Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18056 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 18056 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10504/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME e COGNOME
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO/O AVV COGNOME NOMECOGNOME presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 152/2019 depositata il 25/01/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.A seguito dell’emissione di due decreti ingiuntivi con cui il Tribunale di Chieti ingiunse a NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME, il pagamento delle somme di € 8.355,00 ed € 2.799,20, a titolo di compenso professionale per l’attività svolta in favore de de cuius , l’ingiunta propose due distinte opposizioni sostenendo di non aver mai accettato l’eredità paterna, alla quale aveva, anzi, espressamente rinunciato con atto del 18.5.2010.
1.1.L’Avv. COGNOME si costituì in entrambi i giudizi e dedusse che NOME NOME aveva ricevuto in donazione dal de cuius degli immobili in conto di legittima, con atto per notar De Cinque del 7.4.1997, e che, dopo la morte del padre, aveva compiuto sugli stessi azioni a difesa del possesso incompatibili con la rinuncia dell’eredità.
1.2. Il Tribunale di Chieti, riuniti i giudizi, accolse le opposizioni e, per l’effetto, revocò i decreti ingiuntivi.
1.3. NOME COGNOME propose appello, sostenendo che la qualità di erede di NOME COGNOME potesse trarsi dall’accettazione della donazione e dall’essere la stessa rimasta in possesso dei beni ereditari per un lungo periodo senza aver svolto l’inventario; inoltre, la convenuta avrebbe tacitamente accettato l’eredità, proponendo un’azione possessoria in cui aveva speso la qualità di erede di NOME COGNOME.
1.4. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza resa pubblica il 25.1.2019, respinse il gravame.
1.5.Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale ritenne che la donazione avesse effetti traslativi immediati e che la donataria
avesse esercitato sui beni oggetto di donazione un possesso iure proprietatis, che la esimeva dall’obbligo di redigere l’inventario.
La Corte di merito osservò che anche il chiamato all’eredità, ai sensi dell’art. 460 c.c., è legittimato a proporre azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza che ciò comporti accettazione tacita dell’eredità.
Infine, precisò che la donazione non è incompatibile con la rinuncia all’eredità in quanto l’art.552 c.c. consente al legittimario di rinunciare all’eredità e ritenere i legati e le donazioni in conto di legittima. Nonostante la rinuncia all’eredità fosse avvenuta decorso il termine di dieci anni per l’accettazione dell’eredità, si trattava di un atto privo di effetti in quanto riguardava un’eredità rispetto alla quale il diritto di accettare si era prescritto; si trattava, pertanto, di un atto volto a stabilizzare e chiarire la propria volontà di non divenire erede.
1.6. Avverso la sentenza della Corte d’appello, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
1.6. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
1.7. Il Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
1.8. In prossimità della pubblica udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per assenza di riconducibilità dei motivi alle ipotesi previste dall’art.360 c.p.c. e per la loro scarsa intellegibilità.
1.1. Osserva il collegio che il ricorso consente di comprendere le censure alla sentenza d’appello sotto il profilo della violazione di legge o del vizio motivazionale.
2.Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 485, comma 2, c.c. e la falsa applicazione dell’art. 552 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che la donazione accettata aveva effetti traslativi immediati in capo alla donataria e che il possesso del bene era stato esercitato iure proprietatis, ragione per la quale la predetta non aveva l’obbligo di redigere l’inventario.
Tale conclusione sarebbe derivata da una fuorviante lettura del precedente affermato da Cass. N.13972/2007, che, invece, si riferirebbe alla diversa ipotesi dell’azione revocatoria dei beni donati dal de cuius , in cui si sarebbe affermato che essa non inciderebbe sulla validità dell’atto di donazione ma sull’efficacia dello stesso rispetto ai creditori.
L’art.485 c.p.c. secondo la tesi del ricorrente – non prevede un’ipotesi di accettazione tacita ma impone al chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari di fare l’inventario, con le conseguenze previste dalla norma in caso di assenza o ritardo nella redazione dell’inventario.
Peraltro, ai sensi dell’art.552 c.p.c., trattandosi di legittimario che non era stato dispensato dall’imputazione, le assegnazioni fatte dal testatore sarebbero soggette a riduzione.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 476 e 480 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 460 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché l’omesso accertamento dell’avvenuta accettazione tacita dell’eredità, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Secondo il ricorrente, poiché all’apertura della successione NOME COGNOME si trovava nel possesso dell’eredità, avrebbe assunto la qualità di erede pura e semplice, ai sensi dell’art.485 c.p.c.
La Corte non avrebbe considerato il prolungato possesso dei beni ereditari da parte di NOME COGNOME e l’esperimento delle azioni possessorie, nelle quali avrebbe agito in qualità di erede del padre.
Tali elementi sarebbero indici rivelatori dell’accettazione tacita dell’eredità ed incompatibili con la volontà di rinunciarvi.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 2730 e 2735 c.c. e degli artt. 228 e 229 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per errata valutazione delle dichiarazioni confessorie rese negli atti processuali precedenti all’opposizione ai decreti ingiuntivi, asseritamente comprovanti la qualità di erede.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la sussistenza di un sopravvenuto giudicato in ordine alla qualità di erede di NOME COGNOME; in particolare, la Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza pubblicata il 17.09.2018, avrebbe rigettato l’opposizione a precetto pendente tra NOME COGNOME e NOME COGNOME – moglie del defunto debitore e madre dell’attuale controricorrente – e qualificato NOME COGNOME e NOME COGNOME come coeredi del de cuius debitore.
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame della querela di falso ex art. 221 c.p.c. del ‘verbale di rinuncia all’eredità’, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente sono infondati.
7.1. L’art. 485 c.c. contempla una fattispecie complessa di accettazione ex lege dell’eredità.
Di tale fattispecie sono elementi costitutivi: l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario; nell’ipotesi in cui l’inventario venga invece tempestivamente effettuato, la mancata
decisione entro il termine di quaranta giorni da esso circa la rinunzia, o l’accettazione volontaria dell’eredità (art. 485, comma 3, c.c.).
In base a tale norma si perviene all’acquisto dell’eredità indipendentemente da una qualsiasi manifestazione di volontà, effettiva o supposta, poiché il possesso di beni ereditari in cui si trovi o si immetta il chiamato è un fatto per sé stesso idoneo a condurre all’acquisto entro breve tempo.
7.2 La disposizione dell’art 485 cod. civ., che considera erede puro e semplice il chiamato all’eredità il quale, essendo in possesso, a qualsiasi titolo, di beni ereditari, non faccia l’inventario entro i termini nella norma stessa previsti, non riguarda il donatario, chiamato per legge, che abbia ricevuto beni dal de cuius quando questi era in vita, con atto di liberalità; in tale caso, infatti, vi è un titolo, la donazione, che giustifica il trasferimento del bene, che, quindi, non entra a far parte dell’asse ereditario, salvo che non sia vittoriosamente esperita l’azione di riduzione o, nelle ipotesi di collazione, il donatario scelga di conferire il bene stesso in natura (Cass. Civ., Sez. II, 15.10.1970, n.2014).
Può, dunque, parlarsi di possesso, da parte del legittimario, di beni ereditari, solo nelle ipotesi in cui il medesimo non vanti alcun titolo di trasferimento sui beni stessi, con la conseguenza che il legittimario non può essere considerato erede, ex art 485 cod civ, sol perché in possesso di beni di proprietà del de cuius oggetto di donazione.
Tale principio è stato affermato da Cass. civ., sez. II, 14/06/2007, n. 13972, applicabile alla fattispecie in esame; con tale decisione, infatti, è stata cassata la decisione della Corte d’appello che, nell’accogliere l’azione revocatoria avverso le donazioni compiute dal debitore in favore dei propri eredi legittimi, aveva ritenuto che i beni non fossero mai usciti dal suo patrimonio e che, pertanto, una volta
aperta la successione, i donatari, mantenendo il possesso senza avvalersi del beneficio di inventario, avessero manifestato la volontà di accettare l’eredità; secondo la Corte, invece, le donatarie, sin dal momento dell’atto di donazione avevano esercitato sui beni oggetto della stessa un possesso iure proprietatis, derivante dall’effetto traslativo immediato proprio della donazione, con la conseguenza che la rinuncia all’eredità del de cuius , che non era nel possesso dei beni per averne disposto con donazione, era valida ed efficace.
7.3. Corollario dell’acquisto del bene iure proprietatis è che il donatario può esercitare le azioni possessorie a tutela del bene, senza che ciò comporti accettazione dell’eredità.
7.4. Il principio è stato ribadito anche da Cass. n.11018 del 5.5.2008, con riguardo al coniuge del de cuius, il quale, con l’apertura della successione, diviene titolare del diritto reale di abitazione della casa adibita a residenza familiare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 540 e 1022 c.c., e quindi non a titolo successorio-derivativo bensì a diverso titolo costitutivo, fondato sulla qualità di coniuge, che prescinde dai diritti successori.
7.5. In definitiva, l’art.485 c.p.c. si riferisce ai beni ereditari e non ai beni che sono usciti dal patrimonio del de cuius per effetto di donazione e che possano rientrarne a far parte solo in caso di esperimento vittorioso dell’azione di riduzione o, nelle ipotesi di collazione, qualora il donatario scelga di conferire il bene stesso in natura.
7.6. La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, affermando che la donazione degli immobili a NOME COGNOME con atto per notar COGNOME del 7.4.1997, aveva effetti traslativi immediati e che la donataria esercitava un possesso iure proprietatis sicché la stessa non era tenuta a redigere l’inventario.
Le azioni possessorie intraprese costituivano esercizio del suo diritto di proprietà e non comportavano l’accettazione dell’eredità paterna.
7.7. Sotto tale profilo, non è pertinente il richiamo all’art.460 c.c. in quanto l’esercizio delle azioni possessorie ed il prolungato possesso del bene donato erano avvenute iure proprietatis e non iure successionis.
7.8. Parimenti, la rinuncia all’eredità produce le conseguenze di cui all’art.552 c.c. ma non è idonea a far rientrare il bene donato nell’asse ereditario, salvo gli effetti dell’azione di riduzione, ove vittoriosamente esercitata.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
8.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione