Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16148 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 16148 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10444/2019 R.G. proposto da:
DELLA NOME COGNOME NOME, domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall ‘ avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE.
CONDOMINIO COGNOME NOME COGNOME, posto in INDIRIZZO Cava De ‘ Tirreni, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
Condominio
avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Salerno n. 242/2018 depositata il 22/02/2018.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 6 febbraio 2025.
Udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto che la Corte rigetti il ricorso.
Udito l’avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente.
Udito l’avvocato NOME COGNOME per parte controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso depositato il 21/05/2009 NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnarono la delibera dell’assemblea condominiale, approvata il 29/04/2009, che decideva di apporre un dissuasore ad elevazione e scomparsa e uno scudetto abilitante al parcheggio delle autovetture sullo spazio comune antistante il fabbricato del Condominio Palazzo COGNOME (in seguito: ‘Condominio’) , prima di allora utilizzato per la sosta e l’accesso ai locali terranei in proprietà esclusiva dei ricorrenti, adibiti ad esercizio commerciale.
Quali fatti costitutivi della domanda di nullità o di annullamento della delibera allegarono che era stata approvata in violazione del regolamento condominiale, per eccesso del numero delle deleghe, e per violazione dei quorum deliberativi di cui ai commi 2 e 5 dell’art. 1136 c.c.; che la decisione assembleare incideva anche sul suolo di proprietà de l Comune di Cava de’ Tirreni, su cui l’assemblea non aveva potere di decidere; la lesione del loro diritto dominicale per effetto della limitazione dell’accesso della clientela ai locali commerciali di cui erano proprietari.
Il Condominio, costituendosi, contestò la domanda e chiese che venisse respinta.
Nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. i ricorrenti chiesero di accertare e dichiarare la sussistenza del loro diritto reale di uso e/o di servitù a piedi e con mezzi meccanici sull’area antistante i detti locali commerciali, per destinazione del costruttore o comunque a titolo di usucapione ventennale.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1141/2015, respinse la domanda e condannò i ricorrenti al rimborso delle spese.
Decidendo sul gravame interposto dai quattro ricorrenti -due dei quali, ossia NOME COGNOME e NOME COGNOME nel corso del giudizio, hanno rinunciato all’ impugnazione -la Corte d’appello di Salerno, nella resistenza del Condominio, ha respinto l’appello e ha condannato tutti gli appellanti al pagamento delle spese.
Questi, in breve, i passaggi chiave della decisione: (i) va considerata come domanda nuova, cioè, come una mutatio libelli , estranea all’iniziale oggetto del ricorso, quella proposta dai condomini nel la prima memoria dell’art. 183 comma 6 c.p.c., in cui si chiede di accertare il diritto di servitù di accesso e di sosta dei veicoli sullo spazio comune, anche a titolo di usucapione ventennale; (ii) il giudice di prime cure, nel rigettare la domanda di usucapione del diritto di parcheggio, non ha pronunciato ultra petita ; (iii) non è provato il diritto di servitù di accesso e sosta sull’area antistante i locali commerciali degli appellanti; (iv) non è stato violato il principio di non contestazione in quanto il Condominio non aveva potuto contestare la domanda di accertamento della servitù nella prima difesa utile trattandosi di richiesta formulata dai ricorrenti soltanto nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c.; (v) la decisione dell’assemblea , al contrario di quanto prospettato, non è illegittima perché inciderebbe su porzioni di proprietà comunale, dato che, in realtà, il contenzioso amministrativo davanti al Tar Campania, conclusosi con provvedimento di perenzione, non riguarda i numeri civici di cui si
discute, ma si riferisce ad altri numeri civici, né risulta dal titolo di acquisto della proprietà delle unità immobiliari che partecipano al condominio il riconoscimento della proprietà pubblica sull’area antistante i civici 16 e 18; (vi) non risulta nemmeno l’approvazione di un regolamento di condominio che limiti il numero massimo di deleghe conferibili ad un singolo rappresentante. Infatti, quello prodotto in giudizio, è un regolamento non firmato dai condomini né approvato dall’assemblea; (vi i) la delibera contestata non introduce un’innovazione soggetta al regime di approvazione di cui all’a rt. 1136 c.c. perché non determina un mutamento di destinazione delle aree condominiali.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
Il Condominio ha resistito con controricorso.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto che il ricorso venga respinto.
In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, non sussiste il primo profilo di inammissibilità del ricorso eccepito dal Condominio, in quanto i motivi soddisfano l ‘ onere di specificità sancito dall ‘ art. 366 comma 1 nn. 4) e 6) c.p.c., essendo indicate le norme di legge che si assumono violate, norme il cui contenuto precettivo è esaminato e raffrontato alle affermazioni in diritto contenute nella sentenza, ed essendo le censure corredate d ell’indicazione del contenuto rilevante degli atti e dei documenti sui cui le stesse si basano.
È fondata l’eccezione del Condominio relativa al difetto di notificazione del ricorso per cassazione a NOME COGNOME e ad NOME COGNOME da considerarsi litisconsorti necessarie per la loro posizione di condomine che hanno impugnato la decisione assembleare, nonché
appellanti e, in corso di causa, rinuncianti al gravame (vedi, al riguardo, Cass. nn. 13331/2000, 21832/2007, 2859/2016, 22370/2017).
Tuttavia, l ‘infondatezza del ricorso, come appresso evidenziata, rende superfluo, inutilmente dispendioso e defatigante l ‘ altrimenti necessario ordine di integrazione del contraddittorio, sicché non si provvede in tal senso (Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; in termini, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8980 del 15/05/2020, Rv. 657883 -01; Cass. 21/05/2018, n. 12515; 10/05/2018, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106).
Il primo motivo di ricorso denuncia , ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, ‘ultra petizione; obiter dictum e motivazione ad abundantiam e contraddittoria; violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.’.
I ricorrenti chiedono che la sentenza sia cassata senza rinvio nella parte in cui, con motivazione contraddittoria, dopo averla qualificata quale domanda nuova e ritenendola, quindi, implicitamente inammissibile, ha deciso nel merito -rigettandola -la domanda di riconoscimento della cosiddetta servitù industriale.
Il secondo motivo -proposto, al pari dei motivi fino al quinto compreso, in subordine, per l’ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo -denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 183 comma 6 c.p.c. ed erronea e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Si critica l’errore di valutazione e di giudizio della sentenza che non avrebbe percepito che i ricorrenti – i quali, nell’atto introduttivo , avevano chiesto l’accertamento del loro diritto di servitù di passaggio a piedi e con mezzi meccanici sull’area antistante i locali di loro proprietà – nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., attuando
un ‘ emendatio libelli senz’altro legittima, hanno specificato il diritto leso;
il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., ultrapetizione ed erronea motivazione su un punto decisivo della controversia.
La sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione nella parte in cui, confermando la decisione di primo grado, afferma che i ricorrenti hanno agito per vedere riconosciuta l’usucapione di un pi ù gravoso diritto di ‘ parcheggio ‘ o di ‘ accesso ‘ e ‘ sosta ‘ sull’area antistante i loro locali commerciali, mentre l ‘originaria domanda era volta al riconosci mento del ‘libero passaggio’ sulla stessa ‘zonetta condominiale ‘ .
Il quarto motivo denuncia, ai sensi de ll’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 167 comma 1 c.p.c.
Si lamenta che l a Corte d’appello non avrebbe applicato il principio di non contestazione: la domanda di riconoscimento della servitù industriale era stata proposta nella cd. ‘ prima memoria ‘ e il Condominio, nella prima difesa utile, ossia nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c., non ha contestato né l’ esistenza della proprietà o dell’uso pubblico dell’area né l’esistenza della servitù industriale.
Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1027 e 1028 c.c.
Si addebita alla sentenza di non avere riconosciuto la servitù industriale nonostante che le prove assunte in primo grado (interrogatorio dell’amministratore del Condominio, prova per testi) attestassero che, dal 1988 e fino alla delibera condominiale impugnata del 29/04/2009, non esisteva alcuna delimitazione
dell’area antistante l’ingresso di INDIRIZZO , alla quale chiunque poteva accedere per parcheggiare.
I l sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 e ss. c.c., degli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 285 del 1992 e dell’art. 22 comma 3 della legge n. 2248/1865.
Sarebbe altresì viziata l’affermazione della sentenza secondo cui (pag. 5) ‘non sussiste alcuna illegittimità della delibera per il fatto di incidere su porzioni di proprietà comunale ‘.
Infatti, sostengono i ricorrenti, posto che l’art. 22 comma 3 della legge n. 2248 del 1865 definisce le aree pubbliche, aperte al pubblico o ad uso pubblico, tra le quali rientra anche l’area antistante INDIRIZZO, una delibera condominiale non può incidere né porre lim itazioni di sorta all’uso pubblico di una porzione di proprietà comunale.
Con la conseguenza, concludono i ricorrenti, che la delibera del 29/04/2009 sarebbe nulla ex art. 1418 c.c., o annullabile, per violazione delle norme imperative, che vietano al privato di eseguire opere od installazioni su beni pubblici senza l’autorizzazione dell’ente pubblico proprietario.
I l settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1120, 1136 comma 5, 1102, 1130 n. 2) e 1138 comma 4 c.c., 115, 167 comma 1 c.p.c.
La sentenza sarebbe in contrasto con l’art. 1120 c.c. nella parte in cui non riconosce che la decisione dell’assemblea dei condomini del 29/04/2009 di installare e regolamentare il dispositivo di chiusura dell’area scoperta antistante il Condominio, adottata con la maggioranza di soli 501,38 millesimi, si pone in contrasto con la disposizione ex art. 1136 comma 5 c.c., in tema di innovazioni
condominiali, le quali (testualmente) ‘ devono essere approvate dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio’.
I primi cinque motivi, che possono essere esaminati insieme per la loro stretta connessione, sono infondati.
8.1. Non è fondata la prima censura: la sentenza non ha una motivazione contraddittoria giacché contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e consente un «effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023).
Non sussiste il prospettato vizio di ultrapetizione: la Corte di Salerno condivide la statuizione del primo giudice secondo cui i condomini, c he originariamente avevano chiesto l’annullamento della decisione dell’assemblea, con la prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., hanno fatto inammissibilmente valere una domanda nuova di accertamento del diritto di servitù di accesso e sosta dei veicoli sullo spazio condominiale, domanda che, ad avviso del giudice d’appello, sarebbe anche infondata nel merito.
8.2. Neppure sussiste il prospettato errore di diritto in punto di esegesi e applicazione dello ius variandi delineato dall’a rt. 183 comma 6 c.p.c.
La nozione di ‘domanda alternativa’ o di ‘domanda modificata’ (o ‘domanda complanare’, secondo la definizione di una parte della dottrina), ammissibile (a differenza della domanda nuova che non costituisca una reazione specifica alle difese della controparte) si trae con chiarezza dalla giurisprudenza della Corte.
Sez. U. n. 12310 del 2015 (pag. 19) afferma che «a vera differenza tra le domande ‘nuove’ implicitamente vietate -in relazione alla eccezionale ammissione di alcune di esse – e le
domande ‘modificate’ espressamente ammesse non sta nel fatto che in queste ultime le ‘modifiche’ non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate ‘nuove’ nel senso di ‘ulteriori’ o ‘aggiuntive’, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali -, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività»; e ( ibidem , pagg. 19-20) aggiunge che «secondo la disciplina positiva enucleabile dalla struttura dell’art. 183 c.p.c., sta tutto il loro non essere domande ‘nuove’, rispetto ad un divieto implicitamente ricavato dalla (e pertanto oggettivamente correlato alla) necessità espressa di prevedere l’ammissibilità di alcune specifiche domande ‘nuove’ aventi la caratteristica di non essere alternative alla (o sostitutive della) domanda iniziale, ma di aggiungersi ad essa: in pratica, con la modificazione della domanda iniziale l’attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio».
In termini analoghi, Sez. U. n. 22404 del 2018, la quale, in tema di diritti etero-determinati, enuncia il principio secondo cui, nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183 comma 6 c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta.
In coerenza con il medesimo percorso ermeneutico, Sez. U. n. 26727 del 2024 (pag. 13, punto 5.2.4) – la quale affronta la questione dei limiti dello ius variandi in relazione al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e non, come i due precedenti arresti, con riferimento al giudizio a cognizione piena -spiega che il punto cruciale della questione si ‘sposta’ dal perimetro formale del binomio ‘ emendatio ‘ -‘ mutatio libelli ‘ all’area dell’interesse tutelabile, sicché «è agevole comprendere che la domanda modificata potrà investire tutti gli elementi identificativi oggettivi della domanda originaria, trovando l’unico limite nella stessa vicenda sostanziale prospettata con l’atto introduttivo o comunque nel collegamento a questa: impostazione che – rimarcherà poi il sintonico intervento del 2018 risulta ‘ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel codice di rito in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo e in particolare al rapporto di connessione per «alternatività» o «per incompatibilità»’. Il che costituisce una interpretazione più adeguata ai principi di economia processuale e ragionevole durata del processo per la sua idoneità ‘a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale’, limitando il ‘rischio di giudicati contrastanti’ e garantendo l’effettività della tutela rispetto al formalismo; né controparte si trova ad essere vittima di alcuna ‘sorpresa’, né le viene diminuita la potenzialità difensiva, proprio per il riferimento o la connessione con la medesima vicenda sostanziale per cui è stata chiamata in giudizio, godendo di un congruo termine per controdedurre. Così risulta ridimensionato l’elemento oggettivo costituito da petitum e causa petendi , i quali hanno dismesso la funzione assoluta di identificazione della domanda ammissibile: l’identificazione va ora raggiunta alla luce dell’interesse di chi agisce, e quindi è attingibile dalla vicenda sostanziale che, unitamente
all’effettivo esercizio del diritto di difesa di controparte, diviene il perimetro dell’ammissibilità» .
8.3. Ricostruiti i limiti dello ius variandi , è possibile adesso rispondere al motivo di ricorso.
Come ha correttamente evidenziato la Corte di Salerno, la domanda inziale era diretta ad ottenere l’annullamento della delibera dell’assemblea sul presupposto che essa ledesse il diritto di passaggio dei proprietari dei locali posti a pian terreno. Con la prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., in aggiunta e neppure in subordine a tale domanda (che non è stata abbandonata), i ricorrenti propongono una domanda di accertamento del loro diritto di servitù prediale sullo spazio comune davanti alla loro proprietà ( actio confessoria servitutis ).
Sul piano processuale, quest ‘ultima non è una domanda ‘alternativa’ o ‘modificata’, come tale ammissibile, ma rappresenta u na domanda ‘nuova’, vietata e dunque inammissibile . Tra la prima e la seconda domanda -la confessoria servitutis che si aggiunge a quella di nullità/annullabilità della decisione assembleare -non esiste una correlazione/connessione per alternatività/incompatibilità: l’ulteriore domanda – quella proposta nella memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. -non è espressione del legittimo esercizio dello ius variandi , dato che il suo petitum non corrisponde, nemmeno in parte, a quello dell ‘originaria domanda.
É indubitabile, inoltre, che tale nuova domanda si rivolge da una platea diversa di contraddittori, dovendo essere proposta non già nei confronti dell’amministratore del condominio, ma nei confronti di tutti i condomini; per la giurisprudenza di legittimità, infatti, la domanda diretta ad ottenere l’accertamento di una servitù su un fondo di proprietà condominiale va proposta nei confronti di ciascuno dei condomini, che soli possono disporre del diritto in questione, e non
nei confronti dell ‘ amministratore del condominio (Cass. n. 28268 del 2024 e n. 19566 del 2020).
8.4. Stabilito, quindi, che la sentenza d’appello ha correttamente affermato che la confessoria servitutis dei condomini era inammissibili, restano assorbiti o, meglio, debbono essere altresì disattesi il terzo, il quarto e il quinto motivo, i quali sono funzionali al riconoscimento dell’esistenza di una cosiddetta servitù industriale, rispettivamente, a vantaggio dei locali commerciali dei ricorrenti e a carico dell’antistante area comune.
Il sesto motivo è infondato.
9.1. Con riferimento ai pretesi errori nella valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte di merito, in continuità con Cass. 20/04/2023, n. 10681, va evidenziato che «”esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330)».
Nella specie, il giudice di merito ha valutato le risultanze istruttorie e, senza incorrere in vizi logici o aporie argomentative, ha concluso che non è provata la proprietà pubblica dell’area antistante INDIRIZZO. La conseguenza è che non sussiste nemmeno l’ipotizzata nullità e/o annullabilità della decisione assembleare del 29/04/2009 per violazione delle disposizioni che vietano ai privati di eseguire opere od installazioni su beni pubblici.
10. Il settimo motivo è infondato.
È conforme a diritto la statuizione secondo cui la decisione assembleare impugnata non è stata adottata in violazione del quorum fissato da ll’art. 1136 comma 5 c.c.
Infatti, va data continuità al principio di diritto, riguardante una fattispecie concreta sovrapponibile al caso singolo in esame, secondo cui, in tema di condominio negli edifici, non ha ad oggetto un ‘ innovazione, e non richiede, pertanto, l ‘ approvazione con un numero di voti che rappresenti i due terzi del valore dell ‘ edificio, la deliberazione dell ‘ assemblea con cui sia disposta l ‘ apposizione di cancelli all ‘ ingresso dell ‘ area condominiale, al fine di disciplinare il transito pedonale e veicolare ed impedire l ‘ ingresso indiscriminato di estranei, attenendo essa all ‘ uso ed alla regolamentazione della cosa comune, senza alterarne la funzione o la destinazione, né sopprimere o limitare la facoltà di godimento dei condomini (Sez. 2, Sentenza n. 4340 del 2013 e n. 3509 del 2015).
Il ricorso è rigettato e ciò determina la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.000,00, a titolo di compenso, euro 200,00, per esborsi, oltre al 15% sul compenso, per spese generali, e oltre agli accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione