Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3459 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3459 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3316/2024 R.G.
proposto da
NOME COGNOME (IN PROPRIO E QUALE EREDE DI NORMA CHECCHETTO), NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME E NOME COGNOME rappresentati e difesi dall ‘ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale avvmariogiorgiobergamoEMAIL
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, NOME COGNOME E NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall ‘ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 1451 del 5/07/2023 della Corte d ‘ appello di Venezia;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME letta la memoria dei ricorrenti;
RILEVATO CHE:
–NOME COGNOME, NOME COGNOME (poi deceduta in corso di causa), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Padova, la Agriturismo RAGIONE_SOCIALE COGNOME Silvano e figli sRAGIONE_SOCIALE. e i soci di questa –NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME -affermando che l ‘ allevamento di suini e bovini della società, sito a Santa Giustina in Colle (PD), era situato ad una distanza dalle abitazioni attoree inferiore a quella imposta dalla normativa e dagli strumenti di pianificazione territoriale e produceva immissioni odorose intollerabili; domandavano ordinarsi l ‘ arretramento dell ‘ allevamento fino al rispetto delle distanze, in subordine l ‘ adozione di misure per eliminare le immissioni intollerabili, sempre in subordine, «per il caso di non eliminabilità delle immissioni in questione», la corresponsione di «un ‘ indennità pari alla diminuzione del valore del loro rispettivo fondo», nonché, «comunque ed in ogni caso», di condannare i convenuti «al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale alla salute»;
-in seguito, gli stessi attori trasferivano l ‘ azione civile per il risarcimento dei soli danni non patrimoniali nel procedimento penale contro i convenuti;
-si costituivano i convenuti e veniva disposta C.T.U.;
-nelle proprie note conclusive autorizzate, gli attori precisavano di aver esercitato un ‘ azione reale volta all ‘ inibizione delle immissioni intollerabili, nonché un ‘ azione personale per il risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti al minor valore dei loro immobili (segnatamente, «un ‘ indennità
risarcitoria ex art. 2043 c.c., pari alla diminuzione del valore del loro rispettivo fondo (abitazioni, scoperti e pertinenze), pari almeno all ‘ 80% del valore di mercato come accertato nella CTU dell ‘ Arch. COGNOME o comunque nella misura di giustizia, anche secondo equità») e di concludere per l’accoglimento delle relative domande ;
-all ‘ esito dell ‘ istruttoria, il Tribunale di Padova, con la sentenza n. 631 del 29/3/2022, accoglieva la domanda attorea e condannava i convenuti ad eseguire opere e interventi, specificati nell ‘ elaborato peritale, volti alla cessazione delle immissioni, nonché al risarcimento della somma equitativamente determinata in euro 300.000,00, oltre alle spese di lite e di C.T.U.;
-Agriturismo RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e figli sRAGIONE_SOCIALE., NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnavano la decisione;
-instaurato il contraddittorio con gli originari attori (che avanzavano impugnazione incidentale), la Corte d ‘ appello di Venezia, con la sentenza n. 1451 del 5/7/2023, in parziale riforma della decisione di primo grado, accoglieva il settimo motivo dell ‘ appello principale e, di conseguenza, rigettava «la domanda di pagamento di un ‘ indennità per la diminuzione del valore dei fondi degli appellanti incidentali» e regolava diversamente le spese di lite, compensandole per un terzo;
-avverso tale decisione NOME COGNOME (in proprio e quale erede di NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME proponevano ricorso per cassazione, basato su cinque motivi; resistevano con controricorso NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e figli sRAGIONE_SOCIALE., NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-i ricorrenti depositavano memoria;
CONSIDERATO CHE:
-l ‘ eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla parte controricorrente è infondata: infatti, anche se l ‘ esposizione del fatto processuale e delle motivazioni del giudice d ‘ appello è frammentaria e mescolata con argomentazioni dei ricorrenti e con stralci di atti processuali, è possibile comprendere l ‘ andamento del processo e il contenuto delle censure;
-col primo motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 112 c.p.c. per «vizio del ragionamento logico decisorio, per inesatta rilevazione del contenuto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale immobiliare determinante vizio attinente alla individuazione del ‘ petitum ‘. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.»;
-il motivo è infondato;
-la Corte d ‘ appello di Venezia ha riportato, nella sentenza, «il contenuto delle domande come precisate da parte attrice nella prima memoria autorizzata ex art. 183 sesto comma c.p.c.: … a) ordinarsi l’ arretramento, a cura e spese della convenuta, del sito medesimo fino al rispetto delle distanze di legge stabilite per la concreta utilizzazione del sito (effettivo peso/numero dei capi) come in atto documentato e precisamente ad almeno metri 300 dai confini delle zone non agricole e ad almeno metri 250 dai centri abitati e comunque ad almeno mt. 150 dalle residenze civili sparse degli attori e in ogni caso alla distanza che risulterà conforme a legge (tenuta presente la distanza di mt. 500 prescritta dall ‘ art. 71 Regolamento edilizio comunale); b) in subordine e comunque, ordinare a controparte l ‘ immediata adozione alla convenuta di ogni misura tecnica per eliminare le immissioni olfattive intollerabili descritte in atto, a cura e spese della convenuta; c) ancora in subordine, per il caso di non eliminabilità delle immissioni in questione, accertare e dichiarare che gli attori hanno diritto a un ‘ indennità pari alla diminuzione del valore del loro rispettivo fondo, pari almeno alla capitalizzazione del minor reddito, quale loro credito di valore
verso la convenuta e pertanto soggetto a rivalutazione monetaria ed interessi dal dì del dovuto all ‘ effettivo saldo e, per l ‘ effetto, condannarsi la convenuta al pagamento della suddetta indennità agli aventi diritto; d) comunque, ed in ogni caso, accertare e dichiarare che le immissioni per le quali è causa sono illecite ed hanno cagionato un danno alla salute e psichico agli attori e, per l ‘ effetto, condannare controparte al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale alla salute da liquidarsi in complessivi Euro 320.000,00 o nella maggior/minor somma che risultasse di giustizia, se del caso anche in via equitativa.»;
-interpretando l ‘ estensione della domanda giudiziale, il giudice d ‘ appello ha individuato le seguenti istanze di tutela spiegate dagli attori: «a) hanno dedotto la violazione delle norme sulle distanze minime di legge tra costruzioni, invocando l ‘ arretramento dello stabilimento dei convenuti in modo da ripristinare le dette distanze; b) hanno dedotto l ‘ intollerabilità delle immissioni provenienti dalla proprietà dei convenuti e chiesto, in via subordinata rispetto alla domanda di condanna all ‘ arretramento, la condanna dei convenuti all ‘ eliminazione delle cause delle immissioni mediante l ‘ adozione di accorgimenti (diversi, evidentemente, dal più radicale mezzo della traslazione nello spazio dell ‘ allevamento) idonei a conseguire tale risultato; c) in ulteriore subordine, per il caso in cui le immissioni fossero risultate non eliminabili, hanno chiesto di essere indennizzati per la diminuzione del valore del loro rispettivo fondo; d) in ogni caso, hanno chiesto il risarcimento del danno ‘alla salute e psichico’ p atito.»;
-la Corte lagunare ha rilevato che «La domanda sub c), volta ad ottenere ristoro per il deprezzamento subito dai fondi attorei, è espressamente condizionata all ‘ipotesi in cui le immissioni risultino ‘non eliminabili’ e ha ad oggetto, non il risarcimento del danno cagionato da un ‘ attività illecita (domanda che è riservata al danno alla salute), ma ‘un’indennità’. Con la formulazione di tale domanda parte attrice ha chiaramente inteso riferirsi alla distinzione tra domanda di indennizzo per il diminuito valore del fondo a causa delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità, di natura reale e
fondata sull ‘ art. 844 c.c., e domanda di risarcimento dei danni derivanti dalle stesse immissioni, di natura personale, fondata sull ‘ art. 2043 c.c. (Cass. N.7545/00 rv. 537285). La prima domanda, limitata al danno patrimoniale conseguito dagli immobili degli attori per la perdita di valore commerciale degli stessi, è stata proposta solo in subordine, per il caso in cui si fosse appurata la non eliminabilità delle immissioni, quale compensazione del sacrificio imposto ai fondi attorei a titolo di indennizzo da attività lecita, come si evince dall ‘oggetto della domanda, individuato in una ‘indennità’. Sussiste, quindi, nella pronuncia appellata, quella contraddizione che l ‘ appellante denuncia, giacché il giudice patavino, dopo avere dato atto della intollerabilità delle immissioni e della concreta possibilità di ridurle al di sotto della soglia di tollerabilità, ha cumulato la condanna alla predisposizione delle misure necessarie all ‘ eliminazione delle immissioni intollerabili e la condanna al risarcimento del danno patrimoniale costituito dal deprezzamento dei fondi colpiti in modo continuativo dalle immissioni. Ciò, prima ancora che una contraddizione sul piano logico, costituisce una violazione dell ‘ obbligo di corrispondenza tra domanda e pronuncia di cui all ‘ art. 112 c.p.c. e del divieto di accogliere una domanda di parte svolta in via subordinata nonostante il contestuale accoglimento della domanda proposta in via principale. Solo la domanda di risarcimento del danno alla salute, che non è più oggetto di questo processo, è stata formulata in via principale e quindi anche per il caso di accoglimento delle domande di cui alle lettere a) e b). Il capo secondo del dispositivo della sentenza di primo grado va quindi riformato, non essendovi spazio per la condanna al risarcimento di un danno che non è stata richiesta.»;
-i ricorrenti sostengono che il giudice d ‘ appello ha dato «una singolare interpretazione delle domande attoree» e che le ha fraintese essendosi limitato al mero dato letterale, anziché al complesso dell ‘ atto; affermano, inoltre, che sin dall ‘ inizio del processo avevano avanzato una richiesta di risarcimento del danno inferto al loro patrimonio immobiliare (così a pag. 8 del ricorso: «come già precisato nella prima memoria ex art. 183/VI c.p.c.
(vecchio rito), ribadivano la richiesta (pagg. da 24 a 27) nelle proprie note conclusive autorizzate ex art. 281/ sexies c.p.c.») e che «i convenuti accettavano il contraddittorio sulla domanda risarcitoria»;
-in base ai precedenti di questa Corte (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020, Rv. 658078-01: «La rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell ‘ attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del ‘ petitum ‘, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la ‘qualificazione giuridica’ dei fatti allegati nell’ atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un ‘f atto allegato e non contestato da ritenere decisivo’, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di ‘ error in judicando ‘, in base all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di ‘ error facti ‘, nei limiti consentiti dall’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.»; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30770 del 6/11/2023, Rv. 669718-01: «In materia di ricorso per cassazione, l ‘ individuazione e l ‘ interpretazione del contenuto della domanda, attività riservate al giudice di merito, sono comunque sindacabili, come vizio di nullità processuale ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., qualora l ‘ inesatta rilevazione del contenuto della domanda determini un vizio attinente all ‘ individuazione del petitum , sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.»), la censura -tesa a denunciare la non corrispondenza tra chiesto e pronunciato -è astrattamente ammissibile, ma infondata;
-correttamente, infatti, il giudice d ‘ appello ha ricostruito il petitum e la causa petendi in base al contenuto dell ‘ atto introduttivo e della memoria ex
art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. (il cui tenore -contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti a pag. 8 del ricorso -non coincide con le note conclusive del processo): infatti, la Corte di merito ha attribuito alle parole «ancora in subordine» e «per il caso di non eliminabilità delle immissioni in questione» il significato logico dalle stesse univocamente espresso e, cioè, la subordinazione della domanda ( sub c)) di «un ‘ indennità pari alla diminuzione del valore del loro rispettivo fondo» al mancato accoglimento delle domande sub a) e b) e, in particolare, alla condizione di ineliminabilità delle immissioni (non verificatasi, essendo stata ordinata l ‘ esecuzione di opere atte ad eliminarle);
-coerente è, dunque, la conclusione della Corte d ‘ appello, secondo cui la domanda risarcitoria non poteva essere presa in considerazione, essendo stata accolta una di quelle principali a cui la richiesta era subordinata;
-a ben vedere, poi, la Corte d ‘ appello fornisce anche un ‘ ulteriore argomentazione per arrivare conseguentemente ad affermare che nessuna domanda risarcitoria era mai stata posta: l ‘ esplicito e reiterato riferimento, negli atti attorei, a un ‘ indennità per la diminuzione del valore degli immobili è stato interpretato come rivolto al conseguimento di un indennizzo da attività lecita (comunque consentita nonostante le immissioni);
-nei limiti in cui è consentito un controllo di legittimità sull ‘ interpretazione del contenuto della domanda giudiziale, si rileva che la predetta motivazione è logica e coerente con le distinzioni operate da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7545 del 6/06/2000, Rv. 537285-01, secondo cui «La domanda di indennizzo per il diminuito valore del fondo a causa delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità è del tutto diversa da quella di risarcimento dei danni derivanti dalle stesse immissioni, poiché, mentre la prima, fondata sull ‘ art. 844 cod. civ., ha natura reale e mira al conseguimento di un indennizzo da attività lecita, che compensi il pregiudizio subito dal fondo a causa delle immissioni, la seconda, fondata sull ‘ art. 2043 cod. civ., ha natura personale, essendo volta a risarcire il proprietario del fondo vicino dei danni arrecatigli dalle immissioni, sotto tale profilo considerato come fatto illecito.
Ne consegue che la statuizione, adottata dal giudice di primo grado, di rigetto della domanda risarcitoria e di accoglimento di quella indennitaria, ed appellata dal condannato, in difetto di appello incidentale in ordine al rigetto della prima, deve ritenersi passata in giudicato su tale punto, sul quale, pertanto, il giudice di appello non può più pronunciarsi.»;
-del tutto irrilevante è la reiterata argomentazione secondo cui i convenuti avrebbero comunque «accettato il contraddittorio», difendendosi nel merito rispetto alla domanda di risarcimento dei danni: infatti, anche a prescindere dalla contestazione dei controricorrenti su tale affermazione, «nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ., introdotto dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti, e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice, essendo l ‘ intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano – in quanto espressione di un interesse pubblico – l ‘ ampliamento successivo del ‘ thema decidendi ‘, anche se su di esso si venga a registrare il consenso del convenuto» (tra le altre, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 25598 del 30/11/2011, Rv. 620148-01);
-col secondo motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si deduce l ‘ «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; in relazione al risarcimento del danno patrimoniale immobiliare ed alla sua quantificazione – quarto motivo d ‘ appello incidentale»;
-la censura individua come ‘fatto decisivo’ la domanda risarcitoria (della quale già oggetto del primo motivo di ricorso), ribadita in secondo grado col quarto motivo dell ‘ appello incidentale;
-in primis , l ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell ‘ ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all ‘ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un
preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo ( ex multis , Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022, Rv. 664615-01): non sono riconducibili alla citata norma le censure che non riguardano un ‘fatto storico’, ma domande, eccezioni, questioni ed argomentazioni difensive;
-inoltre, l ‘ omessa pronuncia di cui all ‘ art. 112 c.p.c. e l ‘ omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. differiscono perché nella prima l ‘ omesso esame concerne direttamente una domanda od un ‘ eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d ‘appello, uno dei fatti costitutivi della ‘domanda’ di appello), mentre nella seconda ipotesi l ‘ attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l ‘ eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un ‘ eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1539 del 22/01/2018, Rv. 647081-01);
-peraltro, nella fattispecie non è configurabile nemmeno il vizio di minuspetizione, poiché la Corte veneziana ha esplicitamente ritenuto il quarto motivo dell ‘ appello incidentale assorbito dall ‘ accoglimento del settimo motivo dell ‘ impugnazione principale, statuizione evidentemente incompatibile con l ‘ accoglimento della pretesa degli odierni ricorrenti, sicché il relativo mancato esame nel merito non determina affatto un ‘ omessa pronunzia;
-col terzo motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 112 c.p.c.: «vizio del ragionamento logico decisorio, per asserita inammissibilità del primo motivo d ‘ appello incidentale; omessa considerazione dell ‘ accettazione del contraddittorio e del principio di non contestazione in relazione alle distanze effettive minime di legge»;
-con la censura i ricorrenti sostengono che la Corte d ‘ appello è incorsa nel vizio di minuspetizione rispetto al primo motivo dell ‘ appello incidentale, col quale si era ribadita la richiesta di rispetto delle distanze legali, tra l ‘ altro incontestate dai convenuti: «La Corte, ha dichiarato inammissibile tale motivo d ‘appello incidentale rilevando che (pag. 22) ‘Il motivo è inammissibile . Il calcolo delle distanze tra le abitazioni degli appellanti incidentali e l ‘ azienda RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contenuto della CTU COGNOME è, di per sé, privo di rilievo ove non venga prima chiarito quali siano le distanze minime imposte dalle norme integrative di cui si è detto’. Tale decisione della Corte è frutto della violazione del principio di non contestazione, perché controparte stessa RAGIONE_SOCIALE ha contestato che le distanze minime siano quelle sostenute dagli attori ossia le distanze di cui al DGR n.3178/2004: ossia 300 mt dalle zone agricole, 150 mt dalle abitazioni sparse e 250 mt. dai centri abitati, giacché controparte si è sempre e solo limitata ad eccepire che QUESTE DISTANZE MINIME DI LEGGE non si applicassero alle sue stalle perché allevamento asseritamente ‘estensivo’. Con ciò ognun vede che l ‘ avversa mancata contestazione di quali fossero le distanze minime di legge rende assolutamente illogica l ‘ asserita inammissibilità del primo motivo d ‘appello incidentale perché sarebbe mancato il ‘chiarimento’ di parte su quali siano le distanze minime imposte dalla normativa vigente (a parte che iura novit curia !)»;
-il motivo è inammissibile, sia perché la Corte territoriale si è esplicitamente pronunciata sul motivo d ‘ appello (di seguito si riporta anche la motivazione a supporto della declaratoria di inammissibilità), sia perché si richiama malamente il principio di non contestazione, sia perché la censura non coglie la ratio decidendi : del principio ex art. 115 c.p.c. difettano «i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita», atteso che le indicazioni normative sulle distanze non sono «fatti» e, soprattutto, la «non contestazione», dato che proprio i ricorrenti riconoscono che i convenuti avevano sin dall ‘ inizio negato l ‘ applicabilità delle richiamate norme alla fattispecie concreta; quanto alla ratio della decisione, la Corte d ‘ appello non
ha affatto asserito di ignorare le norme sulle distanze, ma ha, invece, ribadito che la situazione fattuale era diversa da quella per cui gli attori invocavano prescrizioni di distanze maggiori («Il Tribunale di Padova ha osservato che le distanze minime richieste da parte attrice attengono ad allevamenti intensivi mentre l ‘ insediamento di RAGIONE_SOCIALE è inquadrato dalla Regione Veneto quale allevamento estensivo, come risulta dal provvedimento dimesso dai convenuti sub 6. La parte appellante incidentale contesta questa motivazione sostenendo che l ‘ allevamento di controparte è ‘di fatto intensivo’ e che in esso gli animali sarebbero ‘stipati all’ inverosimile, con conseguente enorme quantità di deiezioni e liquami’. … Il motivo è inammissibile. Gli attori in primo grado hanno invocato norme specifiche sulle distanze che gli insediamenti zootecnici dovrebbero tenere dai confini, dai fabbricati ad uso abitativo e dalle zone urbanistiche destinate a residenze. Si tratterebbe di norme comprese in strumenti di pianificazione o regolamenti promananti dalla regione e dal comune che hanno natura integrativa delle norme codicistiche sulle distanze tra costruzioni e la cui violazione, ai sensi degli art. 872 comma 2 e 873 c.c., è sanzionata anche con la condanna al ripristino della distanza di legge mediante arretramento dei fabbricati posti a distanza inferiore. Detta disciplina, come detto, ha natura e presupposti diversi da quella sulle immissioni (art. 844 c.c.), sulla quale sono fondate le altre domande degli appellanti incidentali. L ‘ individuazione delle distanze effettivamente pertinenti alla costruzione oggetto di causa è in casi come quello in esame, condizionata dalla qualificazione del fabbricato, trattandosi di norme destinate esclusivamente agli allevamenti zootecnici e contemplanti distanze diversificate in relazione alle dimensioni dell ‘ insediamento e ad altri fattori indicati nelle delibere regionali richiamate … Il calcolo delle distanze tra le abitazioni degli appellanti incidentali e l ‘ azienda RAGIONE_SOCIALE contenuto nella CTU COGNOME è, di per sé, privo di rilievo ove non venga prima chiarito quali siano le distanze minime imposte dalle norme integrative di cui si è detto. Gli appellanti inci-
dentali sollecitano il giudice ordinario a disapplicare i provvedimenti amministrativi che hanno qualificato l ‘ insediamento della controparte come estensivo, per poter pretendere il rispetto delle più estese distanze minime previste per gli allevamenti intensivi, ma non chiariscono quali sarebbero i vizi che affliggono i detti provvedimenti. Essi si limitano ad affermare che l ‘ allevamento ospiterebbe più suini e bovini di quelli consentiti e che ciò risulterebbe dai sopralluoghi ARPAV di cui al doc. 43. Tale circostanza, tuttavia, non è di per sé sufficiente a dimostrare l ‘ illegittima qualificazione dell ‘ allevamento operata dalla Regione Veneto, potendo, al più, dimostrare un esercizio dell ‘ azienda non conforme a quanto autorizzato, senza che ciò si traduca nell ‘ illegittimità del provvedimento recante la classificazione dello stesso. Nemmeno viene specificato dall ‘ appellante incidentale in quali parti l ‘ attività accertativa dell ‘ ente sarebbe in contrasto con le valutazioni del perito di parte dott. COGNOME Ne consegue l ‘ inammissibilità della doglianza, che non esplica le ragioni di critica rispetto alla decisione impugnata’.»);
-col quarto motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si deduce l ‘ «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; in relazione al primo motivo d ‘ appello incidentale (mancato rispetto delle distanze minime di legge)»;
-la censura è inammissibile per le medesime ragioni già esposte in relazione al secondo motivo: infatti, senza osservare il disposto dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, si individua come ‘fatto decisivo’ la questione relativa alle distanze legali, ribadita in secondo grado col primo motivo dell ‘ appello incidentale, mentre non sono riconducibili alla citata norma le censure che non riguardano un ‘fatto storico’, m a domande, eccezioni, questioni ed argomentazioni difensive;
-inoltre, non è configurabile il vizio di minuspetizione, poiché la Corte veneziana ha esplicitamente ritenuto inammissibile il primo motivo dell ‘ ap-
pello incidentale e ha espressamente illustrato le ragioni della propria decisione, sicché il relativo mancato esame nel merito non determina affatto un ‘ omessa pronunzia;
-col quinto motivo, formulato ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto: liquidazione e regolamento delle spese ex art. 91 C.p.c. e art. 13 comma 1 quater DPR 115/02»;
-la censura è inammissibile;
-infatti, i ricorrenti non svolgono alcuna motivata critica alla decisione di merito che, ravvisando una reciproca soccombenza, ha parzialmente compensato le spese di lite;
-con un ‘non -motivo’ (mancando una specifica censura sul punto) si limitano, infatti, a prospettare, in caso di cassazione della sentenza impugnata, una diversa regolazione delle spese che, peraltro, nell ‘ ipotesi che qui non ricorre, costituirebbe effetto consequenziale ex art. 336 c.p.c. di una nuova decisione di merito;
-in conclusione, il ricorso va respinto; al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo;
-va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere alla parte controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 12.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie 15% ed accessori di legge;
ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, qualora dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,