma poteva essere tratto, a monte, dal dato testuale della premessa all’atto d’obbligo, dalla finalità perseguita, ossia quella di consentire agli appellanti di demolire e ricostruire, espressa nello stesso accordo e dalla funzione economicosociale dell’atto, tant’è che, a loro dire, la sottoscrizione del progetto, l’atto d’obbligo e l’autorizzazione alla trascrizione in favore del Comune di Piedimonte Matese costituivano atti preparatori all’ottenimento, da parte degli appellanti, del permesso di costruire.
E’ evidente allora come non possa ravvisarsi il difetto di motivazione, né la sua contraddittorietà o apparenza, posto che i giudici non hanno fatto altro che provvedere alla qualificazione dell’accordo, tenendo conto degli elementi a loro disposizione.
La parte della censura che tende, invece, a lamentare l’omessa valutazione di elementi traibili dalle scritture non si confronta, invece, col principio secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).
4.1 Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367, 832, 1552 cod. civ., nonché degli artt. 873 e 878 cod. civ. in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito interpretato la volontà contrattuale delle parti in termini di deroga alle distanze previste dagli strumenti urbanistici, senza considerare che la costruzione, edificata da tantissimi anni alla distanza di mt. 5 dal confine, era stata ricostruita alla medesima distanza dal confine preesistente, che era stata la recinzione ad essere stata arretrata a mt. 2,80 e mt. 2,00 in attuazione dell’accordo di permuta, che questo non aveva affatto previsto alcuna modifica delle distanze, ma soltanto la rinuncia dell’attore alla facoltà di costruire sul terreno ricevuto in permuta onde ripartire in maniera differente la distanza dal confine e/o tra costruzioni, pur nel rispetto delle distanze regolamentari minime.
Peraltro, i giudici avevano violato i criteri ermeneutici di interpretazione e qualificazione del contratto sanciti sia dall’art. 1362 cod. civ., anche con riguardo al comportamento complessivo tenuto dalle parti, sia dall’art. 1363 cod. civ., che impone la valutazione complessiva delle clausole, sia dall’art. 1367 cod. civ., che impone di attribuire alle clausole un senso che possa produrre un qualche effetto, oltre a non avere valutato che il muro di cinta non poteva essere considerato come costruzione ai fini delle distanze.
4.2 Il terzo motivo è infondato.
Occorre innanzitutto evidenziare come l’interpretazione di un atto negoziale sia tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione), sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica
indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass. 7500/2007; 24539/2009).
Si è già detto nel punto che precede che i giudici di merito hanno interpretato la volontà negoziale, valorizzando, all’uopo, sia il dato letterale, sia quello funzionale, sia il collegamento causale tra il contratto di permuta e l’atto d’obbligo, sia gli effetti derivati dai due negozi in ordine alla maggiore volumetria assentita.
Appare allora evidente come la censura, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, aspiri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito e sia in quanto tale inammissibile, poiché persegue surrettiziamente la trasformazione del giudizio di legittimità in un
ulteriore grado di merito (Cass. Sez. U. n.34476/2019; Cass. nn. 5987/2021 e 8758/2017; Cass., Sez. 1, 6/10/2023, n. 30844).
Il ricorrente, che vorrebbe valorizzare il fatto che nessuna violazione delle distanze -non voluta anche dalle controparti – vi fosse stata, atteso che l’edificio abbattuto e ricostruito era stato ubicato nel medesimo punto in cui preesisteva il precedente e che la distanza dal confine si era ridotta in quanto era stato traslato il muro di confine, come da accordi assunti con l’atto d’obbligo, non considera però che, come già affermato da questa Corte, la ricostruzione di un fabbricato, che si verifica quando le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, siano venute meno per evento naturale o per volontaria demolizione, non impone il rispetto delle distanze soltanto quando l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria, in presenza delle quali, invece, si verte in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (Cass., Sez. 2, 8/5/2024, n. 12535; Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15041). Ne consegue che il fatto dell’intervenuta traslazione del muro, quantunque ammissibile a superamento dell’esistente doppia conforme, come si è detto in risposta al primo motivo, non assumerebbe alcun rilievo, nella specie, in presenza di nuova costruzione, avendo tale manufatto la funzione di delimitare il nuovo confine venutosi a creare con l’atto dispositivo intercorso tra le parti.
5.1 Con il quarto motivo, infine, si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere i giudici di merito omesso di rilevare che la diversa pattuizione sulla regolamentazione delle distanze rispetto ai
fondi di proprietà esclusiva non stravolgeva la preesistente situazione dei luoghi, ma costituiva una mera conseguenza della permuta, giacché le parti intendevano regolamentarle diversamente, ma nel rispetto sostanziale di quanto prescritto dal programma di fabbricazione, avendo previsto l’inedificabilità assoluta dell’area.
5.2 Il quinto motivo è infondato.
Va, infatti, richiamato quanto affermato al punto 3.2 con riguardo al difetto di motivazione e all’adeguatezza delle argomentazioni contenute in sentenza in ordine agli effetti derivati dall’abbattimento e ricostruzione del fabbricato, con aumento di volumetria, dovuto alla cessione di cubatura, in merito alla violazione delle distanze dal confine prescritte dal Programma di fabbricazione.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza delle censure, il ricorso deve essere rigettato. Nulla deve disporsi sulle spese, stante la tardività del deposito del controricorso.
7. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va applicato -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., da interpretarsi alla stregua del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, secondo cui la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della cassa delle ammende deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16/4/2025.