Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27613 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27613 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14879-2021 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 558/2021 della CORTE D’APPELO di L’AQUILA, depositata il 12/04/2021;
Lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. NOME NOME e COGNOME NOME hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Chieti COGNOME NOME e COGNOME NOME, al fine di ottenere la risoluzione della donazione della somma di € 185.000,00 conclusa in data 4/9/2015 stante l’inadempimento dei convenuti all’onere assunto di provvedere per tutta la residua vita dei donanti alla fornitura del vestiario, medicinali ed assistenza, con la condanna alla restituzione della somma donata.
Nella resistenza dei convenuti che eccepivano l’incompetenza del giudice adito, nonché l’infondatezza nel merito della domanda, il Tribunale, con la sentenza n. 253 del 21 dicembre 2017, ha accolto la domanda di risoluzione della donazione.
Avverso tale sentenza hanno proposto appello i convenuti, cui ha resistito NOME, quale avente causa degli attori.
La Corte d’Appello di L’Aquila con la sentenza n. 558 del 12 aprile 2021 ha rigettato il gravame.
Quanto al primo motivo che rilevava la questione dell’incompetenza del giudice adito, la sentenza osservava che, in disparte l’omessa indicazione da parte degli appellanti anche del foro che sarebbe stato alternativamente competente rispetto a quello di Chieti, ai sensi dell’art. 20 c.p.c. per le cause relative a diritti di obbligazione è sempre competente il foro del luogo dove l’obbligazione deve essere eseguita, e che nel contratto di donazione era previsto che l’obbligazione assunta come onere era da eseguire in Orsogna, all’interno del circondario del Tribunale di Chieti, il che giustificava la competenza del giudice adito.
Quanto al secondo motivo che contestava la decisione di risolvere la donazione per l’inadempimento dei donatari, osservava che la tesi dei convenuti si fondava sulla pretesa esistenza di un patto successivo alla donazione, con il quale sarebbe stato modificato il luogo ove l’obbligo assunto doveva essere adempiuto.
Tuttavia, la prova articolata si palesava inammissibile in quanto mirava a provare dei patti addirittura anteriori alla stessa donazione, e quindi circostanze contrastate dal tenore della donazione. Inoltre, molte delle circostanze oggetto di prova vertevano su fatti da provare documentalmente.
In sostanza era da reputarsi che dopo la donazione, i convenuti non avevano adempiuto agli impegni che si erano assunti, e che con il denaro ricevuto avevano acquistato un immobile per le loro esigenze, e che, confidando nel ragionevole rifiuto dei donanti, avevano solo nel mese di maggio successivo alla donazione chiesto loro di trasferirsi, confidando sul rifiuto.
Né poteva allegarsi la distanza tra la residenza dei convenuto e quella degli attori, atteso che era circostanza ben nota già al momento della stipula della donazione, occorrendo altresì tenere conto che gli appellanti avrebbero potuto far ricorso anche all’opera di terzi da loro incaricati per provvedere alle esigenze dei donanti.
Di alcun rilievo era poi la circostanza che gli appellanti fossero stati assolti in sede penale, poiché il reato di circonvenzione di incapace di cui erano accusati non interferiva con l’accertamento dell’inadempimento che era invece richiesto nel presente procedimento.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla base di due motivi.
NOME NOME ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il AVV_NOTAIO Delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. e nel termine di legge i ricorrenti hanno presentato istanza di decisione.
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il AVV_NOTAIO, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 c.p.c. quanto al mancato rilievo dell’incompetenza del giudice adito, evidenziandosi che gli appellanti avevano indicato il foro competente in quello di Teramo, come meglio specificato nelle conclusioni dell’atto di
appello, aggiungendosi che non poteva dubitarsi del fatto che il giudice adito fosse incompetente.
Il motivo è manifestamente infondato.
In primo luogo, la sentenza ha evidenziato, in risposta all’analoga censura mossa con il motivo di appello, che, in disparte l’inammissibilità di una specificazione dell’eccezione di competenza per territorio, che deve essere necessariamente articolata ed in maniera completa con la comparsa di risposta tempestivamente depositata, trattandosi di controversia concernente diritti di obbligazione, il combinato disposto degli artt. 18 e 20 c.p.c. prevede una serie di fori alternativamente competenti, così che l’eccezione di incompetenza deve esser estesa a tutti i fori concorrenti.
In tal senso è stato affermato che in tema di competenza territoriale, nelle cause relative a diritti di obbligazione, la disciplina di cui all’art. 38, comma 1, c.p.c., come sostituito dall’art. 45 della l. n. 69 del 2009 – la quale, con riguardo a detta specie di competenza, ha riproposto i contenuti del terzo comma del testo previgente dell’art. 38, sia in punto di necessaria formulazione dell’eccezione “a pena di decadenza” nella comparsa di risposta, sia quanto alla completezza dell’eccezione – comporta che il convenuto sia tenuto ad eccepire l’incompetenza per territorio del giudice adito con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. (e, nel caso di cumulo soggettivo, ai sensi dell’art. 33 c.p.c., in relazione a tutti i convenuti), indicando specificamente, in relazione ai criteri medesimi, quale sia il giudice che ritenga competente, senza che, verificatasi la suddetta decadenza o risultata comunque inefficace l’eccezione, il giudice possa rilevare d’ufficio profili di
incompetenza non proposti, restando la competenza del medesimo radicata in base al profilo non (o non efficacemente) contestato. Vertendosi in tema di eccezione di rito ed in senso stretto, l’attività di formulazione dell’eccezione richiede un’attività argomentativa esplicita sotto entrambi gli indicati profili (Cass. n. 17374 del 20/08/2020).
Il giudice di appello ha evidenziato che mancava una specifica contestazione quanto al foro relativo al luogo di adempimento della prestazione rimasta inadempiuta, e dalla quale sarebbe scaturita la risoluzione della donazione, luogo che il contratto di donazione individuava in quello di residenza dei donanti all’epoca dell’atto, e quindi nel circondario di Chieti.
In relazione a tale affermazione manca una specifica contestazione da parte dei ricorrenti, che hanno omesso di indicare in ricorso se fosse stata contestata anche la competenza in base al forum destinatae solutionis ; né può sostenersi che la critica sia implicita nel riferimento alla mancata ammissione dei mezzi di prova, presupponendo tale richiamo che si fosse però previamente stabilito che le parti avessero inteso modificare l’intesa iniziale, in ordine al luogo dove effettuare le prestazioni dovute per il modus apposto alla donazione, modifica che però è stata esclusa, stante l’inammissibilità dei mezzi di prova articolati.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 2725 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c.
Si deduce che la sentenza avrebbe reso una motivazione solo apparente in ordine alla ricorrenza dell’inadempimento dei donatari, mancando ogni accertamento su tale circostanza.
Non si sarebbe considerata l’impossibilità di adempiere all’obbligazione di assistenza, per la condotta degli stessi donanti, risultando erroneo il rigetto delle richieste istruttorie articolate.
Infine, non si sarebbe data alcuna rilevanza all’esito del processo penale che aveva visto come imputati i ricorrenti, processo però concluso con la loro assoluzione.
Il motivo è del tutto privo di fondamento.
Innanzi tutto, deve ritenersi inammissibile la censura di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1 c.p.c., atteso che, nonostante il contrario assunto dei ricorrenti, la sentenza di appello ha confermato quella di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto che sorreggono la decisione di primo grado, avendo semplicemente aggiunto, a quanto già accertato in primo grado, che alcuna rilevanza poteva assumere l’esito del richiamato processo penale, ma sul presupposto della carenza di decisività dell’allegazione difensiva rispetto all’oggetto del contendere.
I giudici di merito, in maniera conforme nei due gradi hanno accertato che i ricorrenti non avevano fornito alcuna prova circa l’adempimento delle prestazioni assistenziali che gli stessi si erano obbligati a rendere in favore dei donanti, osservando che le richieste istruttorie apparivano del tutto inidonee a tal fine.
La sentenza di appello, con motivazione che appare ampiamente satisfattiva del principio del cd. minimo costituzionale della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha analizzato con puntualità e con argomentazioni logiche e coerenti tutti i singoli capitoli di prova articolati, evidenziando come gli stessi fossero inammissibili, nella parte in cui pretendevano di documentare che il luogo di adempimento della prestazione coincidesse con quello
di residenza dei ricorrenti, fin da prima della stipula della donazione (trattandosi di patto anteriore e contrario al contenuto di un contratto per il quale la legge prevede la forma scritta ad substantiam) e che analogamente era a dirsi per la finalità di dimostrare una successiva modifica atteso che anche in tal caso si mirava a provare per testimoni un accordo modificativo di un contratto di donazione, soggetto a particolare rigore formale.
La Corte d’Appello ha altresì evidenziato come molti dei capi di prova fossero del tutto superflui o privi di decisività, sottolineando come anzi dalla stessa capitolazione di prova emergesse il legittimo rifiuto dei donanti di assecondare la richiesta dei donatari di trasferirsi in luogo diverso da quello di residenza, in contrasto con l’univoco contenuto dell’atto di donazione, che individuava in maniera specifica il luogo di adempimento delle prestazioni da parte dei donatari.
Risulta, pertanto, incensurabile la valutazione circa l’inammissibilità ed irrilevanza dei mezzi di prova articolati, avendo questa Corte precisato che (Cass. n. 16214/2019) il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento.
Nella fattispecie, in disparte l’impossibilità di dedurre il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., manca, anche alla luce delle puntuali
osservazioni della Corte d’Appello, la specifica allegazione della decisività della prova, soprattutto una volta ribadita la correttezza del richiamo all’impossibilità di provare per testimoni l’esistenza di un patto contrario rispetto al contenuto dell’atto di donazione, in assenza di un accordo a sua volta rivestito della forma scritta.
Tutta la difesa dei ricorrenti si incentra quindi sul preteso rifiuto dei donatari di ricevere l’assistenza dai donanti, ma non già secondo le modalità convenute, ma secondo invece le diverse condizioni dei donatari, che però non trovano conforto negli impegni consensualmente assunti con l’atto di donazione, così che deve escludersi che, ove anche vi sia stato un rifiuto del donante, i ricorrenti possano essere ritenuti adempienti, mancando la dimostrazione che abbiano in qualsiasi modo offerto la prestazione convenuta.
Infine, va ribadita l’assenza di decisività degli esiti del processo penale, in quanto nella fattispecie non è dedotto un vizio genetico del contratto di donazione, quale la ridotta capacità dei contraenti di cui avrebbero approfittato dolosamente i donatari, ponendo in essere una circonvenzione di incapace (reato per il quale sono stati prosciolti), quanto la richiesta di risoluzione della donazione per inadempimento dei donatari, rispetto alla quale è del tutto irrilevante l’esito del processo penale.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal
terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all ‘applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
8. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 7.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, ed accessori come per legge, con attribuzione all’AVV_NOTAIO COGNOME, dichiaratosene anticipatario.
Condanna altresì i ricorrenti, in solido tra loro, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della somma ulteriore a quella sopra liquidata per compensi di € 2.500,00, nonché al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda