Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20416 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20416 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5484/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Ricorrente –
Contro
NOME RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CF:CODICE_FISCALE)
-Controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 3817/2020 depositata il 15/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. la società RAGIONE_SOCIALE convenne dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, la società RAGIONE_SOCIALE onde sentir
dichiarare risolto il contratto di locazione datato 30/07/2010 per inadempimento della locatrice a fronte di una lamentata inidoneità dei locali allo svolgimento delle attività previste in contratto, e condannare la locatrice al pagamento dell’indennità pe r la perdita dell’avviamento ovvero, in subordine, ottenere la riduzione del canone di locazione del 50% ovvero ad euro 10.425,50 ovvero infine ‘determinarsi … l’esatto ammontare del canone da corrispondere’.
Costituendosi in giudizio, la società RAGIONE_SOCIALE, chiese, per quanto ancora rileva in questa sede: (i) di rigettare la domanda attorea di risoluzione del contratto perché infondata in fatto e in diritto e per essere in contrasto con il contenuto di un atto transattivo datato aprile 2015; (ii) di dichiarare inammissibili le domande subordinate di risoluzione del canone, ovvero di adeguamento e/o rideterminazione dello stesso, per incompatibilità tra le ridette richieste e la preliminare domanda di risoluzione del contratto; (iii) di dichiarare cessata la materia del contendere in ordine alle domande di restituzione somme per errato adeguamento Istat, per essere sulla determinazione del canone intervenuta transazione dell’aprile 2015.
Con sentenza n. 2580/2018 il Tribunale di Torre Annunziata rigettò la domanda per risoluzione contrattuale per inadempimento in quanto non provata; rigettò la domanda di risarcimento del danno per mancato guadagno e riduzione del canone nonché quella relativa alla restituzione di somme per errato adeguamento Istat, condannò parte ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione propose appello RAGIONE_SOCIALE sulla base dei seguenti motivi: (i) nullità della sentenza. Omessa e/o solo apparente motivazione in relazione alla statuizione sulla domanda di riduzione del canone di locazione e violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex artt. 112 e 132 c.p.c.; (ii) errata statuizione in ordine alla domanda di risarcimento danni per mancato guadagno; (iii) nullità della sentenza
per omessa statuizione in ordine alle richieste istruttorie; (iv) nullità della sentenza. Omessa motivazione in relazione alla statuizione della domanda di riduzione del canone di locazione ad euro 10.426.50 mensili oltre Iva in luogo dell’errata richiesta di euro 10.895 oltre Iva e condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite a partire dal mese di giugno 2015.
Con sentenza 3817/2020, depositata in data 15/12/2020, oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’appello, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso la predetta sentenza la società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso affidato a quattro motivi, cui la società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 n. 4 per motivazione inesistente in quanto solo apparente in relazione agli artt. 132 e 112 cpc ‘, lamentando che la Corte territoriale avrebbe prima affermato e rilevato che oggetto del giudizio e della sentenza gravata erano sia il lamentato mancato cambio di destinazione d’uso, sia la ‘carenza dei requisiti di agibilità’, e poi avrebbe ritenuto che la sentenza di primo grado non sarebbe stata aggredita nella parte in cui ha affermato che ‘ dal regolamento contrattuale si desumeva che le parti erano consapevoli della presentazione di concessione edilizia per il mutamento della destinazione d’uso e, quindi dell’inidoneità dell’intero immobile ad essere destinato alla vendita al pubblico ‘. Ciò in relazione al motivo di appello con il quale RAGIONE_SOCIALE lamentava l’errata statuizione di rigetto della domanda di riduzione del canone, non avendo controparte fornito prova in ordine al lamentato vizio di agibilità del locale.
Il motivo pone due distinte censure. La prima è esposta -in thesi -dalla pagina 6 sino alle prime due righe della pagina 10 del ricorso, e dovrebbe dedurre il vizio di motivazione apparente, cioè di violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., pur non evocato. La seconda è esposta dal terzo rigo della pagina 10 sino alla fine e dovrebbe illustrare un preteso vizio ai sensi dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su motivi di appello.
2.1 Entrambe le censure sono inidonee ad evidenziare i due vizi.
La prima lo è perché -contraddicendo i principi consolidati circa il modo di dedurre il vizio di motivazione inesistente, apparente o talmente contraddittoria da ridondare in motivazione inesistente (si vedano Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) – argomenta il vizio sulla base di elementi aliunde rispetto alla motivazione, come emerge dal ripetuto riferimento al primo motivo di gravame ed al contenuto dell’atto di appello, che palesa la struttura di mero dissenso o di pretesa insufficienza dell’esame dell’atto di appello propria della censura.
La seconda censura non è iscrivibile nel paradigma dell’art. 112 c.p.c. , perché non individua un’omessa pronuncia sempre sul motivo di appello, ma parimenti sostiene che il motivo sarebbe stato ‘travisato’, mal esaminato, come fa manifesto la seconda proposizione della pag. 13, che ha il seguente tenore: ‘ La sentenza, quindi, va cassata per aver la Corte di Appello erroneamente motivato, a causa del travisamento del motivo di appello, non vertente sul cambio di destinazione d’uso, circostanza su cui si è concentrato il Giudice di Appello con il richiamo per relationem alla sentenza di prime cure. Ad ogni modo la sentenza è nulla per non essersi pronunciata sul dedotta (unica) ragione alla base del motivo: non agibilità del locale concesso in locazione ‘ (così a p. 13, 2° §, del ricorso).
L’ulteriore deduzione che ‘ad ogni modo , etc. ‘ , è in manifesta contraddizione con quella precedente e con il contenuto della stessa
motivazione prima evocata nella parte finale della pag. 12 e nel primo rigo della pag. 13, quella di cui alla pag. 5 della sentenza: motivazione che ben fa comprendere che l’agibilità è stata esaminata.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., ‘ Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 relativamente al dedotto vizio di inagibilità della cosa locata’, deducendo che, avendo la ricorrente, nel primo motivo di appello, dedotto la mancanza di inidoneità del locale per mancanza di agibilità, o, più correttamente, la mancanza di prova da parte del locatore in ordine all’agibilità del locale condotto dal ricor rente, la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciarsi su tale fatto, mentre nulla ha detto in merito, ritenendo di non accogliere la domanda, condividendo la sentenza di prime cure in ordine alla conoscenza dello stato di irregolarità urbanistica derivante dalla diversa destinazione d’uso.
Sul secondo motivo. Va in primo luogo osservato che la sentenza gravata ha confermato integralmente la sentenza del Tribunale, motivando sulle medesime ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado. Essendo stato il gravame esperito dalla odierna ricorrente contro sentenza resa in prime cure in data 24/12 /2018 (come risulta dalla sentenza gravata), l’atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11/9/2012. Siffatta circostanza determina l’applicazione ‘ ratione temporis ‘ dell’art. 348 -ter , ultimo comma, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. V, sent. 18/9/2014, n. 26860; Cass., Sez. 6-Lav., ord. 9/12/2015, n. 24909; Cass., Sez. 6-5, ord. 11/5/2018, n. 11439), norma che preclude, in un caso -qual è quello presente -di cd. ‘doppia conforme di merito’, l a proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.,
salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere ‘ di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ‘ (Cass., Sez. I, sent. 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., sent. 6/8/2019, n. 20994). Nella specie la ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce, il che integrerebbe -ferma comunque l’assorbenza del rilievo già prima svolto un’ipotesi di inammiss ibilità, in parte qua , del motivo, con riferimento alla censura sollevata ex art. 360, n. 5, c.p.c.
4.1 Il motivo in esame -al di là del fatto che il ‘vizio di inagibilità’ non è un fatto, ma semmai esprime l’apprezzamento di uno o più fatti, il che già rende il motivo inidoneo a prospettare il vizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360, per come individuato dalle note Cass., Sez . Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 -è, dunque, inammissibile sia ex art. 348-ter c.p.c., sia proprio al lume della motivazione appena indicata, che evidenzia come e perché la Corte abbia ritenuto irrilevante il problema dell’agibilità.
4.2 Va inoltre rilevato che l’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, ne limita il sindacato all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che « nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il ‘fatto storico’, il cui esame sia stato omesso, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘decisività’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie » (Sez. Un. n. 8053 del 2014) (conforme Cass., sez. lav., ord. 17/10/2022, n. 30402).
4.3 La formulazione della doglianza da parte della ricorrente denuncia, di contro, non già l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì, per un verso, la mancata valorizzazione di un elemento istruttorio che si assume erroneamente valutato dalla Corte territoriale, e, per altro verso, la complessiva ratio decidendi , consistente nel fatto che la ricorrente non ha assolto allora della prova su di essa incombente.
4.4 L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; nella specie, la ricorrente solo apparentemente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di cui al n. 5 dell’articolo 360; in realtà, però, essa chiede alla Corte di rivalutare il materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito (cfr. Cass., sez. V, ord. 28/09/2022, n. 28314).
4.5 Inoltre, ove il giudice di appello affermi, come nel caso di specie, che un fatto non è provato , ‘tale punto della decisione non può essere censurato ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. in quanto il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Sez. 6- 5, Ordinanza n. 19150 del 28/09/2016 )’ (così Cass., sez. 6 -2 , ord. 17/02/2022, n. 5721).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione di legge ex art 360 c.p.c. n. 3 in relazione agli artt. 1375, 1578, 2967 c.c. nonché 112 e 115 c.p.c.’. Afferma la ricorrente che la sentenza gravata va cassata per non avere accertato, almeno per il limitato periodo luglio 2015-giugno 2016, la violazione del principio di buona fede contrattuale, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE non aveva curato la procedura amministrativa di cambio di destinazione d’uso, aveva intimato alla conduttrice di non adibire il locale sotterraneo alla vendita al pubblico e poi, in corso di causa, depositare l’ottenuto cambio di destinazione d’uso, falsamente affermato che sempre il locale era stato idoneo alla vendita al pubblico. La ricorrente sostiene inoltre che dal regolamento contrattuale poteva desumersi unicamente la consapevolezza della proposizione della domanda di condono per la regolarizzazione della destinazione d’uso. La sentenza gravata sarebbe errata in quanto ha omesso di pronunciarsi in relazione alla domanda di riduzione del canone per vizio del locale in quanto non agibile, non rilevando che, una volta dedotto tale vizio dalla conduttrice, fosse onere della locatrice fornire prova del contrario.
Sul terzo motivo. Il terzo motivo non contiene la denuncia dei vizi di violazione e falsa applicazione delle norme civilistiche, ma la prospetta all’esito di una rivalutazione di emergenze istruttorie (quelle alle pagg. 17-18), parlando espressamente di valutazione della documentazione in atti e di generici fatti mai contestati. Per tale ragione deduce inammissibilmente la violazione dell’art. 115 c.p.c., non rispettando i criteri indicati -ex multis – da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020.L’illustrazio ne nulla dice a proposito della norma dell’art. 112 c.p.c.
6.1 Il motivo è inammissibile, poiché si risolve in un’istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dei giudici di merito e, dunque, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. La ricorrente pretende indebitamente un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme rispetto a quello dato dai giudici del merito. Per quanto specificamente riguarda la dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c., va aggiunto che essa non rispetta i criteri indicati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e, quindi, ex multis , da Cass., sez. Un., sent. 30/09/2020, n. 20867, secondo cui ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ‘ (conforme di recente Cass., sez. Trib., ord. 9/06/2021, n. 16016).
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., nn. 3 e 4, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 cpc n. 3 in relazione agli artt. 1226 e 2967 cc nonché 360 n. 4 in relazione agli artt. 115 e 132 cpc’ . Afferma la ricorrente che, contrariamente a quanto rilevato dalla Corte territoriale, la RAGIONE_SOCIALE ha fornito numerosi elementi di prova atti a dimostrare la fondatezza della propria domanda, anche in via presuntiva, in particolare dando prova che l’int ero locale fosse stato da subito, tanto essendo previsto contrattualmente, utilizzato per la vendita al pubblico e che la chiusura del piano seminterrato è stata determinata dalla diffida del locatore. Risulterebbe provato che, a causa dei vizi della cosa e delle determinazioni di parte locatrice, la ricorrente ha
subìto un danno consistente nel mancato utilizzo del 50% circa l’intero immobile locato per la vendita al pubblico. A detta della ricorrente, una volta dimostrata l’esistenza di danni risarcibili, la Corte territoriale ha errato nel non fare ricorso al potere discrezionale di liquidazione del danno in via equitativa o, in subordine, nel non fare ricorso a consulenza tecnica d’ufficio al fine di determinare il quantum .
Sul quarto motivo. Dal momento che il motivo in esame è dedotto con riferimento all’art. 360, n. 4, c.p.c., va considerato che l ‘obbligo di motivazione è ottemperato mediante l’indicazione delle ragioni della sua decisione, mentre non è necessario che il giudice confuti espressamente tutti gli argomenti portati dalla parte interessata (Cass. n. 12123/2013; Cass. n. 8767/2011 ). Infatti, ‘ Integra motivazione insanabilmente contraddittoria, ovvero apparente per impossibilità di ricavare la logicità del ragionamento inferenziale del giudice, (solo) quella che affermi la sussistenza di un presupposto per l’applicazione di una norma, poi negand ola immotivatamente ‘ (così Cass. n. 4367/2018).
8.1 Ne consegue che « è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza de semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione » (così Cass., Sez. I, 24/4/2018, n. 10112; Cass., Sez. I, 8/9/2016, n. 17761; Cass., Sez. III, 21/9/2015, n. 18449).
8.2 Con orientamento espresso dalla nota sentenza 7/04/2014 n. 8053 (e dalle successive pronunce conformi), le Sezioni Unite di questa
S.C., nell’interpretare la portata della novella, hanno in primo luogo notato che con essa si è assicurato al ricorso per cessazione solo una sorta di ‘minimo costituzionale’, ossia lo si è ammesso ove strettamente necessitato dai precetti costituzionali, supportando il giudice di legittimità quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris .
8.3 Proprio per tale ragione le S.U. hanno affermato che non è più consentito denunciare un vizio di motivazione se non quando esso dia luogo, in realtà, ad una vera e propria violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4, c.p.c. Ciò si verifica soltanto in cas o di ‘mancanza grafica della motivazione’, o di ‘motivazione del tutto apparente’, oppure di ‘motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile’, oppure di ‘manifesta e irriducibile sua contraddittorietà’, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie.
8.4 Per l’effetto, il controllo sulla motivazione da parte del giudice di legittimità diviene un controllo ab intrinseco , nel senso che la violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4, c.p.c. deve emergere obiettivamente dalla mera lettura della sentenza in sé, senza possibilità alcuna di ricavarlo dal confronto con atti o documenti acquisiti nel corso dei gradi di merito.
8.5 Secondo le S.U., l’omesso esame deve riguardare un ‘fatto’ (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè, dedotto in funzione probatoria).
8.6 La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già, come evidentemente suppone l’odierna ricorrente, il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda proces suale sottoposta al
suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass., Sez. 6-3, ord. 04/07/2017, n. 16467; Cass., Sez. I, sent. 23/05/2014, n. 11511; Cass., n. 25608/2013; Cass., n. 6288/2011; Cass., Sez. Un., 11/6/1998, n. 5802).
8.7 Orbene, sotto tale profilo l’impugnata sentenza risulta invero priva di omissioni o vizi logici, avendo la Corte territoriale ampiamente motivato le ragioni che l’hanno condotta a condividere la decisione del giudice di prime cure .
8.8 Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso è inammissibile, stante l’inammissibilità di tutti i motivi su cui si fonda.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore della controricorrente, società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/03/2024, nella camera di consiglio della