Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18827 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18827 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
Oggetto: Distanze – Responsabilità del Comune
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14019/2021 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui indirizzo PEC ha eletto domiciliato
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOMECOGNOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio della prima, in PadovaINDIRIZZO INDIRIZZO
-controricorrenti –
COMUNE DI COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 587/2021 del 3/12/2020, pubblicata il 15/3/2021 e notificata il 18/3/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. NOME e NOME COGNOME, proprietarie di un terreno con fabbricato sito in Comune di Gallio, convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Vicenza ex Tribunale di Bassano del Grappa -, NOME COGNOME, proprietario del terreno con fabbricato confinante, lamentando che questi aveva costruito un edificio a tetto sporgente nella loro proprietà e un balcone-veduta che vi si affacciava in violazione delle distanze previste dal codice civile e chiedendo, dunque, la condanna del predetto all’abbattimento o arretramento della porzione di costruzione e alla regolarizzazione del balcone-veduta, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi anche in via equitativa.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME chiese, in via preliminare, di chiamare in causa il Comune di Gallio e, dopo avere premesso che aveva ampliato il proprio fabbricato verso la proprietà COGNOME in base ad un accordo, intercorso con le sorelle COGNOME e il Comune, conseguente alla modifica del regolamento edilizio, in virtù del quale le attrici, a fronte della cessione di parte delle proprie aree, avrebbero ricevuto in cambio la possibilità di ampliare-ristrutturare i loro fabbricati e il diritto di prelazione sull’acquisto dei costruendi posti auto interrati, mentre l’ente si era impegnato a realizzare una strada di uso pubblico tra le due proprietà, sostenne che, in base a tale accordo, le opere edilizie da lui realizzate sarebbe cadute sulla strada e non sulla proprietà Rossi e che, annullato il predetto strumento urbanistico all’esito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da terzi, era decaduta anche la convenzione stipulata col Comune, chiedendo il rigetto delle domanda proposte, la condanna delle attrici alla formalizzazione di
quanto convenuto in sede urbanistica col Comune, la condanna dell’ente alla creazione di una strada pubblica tra le due proprietà, così da sanare la questione delle distanze e realizzare quanto convenzionalmente pattuito in sede urbanistica, e di essere manlevato da qualsiasi onere, spese o richiesta di danni svolta dalle attrici.
Costituitosi in giudizio, il Comune di Gallio eccepì, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e l’inammissibilità dell’azione di garanzia svolta dal convenuto e chiese, nel merito, il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 69/2019 del 27/5/2019, pubblicata il 29/5/2019, il Tribunale di Vicenza accolse parzialmente la domanda attorea, condannando il convenuto ad arretrare a confine la parte di tetto sporgente sul fondo delle attrici e a chiudere l’apertura ad arco verso il fondo delle stesse o ad arretrarla alla distanza di mt. 1,50 ex art. 905 cod. civ., rigettò la domanda di risarcimento del danno e le domande del convenuto e compensò tra le parti le spese di lite. Il giudizio di gravame, instaurato da NOME COGNOME limitatamente alla domanda di manleva svolta verso il Comune di Gallio, si concluse, nella resistenza di NOME ed NOME COGNOME che eccepirono l’inammissibilità e la nullità dell’appello, chiedendone la reiezione, e del Comune di Gallio, che eccepì parimenti l’inammissibilità dell’appello, la sua infondatezza per difetto di giurisdizione e la condanna dell’appellante per lite temeraria, con la sentenza n. 587/2021, pubblicata il 15/3/2021, con la quale la Corte d’Appello di Venezia rigettò l’appello.
I giudici di merito ritennero, in particolare, che con l’unico motivo di ricorso l’appellante avesse proposto una domanda nuova inammissibile in appello, atteso che la richiesta di manleva del Comune era stata fondata in primo grado sull’inadempimento dell’ente agli accordi urbanistici assunti dell’acquisto dell’area e
della realizzazione di una strada tra i fondi COGNOME–COGNOME e in secondo grado sulla responsabilità extracontrattuale del Comune che aveva violato i doveri di correttezza e lealtà. Peraltro, ad avviso dei giudici, non soltanto il Tribunale non poteva valutare se il Comune fosse tenuto a porre in essere attività o atti deliberativi a favore dell’appellante, non essendo questa una scelta sindacabile davanti al giudice ordinario, siccome afferente a materia di pertinenza della giustizia amministrativa, ma la pretesa responsabilità dell’ente non poteva neppure ravvisarsi, in quanto lo strumento urbanistico non era stato annullato in autotutela dal Comune, ma in sede giurisdizionale per effetto del decreto del Presidente della Repubblica all’esito di un giudizio instaurato da terzi, con la conseguenza che nessun inadempimento o scorrettezza poteva essergli imputata.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. NOME NOME, NOME e NOME NOME, quali eredi di NOME, e NOME, illustrati anche con memoria, da un lato, e il Comune di Gallio, dall’altro, si difendono con distinti controricorsi.
NOME NOME e NOME hanno depositato memoria, rappresentando l’intervenuto decesso di NOMECOGNOME
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa interpretazione di legge e in particolare degli artt. 345, 99, 101 e 183, sesto comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto nuova la domanda formulata in appello dal ricorrente, omettendo di interpretare la fattispecie ad essi sottoposta. Il ricorrente ha, sul punto, obiettato che le domande di risarcimento contrattuale ed
extracontrattuale erano state da lui proposte fin dall’inizio in rapporto di subordinazione e/o alternatività, che soltanto mentre decorrevano i termini della prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ. si era saputo dell’annullamento dello strumento urbanistico, che in appello, preso atto della sopravvenuta impossibilità della prestazione, non aveva più potuto chiedere la realizzazione della stradina da parte del Comune e che aveva perciò concentrato la propria difesa sull’unico obiettivo possibile, ossia sulla responsabilità della P.A. per lesione del suo affidamento, buona fede e correttezza. Non vi era, dunque, alcuna domanda nuova, atteso che la propria pretesa in appello era compresa nel medesimo rapporto dedotto in causa e compreso nella garanzia originariamente richiesta e che la causa petendi poteva dirsi cambiata soltanto in caso di fatto costitutivo completamente diverso, non anche in caso di mutamento di alcune circostanze anche di rilievo nell’ambito del medesimo fatto.
1.2 Il primo motivo è infondato.
Si osserva innanzitutto che si verta nella specie in ipotesi di denuncia di un vizio di attività, con la conseguenza che questa Corte, in quanto giudice del fatto processuale, può procedere al riesame degli atti processuali e a indagini e accertamenti in fatto, nonché all’interpretazione e alla diretta valutazione delle risultanze processuali (Cass., Sez. U, 22/5/2012, n. 8077).
Orbene, dall’esame degli atti è agevole constatare che il convenuto, costituendosi, aveva agito nei confronti del Comune di Gallio, allegando la sussistenza di un titolo contrattuale – intercorso tra i due e le Rossi e avente ad oggetto la cessione all’ente di porzioni immobiliari destinate all’edificazione di una strada pubblica – e l’inadempimento imputabile a entrambe le controparti, e chiedendo che venisse accertato e dichiarato l’impegno e la determinazione del Comune e delle attrici alla realizzazione della strada, che
venisse pronunciata la condanna di entrambi alla formalizzare della cessione dell’area per la realizzazione di tale manufatto e alla realizzazione di qualsiasi iniziativa necessaria ad adeguare lo stato di fatto e di diritto a quello di cui alla scheda 192 PRG, che venisse accertata e dichiarata l’inadempienza del Comune e/o il ritardo, al medesimo imputabile, nella creazione della strada pubblica e che venisse pronunciata la condanna dello stesso a manlevarlo da qualsivoglia onere, spese o richiesta di danni svolta dalle attrici, conclusioni queste che aveva sostanzialmente riproposto anche con la prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., nella quale erano state anche aggiunte le domande di condanna delle attrici alla demolizione della rampa di accesso ai garages sotterranei da esse realizzati e l’accertamento della contrarietà della condotta del Comune agli accordi assunti e alla correttezza e buona fede.
Con l’atto d’appello, il ricorrente ha ridotto la pretesa, reiterando le sole domande di accertamento della contrarietà della condotta del Comune agli impegni assunti, al principio di correttezza e al dovere di buona fede e di sua condanna a tenerlo indenne e manlevarlo da qualsivoglia onere/spesa/richiesta di danni in favore di NOME e NOME, sul presupposto che l’ente, nelle more del giudizio, avesse deciso di non realizzare più la strada alla quale si era obbligato non già a causa dell’annullamento del PRG avvenuto in esito al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ma per un mero mutamento di opinione.
In sostanza, il danno chiesto in primo grado era stato ancorato all’inadempimento del Comune in ordine all’obbligo, da questi assunto, di realizzare una strada pubblica nella porzione immobiliare antistante le proprietà delle parti, la cui esistenza avrebbe fatto venir meno i presupposti della violazione delle distanze lamentata dalle Rossi, mentre quello chiesto in secondo grado, nonostante l’identità di petitum , era stato fondato su un
presupposto affatto differente, ossia sulla violazione dei principi di correttezza, buona fede, affidamento e neminem laedere di cui all’art. 2043 cod. civ..
Quest’ultima ipotesi richiama, in sostanza, il concetto di lesione dell’affidamento della parte privata nella correttezza della condotta dell’amministrazione, la quale, unitamente al dovere di buona fede, è espressione, secondo il più recente orientamento di questa Corte (Cass., Sez. U., 28/4/2020, n. 8236), del dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. e grava su tutti i consociati e ancor più nei momenti relazionali socialmente e giuridicamente qualificati, a maggior ragione se interessanti l’esercizio della funzione amministrativa, siccome soggetta ai doveri di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Ciò comporta che il danno derivante dalla violazione dell’affidamento, in quanto riferito non alla prestazione, ma al dovere di protezione originatosi al momento della instaurazione della relazione tra cittadino e amministrazione e non dal contratto, fa insorgere, in capo a quest’ultima, una responsabilità da contatto sociale qualificato dal suo proprio status , in quanto soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte della legittimità dei propri atti, il quale va inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico ex art. 1173 cod. civ., ponendo a carico delle parti non obblighi di prestazione, bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 (correttezza), 1176 (diligenza) e 1337 (buona fede) del codice civile (Cass., Sez. U., 28/4/2020, n. 8236, cit.).
Dunque, la responsabilità della pubblica amministrazione non è riconducibile, in tal caso, all’illecito extracontrattuale, come era stato stabilito nel 2011 (vedi Cass., Sez. U, Ordinanza del 23/03/2011 n. 6594; Cass, Sez. U., 23/3/2011, n. 6595; Cass., Sez. U., 23/3/2011, n. 6596) e confermato nel 2015 (Cass., Sez.
U, 04/09/2015, n. 17586), ma, secondo quanto sostenuto da diverse, precedenti, pronunce di legittimità (vedi in tema di appalto, Cass., Sez. 1, 21/11/2011, n. 24438; Cass., Sez. 1, 12/5/2015, n. 9636; Cass., Sez. 1, 12/7/2016, n. 14188; Cass., Sez. 1, 27/10/2017, n. 25644), nella responsabilità relazionale o da contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 cod. civ. e inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, la quale nasce antecedentemente e indipendentemente dal danno e crea i presupposti per l’insorgere dell’affidamento nella correttezza della pubblica amministrazione, prendendo poi forma in caso di violazione degli obblighi sottesi al rapporto: la lesione, infatti, non viene causata dall’atto ingiusto e non attiene all’interesse legittimo del destinatario del provvedimento, posta l’irrilevanza del suo risultato sul piano dell’azione amministrativa e dunque dell’esercizio del potere, ma incide sull’affidamento che costui ha riposto nella legittimità del provvedimento che gli ha attribuito il bene della vita (Cass., Sez. U, 28/4/2020, n. 8236, cit.).
E’ allora evidente che la questione prospettata in appello non è quella delineata negli atti difensivi di primo grado, stante la diversità di causa petendi e il diverso tenore della responsabilità invocata, e si connota per la sua novità.
Come già affermato da questa Corte, costituisce, infatti, domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., quella che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introducendo un petitum diverso e più ampio, oppure una diversa causa petendi , fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado ed in particolare su un fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato, radicalmente diverso, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema d’indagine (Cass., Sez. 1,
19/9/2016, n. 18299), situazione questa che si verifica anche quando i fatti posti a fondamento del diritto originariamente azionato erano già stati esposti nell’atto di citazione, ma al mero scopo di descrivere e inquadrare altre circostanze, per poi riproporli in appello per la prima volta con una differente portata, a sostegno di una nuova pretesa, determinando in tal modo l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione (Cass., Sez. 1, 29/11/2004, n. 22473).
Non è, dunque, possibile avanzare in appello, ad esempio, domanda di responsabilità contrattuale al fine di ampliare la domanda di risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale originariamente proposta, essendo queste fondate su petitum e causa petendi differenti, siccome dipendenti da elementi di fatto diversi circa l’accertamento della responsabilità e la determinazione dei danni (Cass., Sez. 1, 19/9/2016, n. 18299; Cass., Sez. 3, 10/5/2013, n. 11118), così come non è possibile avanzare in appello una domanda fondata sulla responsabilità relazionale o da ‘ contatto sociale qualificato ‘, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art.1173 cod. civ., quando in primo grado era stata avanzata una domanda di risarcimento da inadempimento contrattuale, come accaduto nella specie.
Alla stregua di tali principi, deve perciò escludersi la dedotta violazione di legge, avendo i giudici correttamente rilevato l’inammissibilità della domanda proposta con l’unico motivo d’appello, siccome nuova.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa interpretazione di legge e, in particolare, degli artt. 37 cod. proc. civ., 7 e 133, comma 1, lett. F), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, per la giurisdizione esclusiva in materia urbanistica, nonché degli artt. 4 legge n. 2248 del 1865 all., 133, comma 1, lett. a), n. 2, e
30 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che il legittimo affidamento del ricorrente e la conseguente manleva richiesta per la sua violazione, inclusi i danni a lui occorsi, era materia non conoscibile dal giudice civile, per difetto di giurisdizione, trattandosi di materia urbanistica di competenza del giudice amministrativo, senza considerare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’affidamento del privato appellante trovava riconoscimento anche in assenza di un atto amministrativo revocato/annullato in autotutela, come precisato da Cass., Sez. U, n. 22435/2018 e da Cass., Sez. U, n. 8236/2020, e che l’affidamento costituiva una situazione autonoma, tutela ex se , e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico.
2.2 Il secondo motivo è inammissibile.
Come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte e ribadito nelle pronunce successive (Cass., Sez. U, 20/2/2007, n. 3840; Cass. Sez. un., n. 24469 del 2013; Cass., Sez. 3, 20/8/2015, n. 17004; Cass., Sez. 6-5, 19/12/2017, n. 30393; e, ancora di recente, Cass., Sez. 1, 16/06/2020, n. 11675; Cass., Sez. U, 1/2/2021, n. 2155), qualora il giudice dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata.
Posto che, nella specie, i giudici di merito hanno chiaramente considerato inammissibile l’unico motivo di appello proposto, in
quanto contenente una nuova domanda, preclusa dall’art. 345 cod. proc. civ., e che l’argomentazione contenuta nel prosieguo della motivazione, con la quale è stato affrontato il merito della pretesa, è del tutto ininfluente ai fini della decisione e, dunque, priva di effetti giuridici, oltre a non costituire la vera ratio decidendi della pronuncia, deve escludersi che sussista l’interesse della parte ad una decisione in merito.
3.3 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, infine, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello omesso di valutare tutti gli elementi da cui risultava la scorrettezza, la violazione della buona fede e la lesione dell’affidamento del privato da parte del Comune di Gallio, ossia il fatto che questo, costituendosi, aveva affermato come certa la realizzazione della stradina, benché già consapevole dell’esito del ricorso straordinario davanti al Presidente della Repubblica, che il medesimo ente avesse rifiutato alle Rossi la possibilità di variare la concessione edilizia ad esse già rilasciata proprio in quanto intendeva realizzare la stradina, che successivamente avesse cambiato idea e si fosse accordato con le predette per la variante richiesta al fine di realizzare lo scivolo e che il ricorso straordinario fosse stato proposto per la condotta scorretta del Comune, avendo partecipato alla votazione per l’adozione dello strumento urbanistico cinque consiglieri in conflitto di interessi.
3.2 Il terzo motivo è inammissibile.
Ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia
stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994), incombente questo rimasto nella specie inadempiuto.
Discende da ciò l’inammissibilità della censura.
4. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità dei restanti, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte
del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 giugno 2025.