Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5484 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5484 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32638/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
nonché
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TRENTO n. 203/2019 depositata il 23/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 23 agosto 2019, la Corte d’appello di Trento, accogliendo parzialmente l’impugnazione proposta dalla banca, ha condannato la società mutuataria, in solido con il garante NOME, al pagamento della somma di € 217.087,46, oltre interessi al tasso del 6,70%, quale debito maturato per il contratto di mutuo concluso il 19 dicembre 2006, nonché i medesimi, in solido con NOME COGNOME, al pagamento della somma di € 1.636.332,13, con interessi al tasso del 6,90%, quale debito maturato per il contratto di mutuo concluso il 12 dicembre 2011. Ha, invece, respinto l’appello incidentale dei predetti.
La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che:
l’appello proposto dalla banca è ammissibile in quanto adeguatamente specifico, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., essendo chiara l’esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto dei motivi della impugnazione;
è nulla la c.t.u. espletata in primo grado, come eccepito dalla banca, in quanto il consulente ha esorbitato dal mandato
conferitogli, ricostruendo il rapporto anche con riguardo ai contratti di mutuo, sebbene la consulenza fosse stata disposta unicamente sul contratto di conto corrente, nonché avendo riguardato, addirittura, due contratti di mutuo non oggetto di causa, ed avendo altresì egli utilizzato documenti non prodotti secondo le regole processuali (i ‘riassunti scalari’);
correttamente il primo giudice ha accertato la non usurarietà degli interessi corrispettivi, che va dunque confermata;
quanto agli interessi moratori, ai fini del calcolo del superamento della soglia usuraria per i due mutui oggetto di causa essi rilevano, ma interessi corrispettivi e moratori non possono essere semplicemente sommati, dovendo invece compararsi il tasso di mora previsto in contratto con il tasso soglia indicato nei decreti ministeriali, senza, peraltro, nessuna maggiorazione del tasso soglia di base: ne deriva che, dato il tasso moratorio pattuito, nel contratto del 2006 esso (8,40%) eccede quello soglia (7,16%) e nel contratto del 2011 invece esso (8,30%) non eccede il tasso soglia (8,30%), essendo quindi nulla la clausola prevista nel primo contratto, mentre la pattuizione del secondo contratto è valida, tenuto anche conto della previsione secondo cui « tale tasso non potrà in ogni caso superare i limiti in materia di usura »; resta che il primo contratto non diviene gratuito, restando dovuti gli interessi corrispettivi che non sono usurari; peraltro, poiché la banca ha affermato di avere comunque percepito interessi moratori eccedenti il tasso usurario nella misura di € 2.800,54 e di € 5.721,65 rispettivamente per i due mutui, a tale importo essa va condannata in restituzione;
la società deve dunque alla banca, con riguardo al contratto di mutuo concluso il 19 dicembre 2006, la somma di € 217.087,46 (sorte capitale residua, più interessi convenzionali, meno gli interessi moratori illegittimamente percepiti), con gli interessi al tasso del 6,70% richiesto nel decreto monitorio, e, con riguardo al
contratto di mutuo concluso il 12 dicembre 2011, la somma di € 1.636.332,13 (sorte capitale residua, più interessi convenzionali e interessi moratori quando dovuti), con interessi al tasso del 6,90%, come parimenti richiesto nel decreto monitorio;
f) è fondata la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il tribunale omesso di pronunciarsi in ordine al contratto di conto corrente, per il quale la banca aveva chiesto la condanna al pagamento dello scoperto, pari ad € 2.708,02, oltre interessi: il credito è provato, alla luce del contratto, degli estratti conto integrali e dell’estratto ex art. 50 t.u.b., non essendo stata, inoltre, mai contestata la sorte capitale dalla correntista, che ha avanzato solo generiche censure circa le c.m.s., l’anatocismo, le valute e le spese forfetarie applicate; peraltro, la banca non ha prodotto anche tutti gli estratti scalari, onde non sono dovuti gli interessi, ma soltanto la sorte capitale;
g) la domanda riconvenzionale proposta dagli opponenti, relativa alla condanna di controparte al risarcimento del danno, sia per avere la società corrisposto interessi anatocistici, sia per il rifiuto della banca a consentire la riduzione dell’ipoteca per uno degli immobili (promesso in vendita per € 1.200.000,00 e con caparra versata di € 500.000,00), è infondata sotto il primo profilo, non essendosi accertato nessun anatocismo ed essendo stati eliminati dal debito gli interessi moratori, ove usurari; mentre, quanto al secondo profilo, la domanda riconvenzionale è inammissibile ai sensi dell’art. 36 c.p.c., non appartenendo al titolo già dedotto in giudizio, in quanto essa si fonda non sul contratto di mutuo, ma su un presunto illecito extracontrattuale dell’istituto, il quale non avrebbe consentito l’incasso del prezzo e la concessione di un finanziamento in favore della società, ed essa è -per completezza -anche infondata, dal momento che dal bilancio dell’esercizio 2013 della RAGIONE_SOCIALE risulta dedotta la nullità dei preliminari per patto commissorio e l’accordo simulato circa un
prestito ricevuto, restando inutilizzabile la deposizione del testimone, portatore di un interesse proprio ed inattendibile;
la domanda riconvenzionale di riduzione delle ipoteche è inammissibile, in quanto non connessa con l’oggetto del giudizio monitorio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con i fideiussori, mentre la banca ha proposto ricorso incidentale; le parti hanno rispettivamente resistito con controricorso. La banca ha anche depositato la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Ricorso principale . Il ricorso principale propone plurimi motivi d’impugnazione, numerati in modo poco perspicuo, che possono essere come di seguito riassunti, mantenendosi per ragioni di chiarezza la medesima suddivisione operata nel ricorso.
1.1. -Il primo motivo deduce violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 342 c.p.c., avendo la sentenza impugnata ritenuto specifico l’atto di appello di controparte, mentre esso era privo di argomentazioni specifiche contro la sentenza di primo grado.
La sentenza impugnata ha ritenuto l’appello proposto dalla banca ammissibile, in quanto adeguatamente specifico, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., essendo chiara l’esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto dei motivi di appello.
Il motivo proposto è inammissibile, per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., non riportando i motivi di controparte e limitandosi ad asserire, senza adeguata critica, la loro pretesa aspecificità.
1.2. -Il secondo motivo, articolato in plurime censure, attiene a critiche alla sentenza impugnata, concernenti la c.t.u. espletata in primo grado.
1.2.1. -La prima censura deduce la violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto nulla la c.t.u. in relazione alla ‘eccezione’ sollevata dalla banca, che, tuttavia, non
aveva riproposto l’eccezione di nullità in grado di appello, limitandosi a richiamarla nel corpo dell’atto di impugnazione, ma non nelle conclusioni; nonché per omessa pronuncia sulla tardività di tale eccezione, dedotta dagli appellati.
La corte territoriale ha ritenuto nulla la c.t.u. espletata in primo grado, « come eccepito dalla Cassa Rurale », in quanto il consulente ha esorbitato dal mandato conferitogli, ricostruendo il rapporto anche con riguardo ai contratti di mutuo, sebbene la consulenza fosse stata disposta unicamente sul contratto di conto corrente, nonché a due contratti di mutuo non oggetto di causa, ed avendo altresì egli utilizzato documenti non prodotti secondo legge (i ‘riassunti scalari’).
Ma, nel prosieguo, la sentenza impugnata ha precisato di reputare fondata la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il tribunale omesso di pronunciarsi in ordine al contratto di conto corrente, per il quale la banca aveva chiesto la condanna al pagamento dello scoperto, pari ad € 2.708,02, oltre interessi: ed, al riguardo, ha ritenuto il credito provato, sulla base del contratto, degli estratti conto integrali e dell’estratto ex art. 50 t.u.b., non essendo stata, inoltre, mai contestata la sorte capitale dalla correntista, che ha avanzato solo generiche censure circa le c.m.s., l’anatocismo, le valute e le spese forfetarie applicate; peraltro, la banca non ha prodotto anche tutti gli estratti scalari, onde non sono dovuti gli interessi, ma soltanto la sorte capitale.
Tale motivazione palesa l’inammissibilità del secondo motivo, per entrambi i profili di cui alla sua prima censura, dal momento che sul conto corrente ha deciso ex novo la corte d’appello, espungendo ogni posta diversa dalla sorte capitale e motivando sulla non contestazione della stessa e per la genericità di ogni altro rilievo della correntista, argomentazioni che palesano rationes decidendi non attaccate dal motivo.
1.2.2. -I ricorrenti deducono anche la violazione dell’art. 157 c.p.c., perché i c.d. riassunti scalari erano stati prodotti al consulente dalla banca, la quale non avrebbe poi potuto dolersi della nullità della consulenza, cui aveva dato causa.
La censura è inammissibile, per le stesse ragioni appena esposte.
1.2.3. -I ricorrenti deducono ancora la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., avendo la corte territoriale ritenuto nulla la c.t.u. con riguardo a mutui estranei al giudizio, in tal modo omettendo il fatto decisivo che il consulente aveva comunque poi escluso dalla relazione finale considerazioni rispetto ad essi, e non considerando che invece al perito era stato chiesto anche di indagare circa i mutui per cui è causa.
La censura è inammissibile, in quanto non sussiste nessun interesse dei ricorrenti, con riguardo a contratti estranei al giudizio, mentre, per i mutui oggetto di causa, la censura pretende di proporre una diversa interpretazione dell’ordinanza del tribunale che dispose la c.t.u., senza invocare nessun errore pretesamente compiuto dalla corte del merito nell’interpretazione o applicazione degli artt. 1362 ss. c.c.
1.3. -Il terzo motivo è parimenti articolato in plurime censure.
1.3.1. -La prima deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1815, comma 2, c.c., 644 c.p. e 2 l. n. 108/1996, per avere la corte territoriale ritenuto valide le clausole negoziali di pattuizione degli interessi corrispettivi, in quanto non usurarie, senza tuttavia considerare tutti i costi dei finanziamenti.
La doglianza è inammissibile perché generica ed in fatto, pretendendo una riconsiderazione degli atti e dei materiali istruttori sui punti dedotti.
1.3.2. -Con riguardo al medesimo tema, si deduce anche l’omesso esame di fatto decisivo: ma a tale censura va estesa la valutazione di inammissibilità ora esposta.
1.3.3. -Ancora, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1815, comma 2, c.c., 644 c.p. e 2 l. n. 108/1996, con riguardo alle decisioni assunte dalla corte territoriale circa gli interessi moratori, in quanto, nell’assunto, essa avrebbe dovuto valutare le clausole relative in astratto e non al momento del pagamento, inviare gli atti alla procura della Repubblica, considerare invalida la c.d. clausola di salvaguardia sull’applicazione del tasso sempre entro quello soglia, e ritenere il mutuo del tutto gratuito ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c.
Le censure non hanno pregio, dovendo essere dichiarate le medesime inammissibili ex art. 360bis , n. 1, c.p.c.
La corte territoriale ha ritenuto, quanto agli interessi moratori ed ai fini del calcolo del superamento della soglia usuraria per i due mutui oggetto di causa, che essi rilevano nel calcolo stesso, ma interessi corrispettivi e moratori non possono essere semplicemente sommati, dovendo invece compararsi il tasso di mora previsto in contratto con il tasso soglia indicato nei decreti ministeriali, senza, peraltro, nessuna maggiorazione del tasso soglia di base: ne deriva che, dato il tasso moratorio pattuito, nel contratto del 2006 esso (8,40%) eccede quello soglia (7,16%) e nel contratto del 2011 invece esso (8,30%) non eccede il tasso soglia (8,30%), essendo quindi nulla la clausola prevista nel primo contratto, mentre la pattuizione del secondo contratto è valida, tenuto anche conto della previsione secondo cui « tale tasso non potrà in ogni caso superare i limiti in materia di usura »; resta che il primo contratto non diviene gratuito, restando dovuti gli interessi corrispettivi che non sono usurari; poiché la banca ha affermato di avere comunque percepito interessi moratori eccedenti il tasso
usurario nella misura di € 2.800,54 e di € 5.721,65 rispettivamente per i due mutui, a tale importo essa va condannata in restituzione.
Tale argomentare non si espone alle censure proposte dai ricorrenti.
Come chiarito dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19597), in tema di contratti di finanziamento, l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati; tuttavia, mentre nel primo caso si deve avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo, nel secondo la valutazione di usurarietà riguarderà l’interesse concretamente praticato dopo l’inadempimento; inoltre, dall’accertamento dell’usurarietà discende l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c.
Quanto alla c.d. clausola di salvaguardia, la sua liceità ed efficacia è già stata ritenuta dalla Corte, stabilendosi che, in tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola «di salvaguardia», in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. tasso soglia antiusura, previsto dall’art. 2, comma 4, l. n. 108 del 1996, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge; conseguentemente, in caso di contestazione, graverà sulla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu , l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto (Cass., sez. III, 17
ottobre 2019, n. 26286; nello stesso senso, in tema di leasing , Cass. 15 maggio 2023, n. 13144).
La mancata segnalazione al p.m. della pattuizione di interessi ultra-soglia non potrebbe in nessun caso viziare, infine, la sentenza impugnata.
La censura, pure formulata nel motivo, secondo cui il tasso moratorio usurario per il contratto del 2011 era pari all’8,125%, è inammissibile perché irrilevante alla stregua della sopra menzionata clausola di salvaguardia, ed è radicalmente risolta da quanto si argomenterà in ordine al ricorso incidentale.
1.3.4. -I ricorrenti deducono ulteriormente la violazione e falsa applicazione degli artt. 1283 e 1815 c.c., nonché « della L. 24/2001, della L. 2/2009 » e dell’art. 2 l. n. 108 del 1996, avendo la corte territoriale esposto una motivazione apparente, con riguardo allo scoperto di conto corrente.
Come sopra ricordato, nel decidere la domanda di pagamento dello scoperto di conto corrente, la sentenza impugnata ha ritenuto provato il modesto credito vantato dalla banca, sulla base dei documenti in atti (il contratto di conto corrente, gli estratti conto integrali, l’estratto ex art. 50 t.u.b.), aggiungendo che la sorte capitale non è contestata dalla correntista, mentre sussistono censure puramente generiche, quanto all’applicazione indebita di c.m.s., anatocismo, valute e spese forfetarie. Concludendo nel senso di condannare la correntista soltanto alla sorte capitale, per il fatto che la banca non provvide a produrre in giudizio anche « tutti gli estratti scalari ».
Il motivo articolato dai ricorrenti, pertanto, è inammissibile, in quanto la motivazione esiste e si concentra sulla genericità delle deduzioni degli opponenti, oltre che sull’espunzione in ogni caso di poste ulteriori dal calcolo del dovuto, con conseguente inammissibilità per mancanza di impugnazione della prima ratio decidendi e per difetto di interesse.
1.3.5. -Con riguardo al medesimo tema, si deduce anche l’omesso esame di fatto decisivo, consistente nel contratto di apertura di credito e della perizia di parte: alla censura vanno estese le valutazioni di inammissibilità, appena esposte.
1.4. -Il quarto motivo è articolato in quattro sotto-censure, e riguarda l’inammissibilità ed infondatezza della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, proposta dagli opponenti.
1.4.1. -La prima censura deduce la violazione degli artt. 112, 167 e 345 c.p.c., per non avere la corte territoriale rilevato la tardività della eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale risarcitoria, sollevata dalla banca, in quanto proposta solo nella memoria di cui all’art. 183, comma 6, n. 3, c.p.c.
La doglianza non ha pregio, trattandosi di questione in ogni caso rilevabile d’ufficio.
1.4.2. -La seconda censura deduce la violazione dell’art. 36 c.p.c., non dovendo dichiararsi l’inammissibilità della domanda riconvenzionale, che deduceva una responsabilità risarcitoria della banca, tanto a titolo contrattuale che extracontrattuale, avendo la RAGIONE_SOCIALE ritenuto che la norma non vada intesa in senso restrittivo, restando ammissibile la riconvenzionale che comunque sia legata da un collegamento obiettivo con l’oggetto della lite.
Essa è fondata.
La corte territoriale ha ritenuto che la domanda riconvenzionale, proposta dagli opponenti, relativa alla condanna della banca al risarcimento del danno, ad essa cagionato sia per avere la società corrisposto interessi anatocistici, sia per il rifiuto della banca a consentire la riduzione dell’ipoteca per uno degli immobili (promesso in vendita per € 1.200.000,00 e con caparra versata di € 500.000,00), non potesse trovare accoglimento: i) sotto il primo profilo, esaminato nel merito, non essendosi
accertato nessun anatocismo ed essendo stati eliminati dal debito gli interessi moratori usurari; ii) sotto il secondo profilo, perché domanda riconvenzionale inammissibile, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., non appartenendo al titolo già dedotto in giudizio, in quanto essa si fonda non sul contratto di mutuo, ma su di un presunto illecito extracontrattuale dell’istituto, il quale non avrebbe consentito l’incasso del prezzo e la concessione di un finanziamento in favore della società; inoltre, ha ritenuto tale domanda -per completezza -anche infondata, dal momento che dal bilancio dell’esercizio 2013 della RAGIONE_SOCIALE risulta dedotta la nullità dei preliminari per patto commissorio e l’accordo simulato circa un prestito ricevuto, restando inutilizzabile la deposizione del testimone, portatore di un interesse proprio ed inattendibile.
La censura dei ricorrenti, che investe il profilo sub ii) , merita accoglimento.
L ‘ammissibilità delle domande riconvenzionali, avanzate dal convenuto nel giudizio introdotto in via principale dall’attore, è subordinata alla comunanza del titolo già dedotto in giudizio dall’attore o di quello che appartiene alla causa come mezzo di eccezione, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., ma ciò solo al fine di ritenerle devolute al medesimo in quanto rientrino nella sua competenza per materia o per valore.
Quando la domanda riconvenzionale non comporti lo spostamento di competenza, occorre « un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia ravvisabile un collegamento obbiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus» (così già Cass. 19 ottobre 1994, n. 8531; nonché, tra le tante, Cass. 14 gennaio 2005, n. 681; Cass. 4 luglio 2006, n. 15271; Cass. 15 gennaio 2020, n. 533; Cass. 4 marzo 2020, n. 6091). Tale collegamento oggettivo, che renda opportuno il simultaneus processus , è rimesso alla valutazione discrezionale del
giudice di merito, al quale è chiesto di motivare al riguardo, in particolare ove ritenga la riconvenzionale inammissibile.
Nella specie, non è neppure motivata in modo adeguato l’inesistenza un collegamento oggettivo con l’oggetto che già appartiene al giudizio, avendo gli opponenti lamentato una condotta illecita della banca con riguardo proprio al contratto di mutuo ipotecario oggetto di causa; dovendo, invece, ritenersi inefficace l’ulteriore argomentare della corte del merito, con riguardo alla infondatezza nel merito della pretesa
1.4.3. -La censura ulteriore, che attiene all’omesso esame di fatto decisivo, consistente nella sentenza del Tribunale di Trento n. 408/2015, passata in giudicato, con la quale è stata respinta la domanda di simulazione del contratto preliminare, è inammissibile.
Invero, la declaratoria di inammissibilità della domanda de qua , operata dalla corte territoriale, rende priva di effetti l’ulteriore argomentare della corte del merito con riguardo alla infondatezza nel merito della pretesa.
1.4.4. -Inammissibile, del pari, la censura di violazione e falsa applicazione degli art. 112, 116, 157 e 246 c.p.c., perché il testimone COGNOME non sarebbe stato incapace a testimoniare, per la medesima ragione appena esposta.
-Ricorso incidentale . Il ricorso incidentale propone due motivi d’impugnazione.
2.1. -Con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 1 preleggi e 113 c.p.c., non potendo il giudice acquisire d’ufficio conoscenza dei d.m. relativi al rilievo dei tassi soglia usurari.
Il motivo è inammissibile, avendo ormai questa Corte ritenuto i medesimi decreti ministeriali parificati a fonte normativa, con argomentazione e principio qui condiviso (cfr. Cass. 29 novembre 2022, n. 35102) .
2.2. -Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1224, 1384, 1815, comma 2, c.c., 644 c.p.,
2 l. n. 108/1996, d.m. 21.9.2006 e s.m. 26.9.2011, art. 4 all. F l. n. 2248/1865, in quanto gli interessi moratori non vanno calcolati ai fini dell’usura e, in ogni caso, essi non possono compararsi al tasso soglia di base, ma ad un tasso maggiorato, nella misura prevista dai d.m., all’art. 3, a fini statistici.
Quest’ultimo rilievo è corretto per la medesima sentenza delle Sezioni unite, sopra menzionata, e, tuttavia, il motivo si palesa inammissibile, alla luce della ratio decidendi che sostiene la decisione finale al riguardo, avendo la corte territoriale deciso sulla base della considerazione conclusiva secondo cui la banca ha essa stessa ritenuto di dover restituire gli interessi moratori eccedenti il tasso usurario, nella misura di € 2.800,54 e di € 5.721,65 rispettivamente per i due mutui. In tal modo, la corte territoriale, al di là delle affermazioni in punto di diritto, ha invero fondato la decisione su argomento processuale (la non contestazione della somma dovuta in restituzione ed il principio della domanda ex art. 99 c.p.c.), non attaccata dal motivo.
3. -Conclusioni . In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo sopra indicato come punto 1.4.2 del ricorso principale, e la causa rinviata alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, perché riesamini il materiale istruttorio in atti alla luce del principio seguente: «L’ammissibilità delle domande riconvenzionali, avanzate dal convenuto nel giudizio introdotto in via principale dall’attore, è subordinata alla comunanza del titolo già dedotto in giudizio dall’attore o di quello che appartiene alla causa come mezzo di eccezione, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., solo al fine di ritenerle devolute al medesimo in quanto rientrino nella sua competenza per materia o per valore; mentre, ove la domanda riconvenzionale non comporti lo spostamento di competenza, si richiede un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia ravvisabile un collegamento obbiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere consigliabile e opportuna
la celebrazione del simultaneus processus , secondo la valutazione discrezionale del giudice di merito cui è richiesto di motivare al riguardo».
Alla corte del merito si demanda, altresì, la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, nei limiti di cui in motivazione, disattesi o assorbiti gli altri, e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, cui demanda, altresì, la liquidazione delle spese di legittimità.
Sussistono i presupposti per il pagamento del contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, da parte del ricorrente incidentale, pari a quello richiesto per il ricorso, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 dicembre