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Donazione remuneratoria: la forma è vincolante?

Due genitori donano beni ai figli. Con una scrittura privata separata, i figli si impegnano a versare una somma annua ai genitori ‘a titolo di riconoscenza’. La Corte di Cassazione conferma la nullità di tale accordo, qualificandolo come donazione remuneratoria e non come onere modale. Poiché stipulato con una semplice scrittura privata anziché con atto pubblico, l’accordo è nullo per vizio di forma e non produce effetti giuridici.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Donazione Remuneratoria: la Forma è Essenziale per la Validità

Un gesto di gratitudine può trasformarsi in un obbligo giuridicamente vincolante? E se sì, quali forme deve rispettare? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il delicato tema della donazione remuneratoria, chiarendo i confini tra riconoscenza morale e obbligazione legale. Il caso analizzato riguarda un accordo privato, sottoscritto da due figli a favore dei genitori dopo aver ricevuto cospicue donazioni, e mette in luce l’importanza cruciale della forma per la validità di tali patti. Approfondiamo la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da due atti notarili con cui una coppia di coniugi donava ai propri due figli, un maschio e una femmina, rispettivamente una significativa somma di denaro e due terreni. Lo stesso giorno, i due figli sottoscrivevano una scrittura privata con la quale, dichiarando di aver ricevuto tali donazioni, si obbligavano a corrispondere ai genitori una somma annuale di 4.000 euro ciascuno, a titolo di “riconoscenza”.

Mentre la figlia adempiva regolarmente al suo impegno, il figlio, nonostante una formale messa in mora, si rifiutava di pagare. I genitori ottenevano quindi un decreto ingiuntivo per la somma non versata. Il figlio proponeva opposizione, sostenendo che l’accordo fosse in realtà una donazione remuneratoria, nulla per vizio di forma in quanto stipulata con una semplice scrittura privata e non con un atto pubblico notarile.

Il Tribunale, in sede di appello, accoglieva la tesi del figlio, revocava il decreto ingiuntivo e dichiarava nullo l’accordo. Contro questa decisione, i genitori (e l’erede del padre, nel frattempo deceduto) hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dei genitori, confermando la decisione del Tribunale e la nullità della scrittura privata. La Corte ha stabilito che l’obbligazione assunta dai figli non poteva essere considerata un onere accessorio alle donazioni ricevute, né un contratto con obbligazioni del solo proponente (ex art. 1333 c.c.), ma andava qualificata proprio come una donazione remuneratoria.

Le Motivazioni della Corte sulla Donazione Remuneratoria

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su una chiara interpretazione delle norme in materia di donazioni e sull’analisi della volontà espressa dalle parti nel documento contestato.

La Qualificazione Giuridica come Donazione Remuneratoria

Il punto centrale della controversia era la natura giuridica dell’impegno a pagare la somma annuale. La Corte ha evidenziato come l’uso esplicito dell’espressione “a titolo di riconoscenza” nella scrittura privata fosse decisivo. L’art. 770 del Codice Civile definisce “donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza”. Questa qualificazione fa rientrare l’atto nell’ambito delle donazioni, sebbene mosso da un sentimento di gratitudine per un beneficio ricevuto.

Il Vizio di Forma e la Conseguente Nullità

Una volta classificato l’accordo come donazione, si applicano le relative regole formali. L’art. 782 c.c. prescrive, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico per la donazione. Poiché l’impegno era stato formalizzato con una mera scrittura privata, esso era radicalmente nullo per vizio di forma. Un accordo nullo è improduttivo di effetti giuridici e, pertanto, non può essere posto a fondamento di un decreto ingiuntivo.

L’Inapplicabilità del Principio di Conservazione del Contratto

I ricorrenti avevano invocato il principio di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), secondo cui un atto deve essere interpretato nel senso in cui possa avere qualche effetto anziché in quello in cui non ne avrebbe alcuno. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, ricordando che esiste una gerarchia tra i criteri interpretativi. Il criterio letterale (art. 1362 c.c.) prevale su quello della conservazione. Dato che la volontà delle parti di agire “per riconoscenza” era chiara e inequivocabile, non era possibile forzare l’interpretazione per salvare l’atto dalla nullità, riqualificandolo diversamente.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento: la forma negli atti di liberalità non è un mero formalismo, ma un requisito sostanziale posto a tutela sia di chi dona, per assicurare la ponderatezza della sua scelta, sia dei terzi. Un impegno assunto per gratitudine, sebbene moralmente lodevole, per essere giuridicamente vincolante deve essere inquadrato nella corretta fattispecie legale. Se tale fattispecie è la donazione remuneratoria, la forma dell’atto pubblico è imprescindibile. Qualsiasi accordo stipulato in forma diversa, come una scrittura privata, è nullo e non può far sorgere alcuna obbligazione coercibile in giudizio.

Un accordo scritto in cui ci si impegna a versare una somma per riconoscenza verso una donazione ricevuta è valido?
No. La Cassazione ha stabilito che un simile accordo, basato sulla “riconoscenza”, si qualifica come donazione remuneratoria e, se non stipulato con atto pubblico notarile, è nullo per vizio di forma.

Qual è la differenza fondamentale tra un onere legato a una donazione e una donazione remuneratoria separata?
L’onere (o modus) è una clausola inserita direttamente nell’atto di donazione che impone un obbligo al donatario. La donazione remuneratoria è una liberalità autonoma, fatta per gratitudine, che segue le regole formali della donazione stessa, inclusa la necessità dell’atto pubblico.

Il principio di conservazione del contratto, secondo cui un atto va interpretato nel senso in cui possa avere effetti, si applica sempre?
No. Secondo la Corte, questo principio (art. 1367 c.c.) è sussidiario. Prevale l’interpretazione letterale (art. 1362 c.c.) della volontà delle parti. Se le parti hanno chiaramente espresso una causa di “riconoscenza”, il giudice non può ricorrere al principio di conservazione per riqualificare l’atto e salvarlo dalla nullità per vizio di forma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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