Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25289 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25289 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17400/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME domicilio digitale come per legge
-ricorrente –
contro
ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO sono elettivamente domiciliati
-controricorrenti –
e nei confronti di
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE in persona del Curatore -intimato – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Milano n. 5245/2019, pubblicata in data 31 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di sei motivi, avverso la sentenza n. 5245 del 2019, pronunciata dalla Corte d’appello di Milano che, confermando le sentenze di primo grado n. 9514/2017, n. 9602/17 e 9603/17 emesse dal Tribunale di Milano, ha respinto gli appelli dalla stessa proposti nei confronti d ell’ Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistono mediante controricorso, mentre la Curatela del RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Questi i fatti esposti a sostegno del ricorso.
2.1. All’esito di gara europea indetta dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, su richiesta del M inistero dell’Economia e delle Finanze, RAGIONE_SOCIALE diveniva affidataria del servizio di ritiro e consegna degli ‘stampati’ (moduli fiscali, formulari, schede elettorali), in virtù di un contratto di durata annuale con decorrenza dal 1° agosto 2001 al 31 luglio 2002, più volte prorogato fino al 30
giugno 2006.
RAGIONE_SOCIALE cedeva a Unicredit RAGIONE_SOCIALE i propri crediti con un primo atto del 26 novembre 2004 e con un successivo atto del 22 gennaio 2007, regolarmente notificati al debitore ceduto e da quest’ultimo accettati.
A fronte del rifiuto da parte dell’istituto Poligrafico e Zecca dello Stato di pagare i crediti ceduti relativi al secondo semestre 2005 ed al primo trimestre 2006, in quanto le fatture emesse non risultavano corredate, come previsto in contratto, di attestazione ministeriale indicante la tipologia e modalità del servizio reso, Unicredit Factoring s.p.a. chiedeva ed otteneva l’emissione di tre decreti ingiuntivi, rispettivamente per gli importi di euro 24.100.037,62, di euro 3.599.962,38 e di euro 6.006.566,75.
2.2. L’ Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato proponeva opposizione avverso i suddetti decreti ingiuntivi, contestando la pretesa creditoria e negando valenza di riconoscimento di debito alle comunicazioni rese dal Ministero nel corso di una riunione tenutasi in data 17 gennaio 2007 e poi con lettera prot. n. 61337 del 10 agosto 2007, trattandosi di dichiarazioni provenienti da un terzo che non rivestiva la qualità di parte contrattuale. Evidenziava, altresì, che dal tenore della corrispondenza intercorsa fra le parti si evinceva che in ogni caso il M inistero dell’Economia e delle Finanze non aveva inteso riconoscere alcun debito, anche alla luce dei fatti accertati da una apposita Commissione, dallo stesso costituita con provvedimento del 31 marzo 2008, che aveva rilevato che ‹‹ la conferma delle spedizioni effettivamente eseguite è infatti in misura ampiamente inferiore all’1% di quelle fatturate nei due semestri in riferimento›› , e degli esiti di ulteriore relazione stilata dall’Ufficio VIII della Direzione Centrale dei Servizi del Tesoro del 17 novembre 2009, che aveva posto in rilievo che ‹‹ dal 01.06.2005 al 30.06.2006, secondo la
documentazione prodotta dall’impresa di trasporto, sarebbero stati trasportati 178.504.000 kg di stampati comuni che, invece, secondo la documentazione degli ex RAGIONE_SOCIALE si ridurrebbero a 568.384 kg di merce affidata in consegna e consegnata, che corrisponderebbe a circa 1/314 di quanto preteso dalla Ditta ›› .
RAGIONE_SOCIALE costituendosi in giudizio, contestava le risultanze della Commissione, rilevando che l’eccezione di inadempimento non era opponibile dal debitore ceduto al cessionario, in quanto fondata su eventi successivi alla cessione; in via subordinata, chiedeva la condanna dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato al risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., in misura pari al credito ceduto.
Il Tribunale di Milano, con tre distinte sentenze, accoglieva le opposizioni e revocava i decreti ingiuntivi, ritenendo che la documentazione allegata non contenesse alcun riconoscimento di debito; dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento del danno formulata dalla parte opposta, sul presupposto che l’opponente non aveva formulato alcuna domanda riconvenzionale rispetto alla quale l’opposta avesse necessità di difendersi avanzando a pr opria volta una reconventio rconventionis.
2.3. Le sentenze, impugnate con autonomi atti di appello da Unicredit RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE previa riunione, sono state confermate dalla Corte d’appello di Milano.
In sintesi, il giudice di secondo grado ha ritenuto che l’appellante non avesse dimostrato l ‘adempimento delle prestazioni da parte della ditta cedente, non potendo considerarsi prove idonee le fatture, le notificazioni ed accettazioni delle cessioni di credito, gli ordini cd. ‘ a regolarizzazione ‘ e, soprattutto, le dichiarazioni rese dal MEF, considerato che il Ministero era soggetto estraneo al rapporto
contrattuale e che l’Istituto Poligrafico non poteva considerarsi società in house providing del Ministero; ha, infine, negato l’ammissibilità , perché nuova, della domanda ex art. 2043 cod. civ.
Per la trattazione del ricorso è stata fissata l’adunanza camerale del 29 settembre 2023, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ., in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria illustrativa. C on ordinanza interlocutoria resa all’esito della camera di consiglio, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione, posta con il quarto motivo di ricorso, del se, nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo, possa considerarsi ammissibile modificare la domanda di adempimento contrattuale, avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, mediante la proposizione di una domanda di risarcimento del danno.
Il ricorso è stato nuovamente fissato in adunanza camerale e le parti hanno depositato memorie illustrative.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di impugnazione -rubricato: ‹‹Omesso esame di molteplici fatti decisivi e determinanti in ordine alla corretta posizione giuridica del MEF, in relazione al motivo di cui al primo comma, n. 5, dell’art. 360 c.p.c.›› la ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di prendere in considerazione fatti decisivi afferenti alla corretta qualificazione del MEF nella vicenda in esame, limitandosi a prendere posizione sulla sola argomentazione concernente la qualifica dell’Istituto Poligrafico come società in house providing del Ministero.
Secondo quanto la ricorrente assume, la decisione impugnata non avrebbe considerato che il MEF era stato : (i) il soggetto che aveva richiesto all’Istituto Poligrafico l’espletamento diretto del servizio di
trasporto e distribuzione degli stampati alla base del contratto concluso con RAGIONE_SOCIALE; (ii) il reale beneficiario delle prestazioni rese da RAGIONE_SOCIALE in forza delle quali era sorto il credito di UCF; (iii) il soggetto che forniva al Poligrafico la provvista necessaria per il pagamento delle fatture in favore di RAGIONE_SOCIALE e che ne autorizzava il pagamento; (iv) il soggetto che aveva gestito e seguito le trattative finalizzate a ottenere i pagamenti delle attività prestate da RAGIONE_SOCIALE e che, a fronte delle problematiche sorte in merito alla documentazione contrattuale, aveva commissionato ai propri dirigenti le attività di verifica, nonché il soggetto che era volontariamente intervenuto nel giudizio di primo grado. Tali circostanze -prosegue la ricorrente -facevano emergere che il M inistero dell’Economia e delle Finanze non poteva essere ritenuto soggetto terzo, con rilevanti conseguenze in tema di valutazione dei documenti e di onere probatorio gravante sulle parti. In aggiunta, rileva come, ‘ fermo il ruolo sostanziale svolto dal MEF, pur soggetto formalmente distinto dall’Istituto Poligrafico, poteva anche escludersi una alterità soggettiva tra Mef e Poligrafico dal momento che il secondo poteva ritenersi sostanzialmente società in house providing del primo ‘ . Evidenzia, quindi, che il contratto con RAGIONE_SOCIALE era stato stipulato dal l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che era stato incaricato di svolgere anche il servizio di trasporto e distribuzione degli stampati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che aveva agito nella sua qualità di mandante, sicché, essendosi in presenza di un contratto a favore del terzo, le dichiarazioni rese dal MEF non potevano essere considerate come provenienti da un soggetto estraneo alla vicenda.
Con il secondo motivo si denunzia ‹‹violazione e falsa applicazione della normativa in tema di onere probatorio e, più in particolare, dell’art. 2697 c.c., 1988 c.c., 2730, 2731, 2735 c.c. in
relazione al motivo di cui al primo comma, n. 3, dell’art. 360 c.p.c., laddove la Corte di Appello ha escluso la valenza probatoria delle dichiarazioni confessorie/ricognitive rese dal MEF e dei cd. ordini a regolarizzazione››.
La decisione impugnata è censurata nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che la ricorrente non avesse adempiuto l’onere probatorio sulla stessa gravante, ed in particolare sia là dove è stata negata qualsiasi rilevanza giuridica alle dichiarazioni confessorie/ricognitive rese dal MEF (contenute nel verbale del 17 gennaio 2007 e nelle missive del 10 agosto 2007), nonostante il ruolo di beneficiario ‘pagatore’ delle prestazioni dallo stesso svolto, sia laddove è stata esclusa valenza probatoria ai cd. ordini ‘ a regolarizzazione ‘ , ossia ai documenti predisposti successivamente all’emissione delle fatture, provenienti dal soggetto debitore e da quest’ultimo sottoscritti, come tali idonei a certificare l’effettiva esecuzione delle prestazioni e, quindi, la sussistenza del credito azionato.
3. Con il terzo motivo, d educendo ‹‹omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione al motivo di cui al primo comma, n. 5, dell’art. 360 c.p.c. laddove una molteplicità di prove ritualmente prodotte da UCF in ordine all’ onus probandi su di sé gravante non abbia costituito, neppure implicitamente, oggetto di esame da parte del Giudice di merito››, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello si sarebbe pronunciata esclusivamente sulla notifica/accettazione delle cessioni, sulle fatture, sulle dichiarazioni e sugli ordini a regolarizzazione, senza fare alcun riferimento agli ulteriori elementi probatori forniti. In particolare, le omissioni lamentate sarebbero relative alle attestazioni degli Enti periferici del MEF in ordine alla conformità e buon fine delle consegne, alle dichiarazioni rese dal l’Istituto Poligrafico in data 15 novembre 2007 e 30 gennaio 2008,
che confermerebbero l’esistenza del credito azionato in via monitoria e al comportamento complessivo posto in essere dallo stesso Istituto Poligrafico che faceva presumere l’esistenza del credito.
Con il quarto motivo si censura la decisione gravata per ‹‹falsa applicazione degli artt. 645, secondo comma, e 183, quinto comma, c.p.c. in relazione al motivo di cui al primo comma e n. 4 dell’art. 360 c.p.c., laddove la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento danni formulata da UCF››.
La ricorrente evidenzia che nei ricorsi monitori aveva invocato la violazione degli obblighi contrattuali, mentre nei giudizi di opposizione aveva esercitato (anche) una mera azione subordinata e non una domanda riconvenzionale, senza ampliare il thema decidendum ; aggiunge che la domanda subordinata è comunque ammissibile anche se qualificata come riconvenzionale, in quanto l ‘ Istituto Poligrafico aveva svolto un’eccezione di inadempimento a fronte della quale aveva proposto una riconvenzionale senza mutare il thema decidendum ; la Corte d’appello avrebbe , pertanto, errato nel dichiarare inammissibile la domanda di risarcimento dei danni, in quanto si trattava di domanda connessa a quella azionata nel procedimento monitorio, consentita in forza dell’eccezione di inadempimento svolta dall’opponente.
Con il quinto motivo si deduce ‹‹omessa e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 2043 c.c. in relazione al motivo di cui al primo comma, n. 3, dell’art. 360 c.p.c., laddove la Corte di Appello ha erroneamente qualificato il ruolo svolto dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a. con riferimento alla domanda di risarcimento danni formulata da UCF›› .
Assume la ricorrente che, nel caso in cui fosse confermata, perché fondata, l’eccezione d’inadempimento, al debitore d ovrebbe essere contestata la violazione delle regole di buona fede e collaborazione ed
essere addebitata una responsabilità suscettibile di provocarne la condanna al risarcimento dei danni patiti dal factor ; precisa al riguardo, che deve essere riconosciuta la responsabilità del Poligrafico per non avere tempestivamente comunicato al factor le eccezioni che solo in sede di opposizione potevano essere fatte valere e che -se fondate -avrebbero dovuto essere portate a conoscenza del factor al fine di permettergli di valutare scientemente la situazione ed, eventualmente, agire nei confronti della società cedente. Non avendo l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato agito diligentemente e secondo buona fede, la Corte d’appello, secondo la ricorrente, a seguito della revoca dei decreti ingiuntivi, avrebbe dovuto valutare tale circostanza e condannarlo al risarcimento del danno da essa patito.
6. Con il sesto motivo, censurando la decisione gravata per difetto di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di rimessione della causa in istruttoria, da essa avanzata, sebbene avesse insistito per la riforma delle sentenze di primo grado nella parte in cui non avevano disposto le prove dedotte in primo grado, e sulla richiesta di ammissione delle istanze istruttorie; rappresenta che le prove non ammesse, riportate in ricorso, sono determinanti e idonee a dimostrare circostanze tali da invalidare certamente l’efficacia delle risultanze istruttorie offerte dalle controparti, sulle quali si è fondato il convincimento del giudice.
7. Il primo motivo è inammissibile.
Le deduzioni svolte dalla ricorrente non colgono nel segno in quanto non si confrontano con la ratio decidendi della pronuncia, che si fonda sul presupposto che l’Istituto Poligrafico è soggetto giuridico distinto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e che solo il primo è parte contraente del rapporto contrattuale instaurato con la società
RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello, non condividendo la tesi difensiva della odierna ricorrente, secondo la quale l’Istituto Poligrafico rappresenterebbe una società in house providing del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che detiene il 100 per cento del capitale sociale, ha invero affermato, alla stregua dei requisiti che, secondo questa Corte (Cass., sez. U, 21/06/2019, n. 16741; Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26283), devono ricorrere perché una società possa definirsi in house providing, che i poteri di controllo che il Ministero può esercitare sull’Istituto Poligrafico ‹‹ sono quelli che il codice civile stabilisce in favore degli azionisti e non quelli che il Ministero esercita sui propri uffici interni ›› ; accertando in tal modo la non riconducibilità del rapporto fra il Ministero e la società partecipata alla fattispecie della società in house, in difetto della contemporanea presenza dei tre requisiti individuati dalla giurisprudenza di legittimità .
È, pertanto, evidente che le circostanze richiamate dalla ricorrente a supporto della doglianza non si correlano con la ricostruzione operata dai giudici di appello, che hanno escluso che l’ Istituto Poligrafico possa essere considerato come una articolazione interna del Ministero, in tal modo facendo perdere rilevanza alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, che insiste anche in questa sede nel sostenere che l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato avesse assunto l’ obbligo di compiere un atto giuridico per conto del MEF, il quale, rivestendo nella vicenda in esame la qualità di mandante, avrebbe curato direttamente i contatti con RAGIONE_SOCIALE e reso dichiarazioni decisive che non possono essere ritenute provenienti da un soggetto estraneo al rapporto contrattuale.
A quanto detto deve aggiungersi che la censura, per come formulata, non è riconducibile nel paradigma dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione alla sola ipotesi di ‹‹ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ››, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost.
Pertanto, laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un ‹‹ fatto storico ›› controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‹‹ decisivo ›› ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo della decisione adottata o ancora per denunciare l’omesso esame di deduzioni difensive ( Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940: Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 2, 26/04/2022, n. 13024; Cass., sez. 2, 20/06/2024, n. 17005).
Nella specie, la ricorrente non ha indicato il ‹‹ fatto storico ›› , che il giudice di appello avrebbe trascurato di valutare, ma ha piuttosto fatto riferimento a ll’omesso esame di argomenti e deduzioni difensive. Questa Corte ha chiarito che costituisce un ‹‹ fatto ›› , agli effetti dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass., sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass., sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass., sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass., sez. U, 23/03/2015, n. 5745; Cass., sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa,
“fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass., sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass., sez. L, 21/10/2015, n. 21439). Inoltre, il fatto deve avere carattere decisivo, cosicché per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., sez. 6 – 1, 06/09/2019, n. 22397; Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 2, 06/02/2025, n. 2961).
Tale allegazione manca nella doglianza qui in esame.
Il secondo motivo è, in parte, inammissibile e in parte infondato.
8.1. La ricorrente, nel muovere censura al capo della sentenza d’appello che non ha riconosciuto rilevanza giuridica alle dichiarazioni provenienti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ripropone in questa sede la questione, già dibattuta in sede di merito e vagliata dai giudici di secondo grado, relativa alla valenza confessoria o ricognitiva di debito che, secondo la sua prospettazione difensiva, dovrebbe essere attribuita a dette dichiarazioni.
Sul punto, tuttavia, la Corte d’appello, con motivazione esaustiva e del tutto condivisibile, partendo dal rilievo che l’Istituto Poligrafico non può essere considerato società in house del MEF, alla luce sia della ricostruzione normativa effettuata ai fini della definizione della sua natura e dei compiti ad esso affidati, sia della giurisprudenza applicabile in tema di società in house providing , ha puntualmente evidenziato che le dichiarazioni contenute nel verbale del 17 gennaio
2007 e le missive del 10 agosto 2007 non possono avere la valenza che ad esse vorrebbe riconoscere l’odierna ricorrente , in quanto non provenienti dalla controparte contrattuale della RAGIONE_SOCIALE, ossia dall’unico soggetto obbligato al pagamento dei corrispettivi previsti dal contratto. Per superare la valutazione operata dalla Corte territoriale, la ricorrente sottolinea ‹‹ come le espressioni contenute nei predetti documenti non possono che essere interpretate come confessioni/riconoscimento di debito ›› , stante il ‹‹ chiaro ed inequivoco dato letterale che, invero, non lascia spazio a diversa interpretazi one, in ossequio ai principi che regolano l’interpretazione del contratto, applicabili -in quanto compatibili -anche agli atti unilaterali in virtù de l disposto di cui all’art. 1324 c.c.›› (pag. 42 e ss. del ricorso). Così argomentando, la ricorrente muove in realtà una contestazione che investe la ricostruzione della volontà manifestata dal M inistero dell’Economia e delle Finanze tramite le suddette dichiarazioni e, quindi, una questione di interpretazione delle medesime dichiarazioni, la cui prospettazione in questa sede è, tuttavia, inammissibile perché affetta da novità, poiché non emerge dalla decisione impugnata che tale questione fosse stata dedotta nel giudizio di secondo grado, nel corso del quale, con il primo motivo di gravame, la Unicredit ha limitato le proprie doglianze ad una presunta violazione dell’art. 2697 cod. civ., addebitando al giudice di primo grado di non avere fatto corretta applicazione dei criteri in tema di onere probatorio e di valutazione delle prove offerte dalle parti.
Al riguardo, non può che ribadirsi che, qualora una questione giuridica -implicante un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per
il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., sez. 6 – 5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., sez. 2, 24/01/2019, n. 2038; Cass, sez. 1, 01/07/2024, n. 18018).
8.2. La decisione gravata non incorre, dunque, nelle violazioni di cui agli artt. 1988, 2730, 2731 e 2735 cod. civ., evocate in rubrica, dal momento che la ricognizione di debito e la promessa di pagamento devono provenire da soggetto legittimato dal punto di vista sostanziale a disporre del patrimonio su cui incide l’obbligazione dichiarata e, con riferimento ad un ente collettivo, deve provenire da soggetto munito dei relativi poteri rappresentativi (Cass., sez. 2, 24/04/2012, n. 6473); nel caso di specie, pertanto, alle dichiarazioni provenienti dal MEF, che è soggetto terzo rispetto al rapporto contrattuale, non può riconoscersi efficacia ricognitiva di debito o natura confessoria della pretesa creditoria.
8.3. Neppure è configurabile la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395). Difatti, anche laddove i giudici di secondo grado hanno rilevato che gli ordini cd. ‘ a regolarizzazione ‘ non possono costituire prova dell’avvenuto adempimento delle prestazioni contrattuali, perché documenti generati in automatico dal sistema informatico dell’Istituto Poligrafico per la registrazione delle fatture, hanno svolto
un apprezzamento delle prove offerte dalle parti, riservato esclusivamente al giudice di merito, che non può essere scrutinato in sede di legittimità se non entro i ristretti limiti del riformulato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., profilo neppure dedotto nel caso de quo .
Il ricorrente per cassazione non può, invero, rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra le tante, Cass., sez. 5, 22/11/2023, n. 32505).
9. Inammissibile è anche il terzo motivo.
Questa Corte ha evidenziato che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di “fondamento” (Cass., sez. 6 -5, 28/09/2016, n. 19150; Cass., sez. 3, 26/06/2018, n. 16812; Cass., sez. 1, 13/06/2024, n. 16583).
Nel caso di specie non sono state puntualmente indicate le ragioni per le quali i documenti trascurati avrebbero senza dubbio dato luogo a una decisione diversa, non potendo a tal fine valere le generiche considerazioni svolte dalla ricorrente alle pagine da 49 a 52 del ricorso e ribadite nelle memorie illustrative.
Il quarto motivo è fondato, con assorbimento dei restanti motivi.
10.1. Sulla questione che la ricorrente prospetta sono, di recente, intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 26727/2024.
Prendendo le mosse dagli arresti nomofilattici del 2015 e del 2018 (Cass., sez. U, n. 12310/2015 e Cass., sez. U, n. 22404/2018) e tenuto conto della specialità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le Sezioni Unite hanno esaminato la giurisprudenza di legittimità successiva, rilevando come al consistente orientamento che ancora afferma che n ell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dal opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis che deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale” (Cass. sez.1, 22/06/2018, n. 16564; Cass., sez. 2, 25/02/2019 n. 5415; Cass., sez. 3, 10/03/2021, n. 6579), si contrappongono altre decisioni coerenti con il nuovo percorso ermeneutico (Cass. sez. 1, 24/03/2022 n. 9633; Cass., sez. 3, 22/09/2023, n. 27183; Cass., sez. 3, 27/11/2023 n.
32933), che hanno riconosciuto all’opposto la facoltà di integrare il thema decidendum nella comparsa di costituzione e risposta.
Confermando tale ultimo orientamento, hanno chiarito che ‹‹ dall’avvio monitorio del contenzioso non deriva alcuna cristallizzazione delle facoltà difensive in termini di formazione del thema decidendum , come se l’opposto le avesse esaurite nella fase monitoria. Per cui, anche nel caso in cui la controparte sia “ferma” sulla costruzione del thema decidendum perché non ha attivato il work in progress riconvenzionale , nella propria comparsa di risposta il soggetto che aveva chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo può aggiungere pretese non correlate a quella originaria, se non mediante lo strumento teleologico dell’interesse (…)›› ; con la conseguenza che è stata ritenuta ammissibile la proposizione nella comparsa di risposta, da parte dell’opposto, di domande come quelle ex articoli 1337 e 2041 cod. civ., ‹‹ ben potendo a livello generale/astratto riconoscersi anche a fondamento di esse l’interesse – dell’originario ricorrente – in relazione alla vicenda, originariamente tradotto in azione d’adempimento contrattuale: invero, il petitum di tale domanda alternativa risulta almeno in parte corrispondente alla prima pretesa avanzata in via monitoria ›› .
Riguardo, poi, alla sussistenza della facoltà dell’opposto di inserire domande difensive/alternative non nella comparsa di risposta, bensì nello sviluppo ulteriore del processo, e dunque nella prima udienza e nella memoria ex articolo 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ. ratione temporis applicabile, la Sezioni Unite hanno escluso tale possibilità richiamando il fondamentale principio della parità delle parti, sul rilievo che nel giudizio instaurato con ricorso monitorio la parte opposta ‘ha già goduto di uno stadio procedurale “esclusivo” per avanzare una propria pretesa, pur nei limiti probatoriamente perimetrati. Dunque, se nella fase contenziosa le viene concesso tutto
quel che viene concesso ‘in via riparativa’ alla sua controparte, rimarrebbe proprio un livello di disparità non assorbito con l’avvio del contraddittorio’. Precisando, tuttavia, che tanto ‘.. non toglie certo allo jus variandi dell’opposto gli spazi garantiti dalla piena tutela di tutte le parti in via ermeneutica rinvenuta da S.U. 12310/2015 e ribadita da S.U. 22404/2018, essendo pertanto ammissibile, qualora la condotta difensiva dell’opponente si avvalga dello jus variandi posteriormente all’atto di citazione in opposizione, che l’opposto secondo i generali principi difensivi possa esercitarlo a sua volta, e quindi anche nell’ultimo stadio della memoria ex articolo 183, sesto comma, c.p.c. ‘.
È stato, pertanto, enunciato il principio secondo cui ‹‹ Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore opposto può proporre domande alternative a quella introdotta in via monitoria, a condizione che esse trovino fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda e che siano introdotte nella comparsa di risposta, ferma restando la possibilità, qualora l’opponente si avvalga dello ” ius variandi ” posteriormente all’atto di opposizione, di proporre domande che costituiscano una manifestazione reattiva di difesa, anche se non ” stricto sensu ” riconvenzionali, sino alla prima udienza e nella memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. ›› .
10.2. A tali principi non si è attenuta la Corte d’appello, che ha dichiarato inammissibile, perché nuova e diversa rispetto a quella di adempimento contrattuale proposta con l’atto introduttivo del giudizio, la domanda di risarcimento dei danni, formulata, in via subordinata, in comparsa di risposta.
L’odierna ricorrente, in realtà, chiedendo in via subordinata o alternativa la condanna della originaria opponente al risarcimento dei danni patiti, in misura pari al capitale portato dai decreti ingiuntivi
opposti, avendo anticipato in favore di RAGIONE_SOCIALE esattamente un importo pari all’ammontare delle fatture azionate, ha fatto valere una pretesa che trova origine nella medesima vicenda e si fonda sul medesimo interesse sotteso alla domanda monitoriamente introdotta.
Ciò che impone di cassare la sentenza impugnata nella parte in cui, confermando la sentenza di primo grado, ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno , con rinvio alla competente Corte d ‘appello, alla quale deve essere demandato l’esame delle istanze istruttorie e della domanda riconvenzionale.
Conclusivamente, deve essere accolto il quarto motivo, assorbiti il quinto ed il sesto, e vanno rigettati il secondo motivo e dichiarati inammissibili il primo ed il terzo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo, assorbiti il quinto ed il sesto, rigetta il secondo motivo e dichiara inammissibili il primo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 14 aprile 2025
IL PRESIDENTE NOME COGNOME