Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34551 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34551 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25901-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI “NOME COGNOME“, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchØ contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 777/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/03/2019 R.G.N. 1635/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 6.3.19 la corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di INPGI della somma di euro 128.115 a titolo di contributi previdenziali e condannava l’Inps alla restituzione di quanto indebitamente percepito per effetto dei pagamenti operati da ATM.
In particolare, introdotto da ATM giudizio di opposizione a verbale ispettivo INPGI che aveva accertato debiti contributivi dell’azienda, il giudice originariamente adito si era dichiarato incompetente per territorio in favore del giudice romano, innanzi al quale il giudizio era stato riassunto ex art. 50 c.p.c.; in quella sede, INPGI, nel chiedere il rigetto della opposizione proposta, aveva proposto per la prima volta domanda riconvenzionale di condanna di ATM al pagamento dei contributi di cui al verbale predetto.
Nella sentenza qui impugnata (che ha rigettato l’appello di RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di condanna emessa nei suoi confronti dal tribunale), la corte territoriale ha ritenuto che i lavoratori di RAGIONE_SOCIALE (di cui in atti) erano lavoratori subordinati quali giornalisti, in relazione ai quali opera la nozione di subordinazione attenuata; nel caso vi erano lo stabile inserimento della prestazione nell’organizzazione aziendale e il soddisfacimento di esigenze informative stabili attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti.
Ha quindi accertato il debito contributivo di ATM verso INPGI ed ha condannato l’azienda al pagamento delle relative somme, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta (come detto) nel giudizio riassunto.
La corte territoriale ha quindi ritenuto, in relazione all’erroneo versamento dei contributi per i lavoratori effettuato dall’azienda all’INPS piuttosto che ad INPGI, che l’art. 1189 c.c. non fosse applicabile nella specie, non essendo errore scusabile il versamento all’Inps anziché all’Inpgi, perché il datore di lavoro non può ignorare l’attività dei suoi dipendenti.
Ha ritenuto poi che la somma ricevuta dal lavoratore COGNOME non fosse incentivo all’esodo, ma avesse natura retributiva, con conseguente assoggettabilità alla contribuzione previdenziale.
Infine, quanto alle sanzioni ex legge 388 del 2000, le ha ritenute non applicabili.
Avverso tale sentenza ricorre ATM per cinque motivi, cui resiste con controricorso INPGI.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce violazione dell’articolo 112 c.p.c. per aver ammesso la domanda riconvenzionale da parte del convenuto nel giudizio riassunto ex articolo 50 c.p.c.
Con il secondo motivo si deduce ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. vizio di motivazione della sentenza impugnata sulla qualificazione del rapporto della lavoratrice NOME quale parasubordinato anzichØ autonomo.
Il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 1189 c.c. e 116 c.p.c., per la buona fede nel pagamento all’Inps.
Il motivo quarto deduce violazione dell’articolo 12 legge 153 del 69, per avere la corte territoriale condannato al pagamento dei contributi su somme corrisposte quali incentivo all’esodo sulla base della asserita natura retributiva.
Il quinto motivo deduce violazione dell’art. 2697 c.c. quanto all’incentivo.
Il primo motivo Ł fondato.
Occorre premettere che nel caso di specie, Ł pacifico che la domanda riconvenzionale in questione (domanda di condanna) è stata proposta dall’INPGI solo nel giudizio di riassunzione; la ricorrente ha tempestivamente eccepito la tardività della domanda nella memoria ex art. 418 c.p.c. di replica alla domanda riconvenzionale ed ha formulato -infruttuosamente- specifico motivo di appello per il mancato accoglimento di tale eccezione nel ricorso ex art. 434 c.p.c., poi reiterando la doglianza innanzi a questa Corte.
Ciò posto, questa Corte ha già precisato (Sez. L – , Ordinanza n. 5542 del 01/03/2021 (Rv. 660676 – 01) che, nel rito del lavoro, quando, a norma dell’art. 50 c.p.c., la riassunzione della causa – disposta a seguito di una pronuncia dichiarativa di incompetenza – davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato dal giudice o, in mancanza, dalla legge, il processo continua davanti al nuovo giudice mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali di quello svoltosi davanti al giudice incompetente, poichØ la riassunzione non comporta l’instaurazione di un nuovo processo, bensì costituisce la prosecuzione di quello originario. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, nel rito del lavoro, aveva riconosciuto rilevanza preclusiva alla non contestazione, ex art. 416 c.p.c., valutando il contegno processuale tenuto dalla parte alla prima udienza dinanzi al giudice della riassunzione, in luogo di quello avuto nel giudizio “a quo”).
Ne deriva che, proprio in ragione della peculiarità del rito del lavoro e della rigorosità dei termini per la costituzione del convenuto ex art. 416 c.p.c., non Ł applicabile alla fattispecie in questione il principio affermato in materia civile in relazione al rito ordinario da Sez. 3, Sentenza n. 15753 del 10/07/2014, Rv. 632112 -01, richiamata nella sentenza impugnata oltre che dal controricorrente (secondo cui l’atto di riassunzione del giudizio a seguito di una pronuncia di incompetenza, ex art. 50 cod. proc. civ., può contenere una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, poichØ la particolare funzione dell’istituto della riassunzione di conservazione degli effetti sostanziali della litispendenza non Ł di ostacolo a che esso cumuli in sØ quella introduttiva di un nuovo giudizio, purchØ sia rispettato il contraddittorio, tanto piø che, ove la nuova domanda fosse ritenuta inammissibile, la necessità di introdurre, per quest’ultima, un nuovo giudizio, da riunire al
precedente, si tradurrebbe in un inutile dispendio di attività processuale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo), essendo peraltro il principio ivi enunciato relativo a caso in cui l’attore (e non il convenuto) propone nuova domanda nel giudizio riassunto.
Può dunque affermarsi che nel rito del lavoro, in caso di riassunzione del giudizio a seguito di una pronuncia di incompetenza, ex art. 50 cod. proc. civ., il convenuto non può proporre una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, poichØ la riassunzione non comporta l’instaurazione di un nuovo processo, bensì costituisce la prosecuzione di quello originario, in relazione al quale la facoltà di proporre domande da parte del convenuto è soggetta agli stringenti limiti dell’art. 416 c.p.c.
Il secondo motivo Ł inammissibile perchØ non si tratta di fatto ma di qualificazione rapporto (della lavoratrice NOME). Il motivo Ł comunque infondato, perchØ la sentenza impugnata ha dato conto delle ragioni della propria decisione, richiamando per relationem le risultanze istruttorie del giudizio di primo grado (‘le deposizioni testimoniali e la documentazione versata in atti dall’INPGI’) e facendo proprie le conclusioni della sentenza di primo grado.
Il terzo motivo va del pari disatteso.
Questa Corte ha invero già osservato (Sez. L, Sentenza n. 12897 del 22/06/2016, Rv. 640369 -01; Conf. Sez. L – , Ordinanza n. 2941 del 01/02/2023, Rv. 666815 – 01) che, in caso di omesso o ritardato pagamento di contributi previdenziali all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), privatizzato ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994, non Ł invocabile dal datore di lavoro, che ritenesse sussistente l’obbligo contributivo con l’INPS anzichØ con l’ INPGI, l’art. 1189 c.c., che presuppone l’errore scusabile, della cui prova Ł onerato colui che l’invoca, posto che il datore di lavoro non può ignorare l’attività di lavoro espletata dai propri dipendenti, con il proprio conseguente obbligo, comprensivo della somma aggiuntiva a titolo di sanzione.
Anche il quarto ed il quinto motivo, che possono essere esaminati insieme per la loro connessione, sono privi di pregio.
Questa Corte Ł consapevole che , come precisato da Sez. L – , Sentenza n. 27949 del 31/10/2018,Rv. 651359-01, Sez. L, Sentenza n. 10046 del 15/05/2015, Rv. 635549 – 01) in relazione alla cessazione dal rapporto di lavoro di singoli lavoratori, rientrano tra le somme che, ai sensi dell’art. 4, comma secondo bis, del d.l. 30 maggio 1988, n. 173, convertito nella legge 26 luglio 1988, n. 291, vanno escluse dalla retribuzione imponibile in quanto corrisposte, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, non solo quelle conseguite con un apposito accordo per l’erogazione dell’incentivazione anteriore alla risoluzione del rapporto, ma tutte quelle che risultino erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro per incentivare l’esodo, potendo risultare ciò sia da una indicazione in tal senso nell’atto unilaterale di liquidazione delle spettanze finali, sia da elementi presuntivi.
Il principio non Ł però applicabile al caso di specie, in quanto, come si evince dalla lettura del verbale di conciliazione, risulta che la somma corrisposta al lavoratore COGNOME in occasione della cessazione del rapporto, oltre che per incentivo all’esodo è stata pagata anche a fronte della rinuncia a qualsiasi ulteriore emolumento relativo al rapporto di lavoro, per titoli quindi tipicamente connessi al rapporto in essere.
Per tutto quanto detto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la pronuncia impugnata deve essere cassata nella parte in cui reca conferma della condanna di primo grado di ATM al pagamento in favore dell’INPGI in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da quest’ultimo ente solo nel giudizio riassunto; non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere, quindi, decisa nel merito con conferma della sola parte della sentenza d’appello che ha accertato la debenza da parte di ATM in favore dell’INPGI delle somme di cui alla sentenza di primo grado.
Spese compensate in ragione della soccombenza reciproca.
p.q.m.
accoglie il primo motivo, rigettati gli altri; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata nella parte in cui reca conferma della condanna di primo grado di RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dell’INPGI e, decidendo nel merito, accerta la debenza da parte di RAGIONE_SOCIALE in favore dell’INPGI delle somme di cui alla sentenza di primo grado.
Spese compensate.
Così deciso oggi in Roma, nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024.