Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 557 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 557 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18614/2019 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME TULL NERINA, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 748/2018 depositata il 17/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME citava in giudizio NOME COGNOME in Tull chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita del 28 giugno 2011 e la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 73.120,89 o, in via subordinata, l’annullamento della compravendita ai sensi dell’articolo 1428 c.c..
L’attore lamentava di aver scoperto nel corso delle opere di ristrutturazione dell’immobile che una porzione del bene di circa 1,30 metri gravava sulla proprietà confinante. Il piano di situazione del 17 giugno 2004 presentato dalla venditrice per il riallineamento della particella era stato rigettato con decreto numero 8280 del 2008.
Il Tribunale di Trieste con sentenza depositata il 19 ottobre 2015 rigettava le domande.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME in Tull resisteva all’appello e chiedeva la conferma della sentenza.
La C orte d’ Appello di Trieste confermava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda attorea.
In particolare, la Corte territoriale evidenziava che, al termine di un’accurata consulenza tecnica che aveva ricostruito l’epoca costruttiva dell’immobile sia nel suo complesso che nella parte oggetto della compravendita, era risultata una piena corrispondenza della rappresentazione grafica originaria con la situazione di fatto . Nell’elaborato erano stati indicati anche i rimedi quella per il riallineamento della situazione fattuale a rappresentativa.
I n ogni caso non vi era alcuna prova che l’immobile gravasse sul terreno altrui. Il consulente aveva accertato, infatti, con riferimento alla tipologia del fabbricato e alle caratteristiche degli elementi strutturali che la consistenza dell’immobile era sempre stata la stessa fin dalla costruzione risalente a ll’ 800 e che non aveva avuto nessuna modificazione, ciò che risultava spostato negli anni 50 era il muro di divisione del cortile che era stato arretrato e ciò aveva generato il mancato allineamento con la linea di confine.
La rappresentazione in mappa non corrispondeva alla reale consistenza degli immobili e l’unico strumento tecnico per superare la questione era il ricorso all’utilizzo di piani di situazione. Come evidenziato nella consulenza, la consistenza delle particelle derivate dall’originaria particella 76 era difforme dalla rappresentazione catastale ma era conforme alla mappa tavolare di impianto nei limiti della tolleranza prevista dalla legislazione relativa.
Per tali motivi il giudice di primo grado aveva affermato che il reale confine e la reale estensione erano quelli dettati dallo stato di natura. In particolare, la storia della particella 86/3, oggetto di compravendita, era stata ricostruita come derivante, unitamente alle altre particelle limitrofe, dalla originaria particella 86/1. In atti mancavano gli atti catastali del frazionamento del 1911 con il quale era stato effettuato lo scioglimento della comunione tra i comproprietari. Tale atto era il solo che avrebbe permesso di riprodurre in modo effettivo il confine tra le due particelle e che avrebbe potuto avere valenza alla luce della differente rappresentazione in mappa degli edifici nel loro complesso.
La soluzione del giudice di primo grado appariva corretta, sicché una volta accertata l’effettiva consistenza della particella venduta conformemente al giudice di primo grado poteva confidarsi che una nuova presentazione della domanda di aggiornamento della consistenza potesse trovare diverso apprezzamento in sede Tavolare.
La Corte d’Appello riteneva infondata l’eccezione di mancata applicazione dell’articolo 19 della l. n. 122 del 2010 non sussistendo difformità in riferimento alle planimetrie allegate all’atto di compravendita.
Per gli stessi motivi risultava infondata la censura di violazione dell’articolo 1489 c.c. non essendovi prova che l’immobile fosse gravato da oneri o da diritti reali o personali che ne diminuivano il godimento.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un solo motivo di ricorso.
NOME COGNOME in Tull ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso è così rubricato: vizio di motivazione per omesso esame di un documento decisivo ai fini della soluzione della controversia ex articolo 360, n. 5, c.p.c.
La sentenza avrebbe ignorato gli inequivoci contenuti del decreto emesso dal giudice tavolare in data 15 settembre 2008 prodotto dal COGNOME con l’atto introduttivo del 22 luglio 2013 in primo grado. Tale provvedimento era antecedente la compravendita intercorsa tra le parti e attestava la non
concordanza tra stato di fatto e stato di diritto dell’immobile ed evidenziav a l’impossibilità di rendere la richiesta corrispondenza per mancanza di titolo dominicale atto a giustificare una variazione della particella 86/3. La decisione sarebbe stata presa omettendo qualsiasi vaglio di detto fondamentale provvedimento nonostante la sua tempestiva allegazione. Al contrario, ove la corte avesse valorizzato i contenuti di detto provvedimento avrebbe condiviso la domanda avanzata dal COGNOME dando atto d ell’intervenuta vendita di un bene difforme da quello promesso con conseguente pronuncia di risoluzione o annullamento della compravendita.
1.1 Il motivo di ricorso è inammissibile.
La censura di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione ex art. 348 ter c.p.c. è inammissibile ricorrendo ipotesi di ‘doppia conforme’. Pe raltro, il ‘fatto’ in questione non è stato per nulla omesso avendo la Corte d’Appello – e prima ancora il Tribunale – tenuto conto del fatto che in precedenza il giudice tavolare con decreto del 15 settembre 2008 aveva attestato la non concordanza tra stato di fatto e stato di diritto dell’immobile ed aveva evidenziato l’impossibilità di rendere la richiesta corrispondenza per mancanza di titolo dominicale atto a giustificare una variazione della particella 86/3. Secondo i Giudici del merito tale aspetto non era dirimente in quanto dalla consulenza tecnica risultava una piena corrispondenza della situazione di fatto a quella risultante dalla rappresentazione grafica in mappa, con la precisazione che l’immobile , risalente all’800 , non aveva subito alcuna modificazione salvo il muro di divisione del cortile.
Risulta evidente, pertanto, come la circostanza dedotta come omessa sia stata ampiamente esaminata dalla Corte d’Appello.
Ric. 2019 n. 18614 sez. S2 – ud. 19/12/2023
La censura è inammissibile anche per il seguente ulteriore profilo : Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 , n. 5, c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
1.2 Con la memoria ex art. 380 bis c.p.c. il ricorrente chiede di riqualificare il ricorso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c. sotto il profilo della violazione 115 c.p.c. per errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova e per violazione dell’art. 1489 c.c.
Inoltre, il ricorrente afferma che non si sarebbe in presenza di una doppia conforme perché la Corte d’Appello ha rigettato anche il motivo relativo alla difformità catastale.
La richiesta di riqualificazione del motivo di ricorso è del tutto infondata in quanto dalla lettura della motivazione del ricorso originariamente formulato emerge chiaramente come le censure proposte con la memoria siano del tutto nuove e non riconducibili all’originario atto di impugnazione.
Deve ribadirsi, infatti, che: Nel giudizio civile di legittimità, la memoria di cui all’art. 380 bis c.p.c. non può contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile la deduzione di una nullità verificatasi nel giudizio d’appello -in particolare, il vizio di individuazione della “giusta parte” processuale -perché prospettante un ulteriore motivo di impugnazione, inerente ad un vizio rilevabile d’ufficio soltanto nel relativo grado). (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17893 del 27/08/2020, Rv. 658757 – 01)
1.3 Quanto alla dedotta differenza di motivazione tra la sentenza di primo grado e quella impugnata, la tesi è altrettanto infondata. Sul punto è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice. (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01)
Il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3000 più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione