Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12936 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12936 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25552/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da sé stesso ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO; -ricorrente principale-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente, ricorrente incidentalecontro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 898/2019, depositata il 15/03/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione al decreto che le aveva ingiunto il pagamento di euro 14.366,87 in favore della società RAGIONE_SOCIALE, quale corrispettivo dovuto per la fornitura e posa in opera di tende. L’opponente deduceva di avere ordinato a RAGIONE_SOCIALE la realizzazione e la posa in opera di un gazebo da collocare sul terrazzo dell’appartamento di NOME, ove l’opponente svolgeva lavori di ristrutturazione, che il gazebo era risultato ben eseguito e installato, ma che, su richiesta del proprietario, erano state commissionate a RAGIONE_SOCIALE la realizzazione e la posa in opera di ulteriori coperture laterali e che quest’opera non era stata realizzata a regola d’arte, tanto che pochi giorni dopo la loro installazione COGNOME si era lamentato che le chiusure laterali non tenevano e non proteggevano quindi né dal vento né dalla pioggia; l’opponente chiedeva quindi la revoca del decreto ingiuntivo, la riduzione del prezzo dell’opera e di essere autorizzato a chiamare in causa COGNOME per essere manlevato dallo stesso in caso di condanna, anche parziale, al pagamento. Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, che sottolineava di avere avvertito l’opponente che le tende laterali non venivano garantite per condizioni di vento forte e che, nonostante tale avvertimento, l’opera era stata commissionata; chiedeva comunque di essere autorizzata a chiamare in causa la società RAGIONE_SOCIALE, produttrice delle tende,
per essere da questa manlevata in caso di condanna. Si costituiva il chiamato COGNOME, che chiedeva di rigettare la domanda di manleva proposta nei suoi confronti e proponeva domanda di risarcimento del danno, causato da un allagamento dovuto alla difettosità delle tende, nei confronti ‘di tutte le parti in causa, ognuna per i propri titoli’, che quantificava in euro 15.000. La chiamata COGNOME invece non si costituiva e veniva dichiarata contumace.
Il Tribunale di Rimini, con la sentenza n. 1024/2015, respingeva l’opposizione e, in accoglimento della domanda di manleva di RAGIONE_SOCIALE, condannava COGNOME a pagare la somma oggetto del decreto a favore dell’opponente e affermava che, ‘conseguentemente, va respinta la richiesta risarcitoria avanzata da’ COGNOME.
La sentenza era impugnata in via principale da COGNOME (che non censurava l’accoglimento della domanda di manleva, ma chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo, anche sostenendo che gli interventi di riparazione dovevano essere gratuiti e contestando la mancata applicazione delle norme del codice del consumo, e la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni) e in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE. La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza 15 marzo 2019, n. 898, ha rigettato sia il gravame di COGNOME che quello di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione attraverso atti distinti NOME COGNOME (con ricorso notificato il 5 agosto 2019) e RAGIONE_SOCIALE (con ricorso notificato il 26 settembre 2019).
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE, che anzitutto eccepisce l’improcedibilità del ricorso di RAGIONE_SOCIALE, in quanto proposto tardivamente e in via principale invece che incidentale. L’eccezione va respinta. Il ricorso non è stato proposto tardivamente, in quanto la comunicazione della sentenza, invocata dal controricorrente, non è idonea a fare decorrere il termine c.d. breve di cui all’art. 325 c.p.c. La proposizione in via principale del ricorso successivamente
proposto non lo rende ‘improcedibile’: il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. 25662/2014).
L’intimata RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE non ha proposto difese. Memoria è stata depositata dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE e dal ricorrente COGNOME.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso principale di COGNOME è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo denuncia ‘nullità della sentenza per extra/ultra petizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360, n. 4 c.p.c.’: la Corte d’appello, confermando la sentenza di primo grado, ha condannato COGNOME a manlevare RAGIONE_SOCIALE di ogni somma che la stessa veniva condannata a pagare, ma RAGIONE_SOCIALE non aveva reiterato in appello la relativa domanda.
Il motivo è infondato. Il ricorrente contesta alla Corte d’appello di avere confermato la domanda di manleva presentata nei suoi confronti da RAGIONE_SOCIALE, senza che questa fosse stata riproposta in appello. Il ricorrente considera quindi che tale domanda era stata accolta dal giudice di primo grado, così che non doveva essere oggetto di riproposizione (ai sensi dell’art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate).
Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 112 c.p.c., ex art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.: la Corte d’appello ha dichiarato inammissibili le domande fatte valere da
NOME perché questi si era costituito solo in udienza, incorrendo così nelle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c.; in tal modo la Corte d’appello non ha tenuto presente che il ricorrente, anche se tardivamente costituito, poteva ‘depositare documenti e proporre tutte le domande e le eccezioni dirette a contestare l’esistenza del presupposto oggettivo della domanda, in quanto costituiscano semplici difese, volte a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda’.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello si è infatti limitata a dichiarare inammissibili ‘le domande proposte dall’AVV_NOTAIO, ivi compresa quella risarcitoria’ (p. 6 della sentenza impugnata) e non ha detto che erano inammissibili anche le semplici difese da questi proposte, semplici difese nelle quali non si comprende d’altro canto come possano essere ricomprese anche le domande (v. al riguardo la non chiara esposizione alla pag. 14 del ricorso, ove si parla di domanda di garanzia, di domanda di eliminazione dei vizi, di domanda di ‘estromissione’ dal decreto ingiuntivo di una fattura), caratterizzandosi la domanda per la richiesta al giudice di un bene della vita e non per la negazione dei fatti costitutivi della domanda avversaria.
3. Il terzo motivo fa valere ‘violazione e/o falsa applicazione delle norme del codice del consumo ex art. 360, n. 3 c.p.c., nonché degli artt. 1666 e 1667 c.c.’: il contratto sulla cui base RAGIONE_SOCIALE ha chiesto ad RAGIONE_SOCIALE il pagamento della somma oggetto del decreto è un contratto di sub -appalto, così che nessun rapporto diretto si è instaurato tra il committente COGNOME e il subappaltatore RAGIONE_SOCIALE, anche se poi – dichiara il ricorrente – egli ha accettato il preventivo di spesa di RAGIONE_SOCIALE sottopostogli da RAGIONE_SOCIALE, firmandolo per accettazione; ciò nonostante, lamenta il ricorrente, il giudice di primo grado non ha applicato gli artt. 128 -130 del codice del consumo, omissione che è stata oggetto di censura in appello.
Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia impugnata. La Corte d’appello non ha affermato – come dice il ricorrente (pag. 20 del ricorso) – che ‘il NOME non ha diritto alle tutele previste per il consumatore’, ma ha invece sostenuto, sulla base della conferma dell’accertamento in fatto posto in essere dal primo giudice, che ‘nessuna responsabilità può essere addebitata all’appellata , anche qualora si applicassero le norme a tutela del consumatore’, essendo l’opera di cui è causa stata eseguita a regola d’arte (cfr. la pag. 6 della sentenza impugnata).
4. Il quarto motivo denuncia ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 167 c.p.c. e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c.’, ex art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.: il giudice di primo grado ha rigettato nel merito la domanda riconvenzionale di NOME di risarcimento del danno, implicitamente ritenendola ammissibile in rito; il relativo capo della sentenza non è stato oggetto di appello né da parte di RAGIONE_SOCIALE, né da parte di RAGIONE_SOCIALE, così che è passato in giudicato e il giudice d’appello non poteva dichiarare inammissibile la domanda perché tardivamente proposta.
Il motivo è infondato. Il Collegio aderisce infatti all’orientamento di questa Corte secondo il quale, come hanno affermato le sezioni unite nel 2019, ‘la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito’ sulla questione che pure costituisca la premessa logica della statuizione di merito, ‘posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio’ (Cass., sez. un., n. 7925/2019). Conseguentemente, ‘una pronuncia di primo grado che, senza affermare espressamente l’ammissibilità di una domanda riconvenzionale, rigetti la stessa per ragioni di merito, non implica alcuna statuizione implicita sull’ammissibilità di tale domanda,
destinata a passare in giudicato se non specificamente impugnata’; in tale ipotesi, il giudice di secondo grado conserva -pur in assenza di appello incidentale, sul punto, della parte rimasta vittoriosa sul merito -il potere, e quindi il dovere, di rilevare d’ufficio l’inammissibilità di detta domanda’ (in tali termini, Cass. n. 7941/2020).
Il ricorso principale va pertanto rigettato.
Il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE è basato su due motivi, tra loro strettamente connessi:
il primo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c. ex art. 360, n. 3 c.p.c. e violazione dell’art. 112 c.p.c., che comporta nullità della sentenza ex art. 360, n. 4 c.p.c.’ per non essersi la Corte d’appello pronunciata sulla domanda di garanzia proposta dalla ricorrente contro RAGIONE_SOCIALE per i costi dell’opera e per le spese per la rimozione dei vizi ad essa completamente addebitate;
il secondo motivo contesta ‘ulteriore violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’ per avere la Corte d’appello respinto la domanda di garanzia, nonostante il materiale fosse stato ritenuto difettoso dal consulente tecnico d’ufficio.
I due motivi non possono essere accolti. La sentenza non è affetta dal vizio di omessa pronuncia: la Corte d’appello ha infatti come riporta la stessa ricorrente alla pag. 12 del ricorso – rigettato l’appello incidentale, che riproponeva la domanda di revoca del decreto ingiuntivo a causa dei vizi dell’opera, ‘attesa l’assenza di vizi imputabili all’impresa esecutrice’. Quanto al secondo motivo, che pure invoca la violazione o falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 c.c. e sostiene di non chiedere una nuova valutazione dei fatti ‘improponibile in cassazione’ (pag. 15 del ricorso), si sostanzia in una inammissibile critica all’accertamento in fatto operato dai giudici di merito, che hanno appunto accertato l’esecuzione a
regola d’arte dell’opera, in quanto tale accertamento si porrebbe in contrasto – ad avviso della ricorrente – con le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.
Il ricorso incidentale va quindi rigettato.
III. Vanno compensate le spese tra il ricorrente principale e la ricorrente incidentale, che vanno condannati al pagamento delle spese in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida per ciascuno in euro 3.600, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione