Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9765 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9765 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27798/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI BARI n. 1384/2020 depositata il 27/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 24.06.2002, RAGIONE_SOCIALE conveniva NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Trani articolazione di Andria, per sentirlo condannare al rilascio di una porzione di suolo di proprietà dell’attrice, nonché al rifacimento del muro di recinzione.
A sostegno delle sue pretese, l’attrice esponeva di avere acquistato, in data 14.03.1995, l’intero immobile sito in Ruvo di Puglia riportato in catasto al foglio 28 e comprendente, tra le altre, la particella 39 che, dall’atto pubblico di compravendita, risultava includere anche una piccola parte triangolare – confinante, da un lato, con la pubblica INDIRIZZO, dall’altro lato con la particella 20 di proprietà del convenuto – oggetto di contenzioso dinanzi al Tribunale di Trani poiché detenuta sine titulo da NOME COGNOME che aveva demolito la recinzione di detto suolo appropriandosene illegittimamente.
Costituitosi, NOME COGNOME sollevava l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, atteso che la proprietà della porzione di suolo de qua era da ritenersi ormai in capo al Comune di Ruvo di Puglia.
1.1. Il Tribunale adìto rigettava la domanda attorea con sentenza n. 2811/2017.
La pronuncia veniva impugnata innanzi alla Corte d’Appello di Bari che rigettava il gravame osservando che:
il primo giudice aveva fondato la decisione sulle conclusioni rassegnate dal CTU che aveva accertato come la porzione di suolo in contestazione originariamente rientrante nella particella 39 oggetto di compravendita da parte della RAGIONE_SOCIALE fosse stata successivamente inglobata nella sede stradale;
le conclusioni del CTU trovavano riscontro documentale nell’atto (prot. 20334 del 27/12/1994) con cui il Comune aveva rilasciato all’Ursi l’autorizzazione alla demolizione del muro di cinta ricadente nel triangolo di area in contestazione, nonché la ricostruzione di altro muro di cinta sulla linea di confine della
particella 20 di proprietà dell’COGNOME , in modo tale che il triangolino di detta area facesse parte della sede stradale;
i contenuti di detto atto cristallizzavano uno stato di fatto dei luoghi che superava quanto dichiarato dalla parte alienante nell’atto di vendita del 14/03/1995 coinvolgendo direttamente la posizione del Comune di Ruvo di Puglia, che non risultava mai evocato in giudizio.
La suddetta pronuncia è impugnata per la cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE e il ricorso affidato a tre motivi.
Resiste NOME COGNOME
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, ex art. 360 n. 5) cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente lamenta l’erronea valutazione dello stato dei luoghi in relazione alla decisione della corte territoriale sull’assenza di una condotta appr opriativa del suolo da parte del convenuto. Circostanza contraria risulterebbe dalle emergenze istruttorie presentate della parte (tutte indicate in atti).
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto ricorre l’ipotesi della c.d. «doppia conforme», ex art. 348ter , commi 4 e 5, cod. proc. civ. vigente ratione temporis (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame, posto che l’atto di citazione in appello è stato notificato il 12.02.2018). In tal caso il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5 ) cod. proc. civ. per difetto di specificità, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di
rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex plurimis : Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994). Nella specie, il ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce, censurando anzi in prosieguo (v. secondo mezzo di gravame) la pronuncia per essere incorsa nel medesimo vizio della motivazione di primo grado, laddove avrebbe acriticamente condiviso le conclusioni rese dalla CTU.
Con il secondo motivo si deduce ex art. 360 n. 3) cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta l’apprezzamento delle prove da parte della Corte territoriale e l’apparenza di motivazione in relazione alle puntuali contestazioni avanzate da RAGIONE_SOCIALE sulle CTU e sulle perizie. Chiede, dunque, dichiararsi la nullità della sentenza d’appello poiché si è limitata a fare proprie le conclusioni della CTU, senza rendere u n’analisi critica.
2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.
In disparte l’errata scelta del paradigma censorio, dovendo la doglianza -che si risolve nell’immotivata e incongrua adesione alla CTU, nonché nell’omesso esame di altre risultanze probatorie rimaste neglette – essere sussunta nel n. 5) del l’art. 360 cod. proc. civ., nei limiti della sua applicazione come sopra evidenziati. In ogni caso, la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830).
Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio
ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01; Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016).
Va, comunque, disatteso il motivo con cui si assume il ricorrere di una motivazione apparente, per asserita insanabile contraddittorietà, e ciò per l’assorbente ragione che tale ipotesi non può che riguardare la ricostruzione dei fatti storici e non certo, com’è invece nell’impostazione del motivo, il ragionamento giuridico alla base della decisione. Tale ragionamento può essere errato o meno negli esiti giuridici, con censure eventualmente da calibrare sulla violazione di legge di cui all’art. 360 n. 3 ) cod. proc. civ., ma non ammette una critica meramente motivazionale anche nei termini di cui all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. , atteso che un’ipotetica erronea motivazione in diritto andrebbe soltanto corretta da questa S.C. ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ. (Cass. Sez. L, Sentenza n. 1307 del 2022; S.U. n. 22232/2016).
2.2. Nel caso che ci occupa, la Corte d’appello ha motivato con chiarezza ed esaustività, seppure in modo sintetico e non analitico: richiamati i fondamenti della decisione del giudice di prime cure rinvenibili nelle conclusioni rese dal CTU -riassumibili nell ‘attuale assorbimento nella sede stradale di INDIRIZZO della porzione di particella in contestazione, originariamente di proprietà della RAGIONE_SOCIALE dante causa dell’appellante, non già nella
particella 20 di proprietà dell’COGNOME – la Corte territoriale ha ritenuto decisiva rispetto a tali conclusioni la prova documentale costituita dalla concessione del Comune di Ruvo di Puglia prot. 20334 del 27.12.1994, atta a cristallizzare lo stato dei luoghi al punto da superare anche quanto dichiarato dalla parte alienante nell’atto di vendita del 14.03.1995; tanto più che, come emerge in atti -cui questa Corte accede direttamente stante la natura della censura elevata – a tale data non pendeva più il contenzioso tra la RAGIONE_SOCIALE parte venditrice, e l’COGNOME, essendo intervenuta la sentenza del Tribunale di Trani n. 270 depositata il 25.03.1994, che aveva rigettato la domanda di reintegra nel possesso incoata dalla venditrice.
Tanto basta ad escludere l’apparenza o la manifesta illogicità della motivazione; tanto più se si considera -come rilevato nello stesso ricorso – che le risultanze peritali richiamate in sentenza sono state frutto di un giudizio di prima istanza durato quindici anni, intervallate da innumerevoli osservazioni tecniche a cura dei difensori, da interlocuzioni con altre risultanze peritali ammesse in giudizio derivanti da altri procedimenti tra le medesime parti.
2.3. Superato il vaglio sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, la pronuncia in esame non è attaccabile neanche sotto il profilo della violazione di legge per l’adesione della motivazione alle conclusioni del CTU: la valutazione del materiale probatorio -destinata a risolversi nella scelta di uno o più tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudice -è espressione della discrezionalità del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio (per tutte: Cass. n. 9507 del 06.04.2023).
Con il terzo motivo si deduce ( ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.) nullità della sentenza per vizio di omessa pronuncia – art. 112 cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta la mancata pronuncia della Corte di Appello sulla domanda di accertamento della proprietà dell’area contestata. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale non ha preso posizione su una questione preliminare rispetto a quella del rilascio, indispensabile per la soluzione del caso concreto, vista la natura di antecedente logico e giuridico della domanda di accertamento della proprietà rispetto alla domanda restitutoria.
3.1. Il terzo motivo si rivela inammissibile perché carente di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. (Cass . Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017, Rv. 645361 -01; più di recente: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 8247 del 2024). La Corte territoriale ha confermato la decisione del giudice di prime cure sulla base delle risultanze istruttorie tese ad escludere la legittimazione passiva di NOME COGNOME accertato che la porzione del suolo in contestazione fosse stata nel tempo inglobata nella sede stradale di INDIRIZZO; conclude, infatti, il giudice di seconde cure: «I contenuti della concessione prot. 20334 del 27.12.1994 coinvolgono direttamente la posizione del Comune di Ruvo di Puglia che non risulta mai evocato in giudizio» (v. sentenza p. 3, 5° capoverso).
Del resto, la questione sollevata dalla ricorrente in tema di accertamento della proprietà dell’area implica la distribuzione degli oneri di prova in capo all’allora appellante, di certo non assolti per il tramite delle asserzioni riportate in ricorso (p. 34, 1° capoverso). Il giudice di prime cure aveva, infatti, qualificato la domanda della RAGIONE_SOCIALE come di natura reale, trattandosi in sostanza di un’azione di accertamento di un’occupazione abusiva con condanna alla rimozione e al ripristino delle opere realizzate dal convenuto. Spettava, dunque, alla società attrice fornire rigorosa prova ( probatio diabolica ) dei fatti costitutivi della sua pretesa (Cass.
Sez. U, n. 7305/2014; più di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2190 del 22.01.2024); né tale capo della sentenza è stato espressamente impugnato in sede di appello dalla RAGIONE_SOCIALE
4. In definitiva, il Collegio dichiara il ricorso inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, la ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 3.5 00,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna altresì parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di € . 3.500,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4 c od. proc. civ. – al pagamento della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda