Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32129 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32129 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4215/2022 R.G. proposto da:
SOCIETA’ CONSERVE RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 38/2022 depositata il 24/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE evocò la RAGIONE_SOCIALE avanti il Tribunale di Crotone, domandando che fosse accertata il suo diritto di proprietà su un immobile, posto in Comune di Rocca di Neto, acquistato in esito ad una procedura esecutiva ed occupato parzialmente da controparte. Nella resistenza della convenuta, che aveva svolto domanda riconvenzionale per la declaratoria di usucapione, all’esito dell’istruttoria il giudice adito accolse la domanda principale.
Su gravame della soccombente, con sentenza n. 38 depositata il 12 gennaio 2022, la Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’impugnazione principale e quella incidentale di RAGIONE_SOCIALE confermando in toto la sentenza gravata.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato la sussistenza della prova dell’acquisto da una procedura esecutiva, che aveva dettagliatamente individuato l’oggetto dell’assegnazione. Dalla CTU in atti era infatti emerso che il bene attribuito era conforme alla sua descrizione nel pignoramento ed era stato acquistato dal debitore esecutato nel 2003 da un venditore, il quale, a sua volta, l’aveva acquistato nel 1979. Inoltre, il bene non risultava né affittato né locato.
Contro la predetta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sei motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Il 17 maggio 2023 il consigliere delegato ha proposto la inammissibilità o comunque di manifesta infondatezza dell’impugnazione.
A seguito della tempestiva opposizione della società ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, che ha chiesto la decisione, la causa è stata avviata alla camera di consiglio del 6 novembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rilevata la tardività delle ‘note di udienza’ depositate solo il 5 novembre 2024 dalla New Edil s.n.c. e quindi oltre il termine di dieci giorni concesso per il deposito di memorie (cfr. art. 380 bis 1 comma 1 cpc).
Con la prima doglianza, la ricorrente allega la ‘errata valutazione circa dei fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.)’. La Corte d’appello – a suo dire – avrebbe errato nel considerare che oggetto della controversia era la titolarità di un bene, acquistato a corpo e non a misura, in base ad un decreto del Tribunale.
Attraverso la seconda censura, la RAGIONE_SOCIALE lamenta ‘l’errata quantificazione e valutazione della domanda in azione di rivendicazione, ex art. 948 c.c., e non nella fattispecie dell’accessione, ex art. 936 c.c.’. La sentenza impugnata avrebbe qualificato in maniera non corretta l’azione avversaria, statuendo la proprietà del bene, senza che ex adverso ne fosse stata domandata la titolarità.
Con il terzo mezzo di impugnazione, la ricorrente lamenta l”errata proposizione della domanda, che andava qualificata come azione di regolamento dei confini, in violazione della legge di cui all’art. 950 c.c.’. Afferma che il suo acquisto della parte contestata sarebbe intervenuto con atto pubblico e tutte le costruzioni sarebbero state autorizzate dalle parti, prima dell’acquisto di RAGIONE_SOCIALE
La quarta censura denunzia ‘l’omesso esame circa un fatto deciso della sentenza per mancata valutazione della porzione di
bene da restituire’. Il fondo da restituire non sarebbe stato convenientemente individuato e ciò avrebbe confermato l’infondatezza dell’azione di rivendicazione.
Mediante il quinto mezzo, la RAGIONE_SOCIALE denuncia ‘omessa motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1° n. 3 c.p.c., mancanza di riscontro giuridico e normativo nella motivazione’, in quanto la Corte distrettuale non avrebbe ricostruito il giudizio, in punto di diritto, tanto che la sentenza apparirebbe priva di qualunque motivazione.
L’ultimo mezzo di impugnazione è rivolto a contestare la ‘genericità ed inammissibilità della domanda e dell’atto costitutivo in violazione di legge’. La domanda avversaria sarebbe stata generica, non motivata in fatto e diritto, né la Corte d’appello avrebbe dato spiegazioni circa le eccezioni sollevate da parte ricorrente.
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
Vanno esaminati congiuntamente i motivi primo e quarto, caratterizzati entrambi dalla denunzia del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo , di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. : essi sono inammissibili.
Infatti, ricorre nella specie l’ipotesi di ‘ doppia conforme ‘, ai sensi dell’art. 348 ter cpc ultimo comma cpc con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
I motivi secondo e terzo, che attingono la sentenza impugnata sotto il profilo della erronea valutazione dell’azione proposta, sono infondati.
In materia di ricorso per cassazione, l’individuazione e l’interpretazione del contenuto della domanda costituiscono attività riservate al giudice di merito, e sono comunque sindacabili, come vizio di nullità processuale ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., qualora l’inesatta rilevazione del contenuto della domanda determini un vizio attinente all’individuazione del petitum , sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Sez. 5, n. 30770 del 6 novembre 2023; Sez. 3, n. 11103 del 10 giugno 2020).
Invece, nelle predette doglianze, la ricorrente ripropone la propria interpretazione della domanda avversaria, mescolando questioni di fatto con richiami a norme in tema di proprietà e facendo intendere, sostanzialmente, di voler ottenere una rivalutazione dei precedenti giudizi.
Giova in proposito considerare che, in generale, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
Va dunque ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità
dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra limite diverso da quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie, ed in particolare dei documenti in atti, proposta dal ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. 5, n. 32505 del 22 novembre 2023; Sez. 2, n. 20553 del 19 luglio 2021).
È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Il quinto motivo si palesa inammissibile.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U., n. 7053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorra allorquando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, ordinanza n. 2767/2023 e altre pronunce ivi richiamate).
In esito alla lettura della sentenza impugnata non si riscontra nessuna delle suddette aporie, né la motivazione -letta nel suo complesso -si pone al di sotto del minimo costituzionale.
Il sesto ed ultimo motivo è inammissibile, giacché privo di autosufficienza e concretezza, limitandosi a generiche deduzioni.
Infatti, il principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza
impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (Sez. L., n. 17224 del 18 agosto 2020; Sez. 6-2, n. 11603 del 14 maggio 2018).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 commi terzo e quarto c.p.c., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 1.300 ,00 (mille/300) per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, iva, cassa avvocati, ed agli esborsi, liquidati in € 200 ,00.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 commi terzo e quarto c.p.c., al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi,
nonché al pagamento della somma di € 1.000 (mille) in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma il 6 novembre 2024, nella camera di consiglio