Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21923 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21923 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18907-2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNITA’ RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 157/2021 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 18/05/2021 R.G.N. 146/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N.18907/2021
COGNOME
Rep.
Ud 25/06/2025
CC
Rilevato che
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di NOME COGNOME intesa alla condanna di NOME COGNOME, titolare della Comunità Alloggio per Anziani ‘Villa Rossella’, al pagamento di differenze retributive connesse all’intercorso rapporto di lavoro dipendente che asseriva formalizzato solo in epoca successiva alla effettiva instaurazione.
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte di merito ha ritenuto che la originaria domanda, sia in ordine alla data di inizio del rapporto di lavoro sia in punto di orario osservato, era rimasta sfornita di riscontro probatorio ed ha ritenuto giustificata la mancata escussione di un teste, ulteriormente rilevando che non risultavano depositati nel fascicolo telematico i verbali delle dichiarazioni rese da altri lavoratori agli Ispettori dell’INPS.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, oggetto di
discussione fra le parti ‘in relazione agli artt. 2702 c.c. e 116 c.p.c.’ Censura la sentenza impugnata per non avere preso in considerazione il documento contraddistinto con il n. 6, allegato al ricorso di primo grado e prodotto telematicamente in appello, , costituito da un foglio contenente i turni di lavoro, anche notturni, dei dipendenti di Villa Rossella, sottoscritto dalla COGNOME e da quest’ultima tardivamente disconosciuto.
Con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 2126, 2697 c.c. e dell’art. 35 Cost. censurando la sentenza impugnata per avere mancato di valutare una serie di documenti (atti di un procedimento penale, dichiarazioni raccolte a verbale dagli ispettori INPS nonché deposizioni testimoniali, che asserisce rivelatori sia dell’esistenza in fatto di un rapporto di lavoro in epoca antecedente alla relativa formalizzazione sia dell’orario di lavoro effettivamente osservato.
Con il terzo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., nullità della sentenza per apparenza di motivazione in relazione all’art. 111 Cost. e all’art. 112 c.p.c., in punto di valutazione della attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti al fine del decidere; in particolare sostiene la violazione delle disposizioni che disciplinano l’efficacia probatoria dei verbali ispettivi facenti fede fino a querela di falso.
Con il quarto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. degli artt. 2697 e 244 c.p.c. nonché omesso esame circa fatti decisivi e difetto di pronunzia su specifiche eccezioni, censurando in sintesi la mancata
ammissione della prova testimoniale in relazione al teste COGNOME della consulenza tecnica d’ufficio contabile e di una serie di istanze istruttorie.
Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. sul presupposto della fondatezza della pretesa azionata.
Il primo motivo è inammissibile in quanto la denunzia di ‘omesso esame’ ex art. 360, comma 1 n. 5 .c.p.c. risulta preclusa da <> ai sensi dell’art. 348 ter, ultimo comma c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis ; secondo il condivisibile orientamento espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014), come in concreto non avvenuto.
6.1. Quanto poi al documento n. 6, concernente il calendario turni osservati presso ‘Villa Rossella’ nel mese di settembre 2011, che la sentenza impugnata afferma non essere stato prodotto in appello (sentenza, pag. 8, primo capoverso), si rileva che la prospettazione della odierna ricorrente, secondo la quale tale documento sarebbe stato, al contrario ,depositato telematicamente in appello, configurerebbe in astratto un vizio revocatorio
che doveva pertanto essere denunziato con lo specifico mezzo previsto dall’art. 395 c.p.c..
7. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
7.1. Occorre premettere che per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti consentiti dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che quest’ultima censura, e non la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr., fra le altre, n. 14468/2015).
7.2. E’ stato altresì affermato che il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. deve essere dedotto a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le
indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 5353/2005; Cass. n. 11501/2006).
7.3. E’ stato inoltre precisato che la falsa applicazione di legge di cui al n.3 dell’art. 360 co.1 c.p.c. consiste ‘o nell’assumere la fattispecie concreta sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione’ (v. Cass., n. 18715/2016, che cita altresì Cass. n. 18782 del 2005 e n. 15499 del 2004).
7.4. Le deduzioni di violazione e falsa applicazione di norma di diritto formulate dall’odierna ricorrente non sono riconducibili all’ambito del vizio denunziato, come sopra delineato, in quanto non sono incentrate sul significato e sulla portata applicativa delle norme menzionate in rubrica ma direttamente intese ad una rivalutazione nel merito del complessivo compendio probatorio e quindi ad una diversa ed a sé più favorevole ricognizione della concreta fattispecie, ricognizione preclusa da <>, secondo quanto osservato in relazione al primo motivo di ricorso.
Il terzo motivo di ricorso è infondato laddove denunzia apparenza di motivazione poste che nella sentenza impugnata sono chiaramente esplicitati i presupposti fattuali e giuridici che sorreggono la decisione, sostanzialmente incentrati, sul difetto di prova dei fatti costitutivi della pretesa allegati in ricorso. La
Corte di merito, con accertamento ad essa istituzionalmente riservato, ha proceduto all’esame critico delle deposizioni raccolte, esame del quale ha dato analiticamente atto, puntualizzando che dalle stesse non emergevano elementi a sostegno della pretesa attorea; ha quindi esplicitato le ragioni per le quali, a fronte delle deposizioni considerate e della complessiva valutazione delle emergenze in atti, risultava giustificata la mancata ammissione della prova testimoniale a mezzo del teste COGNOME in quanto non decisiva. La mancata ammissione della prova a mezzo del teste indicato, in quanto logicamente e congruamente argomentata, si configura quale espressione del potere discrezionale del giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità (v. tra le Cass. 1754/2012).
8.1. Priva di pregio è la denunzia di violazione delle disposizioni che disciplinano l’efficacia probatoria dei verbali ispettivi, facenti fede fino a querela di falso posto che, per consolidato orientamento di questa Corte, i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto in concreto inteso a censurare l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nell’ammissione dei mezzi istruttori, potere che secondo quanto già rappresentato (v. paragrafo 8) è sottratto al sindacato di legittimità. In particolare, con riguardo alla consulenza tecnica questa Corte ha chiarito che in materia di consulenza tecnica d’ufficio la decisione del giudice di merito che ne esclude l’ammissione non è sindacabile in sede di legittimità, posto che compete al giudice del merito l’apprezzamento delle circostanze che consentano di escludere che il relativo espletamento possa condurre ai risultati perseguiti dalla parte istante, sulla quale incombe pertanto l’onere di offrire gli elementi di valutazione (Cass. n. 26264/2005). Si tratta di potere discrezionale, che è sottratto al sindacato di legittimità.
Resta assorbita la richiesta di condanna alle spese di lite formulata con il quinto ‘motivo’ che, in quanto dichiaratamente, ancorata all’assunto di fondatezza della pretesa azionata, non appare riconducibile al paradigma dei vizi di cui all’art. 360, c.p.c., configurandosi piuttosto quale conseguenza dell’accoglimento degli altri motivi formulati, accoglimento, come visto, qui disatteso.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna della ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 25 giugno 2025
Il Presidente Dott. NOME COGNOME