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Domanda riconvenzionale: limiti nel rito del lavoro

Una società di trasporti è stata condannata a versare contributi a un ente previdenziale di categoria. In Cassazione, la società ha contestato, tra l’altro, l’ammissibilità della domanda riconvenzionale dell’ente, presentata per la prima volta nel giudizio riassunto a seguito di una dichiarazione di incompetenza territoriale. La Suprema Corte ha accolto questo motivo, stabilendo che nel rito del lavoro, a differenza di quello ordinario, la riassunzione è una mera prosecuzione del processo e non consente di introdurre una nuova domanda riconvenzionale. Tuttavia, ha confermato nel merito il debito contributivo dell’azienda.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Domanda Riconvenzionale: I Rigidi Limiti nel Processo del Lavoro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 34551/2024) ha riaffermato un principio cruciale nel diritto processuale del lavoro, distinguendolo nettamente dal rito civile ordinario. La questione centrale riguarda l’ammissibilità di una domanda riconvenzionale proposta per la prima volta nel giudizio di riassunzione. La Corte ha stabilito che le rigidità del rito del lavoro non lasciano spazio a tale facoltà, anche se ha poi confermato nel merito il debito dell’azienda.

I Fatti del Caso: Contributi Contesi tra Enti Previdenziali

Una nota società di trasporti si è opposta a un verbale ispettivo di un ente previdenziale di categoria (quello dei giornalisti), che le contestava il mancato versamento di contributi per alcuni dipendenti inquadrati come tali. Inizialmente, l’azienda aveva erroneamente versato i contributi all’ente previdenziale generale.

Il giudizio, iniziato davanti a un primo giudice, è stato interrotto da una dichiarazione di incompetenza territoriale. La causa è stata quindi “riassunta” davanti al tribunale competente. È in questa nuova fase che l’ente previdenziale ha proposto, per la prima volta, una domanda riconvenzionale per ottenere la condanna dell’azienda al pagamento delle somme dovute. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto la domanda dell’ente, condannando l’azienda.

La Questione Procedurale e la Domanda Riconvenzionale

Il punto nevralgico del ricorso in Cassazione è stato di natura prettamente procedurale. L’azienda ha sostenuto che la domanda riconvenzionale fosse inammissibile perché tardiva. Nel rito del lavoro, infatti, il convenuto deve costituirsi in giudizio e proporre eventuali domande riconvenzionali entro termini molto stringenti, fissati dall’art. 416 del Codice di Procedura Civile.

Secondo la tesi dell’azienda, il giudizio di riassunzione non è un nuovo processo, ma la semplice continuazione di quello originario. Pertanto, l’ente previdenziale avrebbe dovuto formulare la sua richiesta nei termini previsti nel primo giudizio, e non attendere la riassunzione davanti al nuovo giudice.

Le Altre Censure Respinte dalla Corte

Prima di analizzare la decisione della Corte, è utile menzionare gli altri motivi di ricorso, che sono stati tutti respinti:

* Errato inquadramento dei lavoratori: La Corte ha ritenuto che la qualificazione del rapporto di lavoro come giornalistico fosse una valutazione di merito, ben motivata dai giudici di secondo grado e non sindacabile in sede di legittimità.
* Pagamento in buona fede: L’azienda sosteneva di aver pagato in buona fede all’ente sbagliato. La Cassazione ha ribadito che l’errore non è scusabile, poiché il datore di lavoro ha il dovere di conoscere la natura dell’attività dei propri dipendenti e, di conseguenza, l’ente previdenziale corretto.
* Natura dell’incentivo all’esodo: Una parte delle somme contestate riguardava un incentivo all’esodo. L’azienda lo riteneva esente da contribuzione. La Corte ha invece stabilito che, essendo stato versato anche a fronte di una rinuncia a ogni altra pretesa, avesse natura retributiva e fosse quindi imponibile.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, relativo all’inammissibilità della domanda riconvenzionale. Il ragionamento dei giudici si basa sulla specifica natura del rito del lavoro.

A differenza del rito civile ordinario, dove la giurisprudenza ha talvolta ammesso nuove domande in sede di riassunzione, il processo del lavoro è caratterizzato da un sistema di preclusioni molto rigido. La riassunzione, ai sensi dell’art. 50 c.p.c., non dà vita a un nuovo processo, ma rappresenta la prosecuzione di quello originario. Di conseguenza, tutti gli effetti, sostanziali e processuali, del primo giudizio vengono conservati.

Questo significa che i termini perentori per la costituzione del convenuto e per la proposizione di eccezioni e domande riconvenzionali (stabiliti dall’art. 416 c.p.c.) non vengono “riaperti”. L’ente previdenziale, non avendo presentato la sua domanda nei termini del giudizio originario, non poteva più farlo in sede di riassunzione. Consentirlo, secondo la Corte, significherebbe violare i principi di immediatezza e concentrazione che caratterizzano il rito del lavoro.

Le Conclusioni

Nonostante l’accoglimento del motivo procedurale, la sostanza della decisione non è cambiata. La Corte ha cassato la sentenza d’appello nella parte in cui si basava sulla domanda riconvenzionale, ma, decidendo nel merito, ha comunque accertato il debito dell’azienda sulla base degli atti originari del procedimento (l’opposizione al verbale ispettivo). Le spese legali sono state compensate per via della soccombenza reciproca.

La pronuncia è di fondamentale importanza perché ribadisce la specificità e il rigore del processo del lavoro. Insegna che le parti devono definire compiutamente le proprie pretese fin dalle prime battute del giudizio, poiché le successive fasi, inclusa la riassunzione, non offrono una seconda possibilità per sanare eventuali omissioni.

È possibile presentare una domanda riconvenzionale per la prima volta nel giudizio di riassunzione secondo il rito del lavoro?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che nel rito del lavoro la riassunzione del processo costituisce una prosecuzione del giudizio originario. Pertanto, il convenuto non può proporre una domanda nuova che non aveva formulato nei termini previsti nel giudizio iniziale davanti al primo giudice.

Il pagamento dei contributi previdenziali a un ente (INPS) invece che a quello corretto (INPGI) è considerato un errore scusabile per il datore di lavoro?
No, secondo la giurisprudenza costante, l’errore non è scusabile. Il datore di lavoro non può ignorare la natura dell’attività lavorativa svolta dai propri dipendenti e ha l’obbligo di versare i contributi all’ente previdenziale corretto.

Un incentivo all’esodo è sempre escluso dalla base imponibile per i contributi?
Non sempre. In questo caso, la somma era corrisposta non solo come incentivo ma anche a fronte della rinuncia del lavoratore a ogni ulteriore pretesa legata al rapporto di lavoro. Per questo motivo, la Corte ha ritenuto che avesse natura retributiva e fosse quindi soggetta a contribuzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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