Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21577 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29421-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 606/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/05/2018 R.G.N. 1252/2017;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 2.5.2018, la Corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di NOME COGNOME volta ad ottenere dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE la pensione di vecchiaia anticipata o, in subordine, il risarci mento del danno cagionatogli dall’aver confidato nella possibilità di conseguire la pensione di vecchiaia anticipata con decorrenza dal 1°.9.2016 sulla scorta di due comunicazioni ECOCERT rilasciategli dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, poi rivelatesi errate, ed essersi perciò determinato a risolvere il proprio rapporto di lavoro dirigenziale con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE;
che avverso tale pronuncia NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 23.4.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto nuova e pertanto inammissibile la prospettazione secondo cui il comportamento illegittimo dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE si sarebbe riverberato sull’accordo conciliativo che egli avrebbe stipulato con il proprio datore di lavoro;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta erronea e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per non avere la Corte territoriale valutato se egli avrebbe o meno sottoscritto l’accordo conciliativo del 21.10.2015 ove avesse
saputo che, in realtà, non avrebbe potuto maturare la pensione alla data del 1°.9.2016;
che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di erronea e contraddittoria motivazione sull’applicazione degli artt. 1175, 1176 e 2236 c.c. nonché dell’art. 54, l. n. 88/1989, per non avere la Corte di merito considerato che giammai egli si sarebbe risolto a stipulare la conciliazione di cui sopra qualora avesse saputo che i contributi realmente maturati non erano idonei a guadagnargli la pensione di vecchiaia anticipata e avergli negato il risarcimento nonostante l’acclarato errore commesso dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ne l comunicargli la situazione contributiva;
che, con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. per avere la Corte territoriale negato la sussistenza del nesso di causalità tra l’erronea comunicazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la stipula dell’accordo conciliativo; che, con il quinto motivo, il ricorrente lamenta omessa motivazione in ordine alle richieste risarcitorie;
che, con riguardo al primo motivo, i giudici territoriali, dopo aver ricordato che, nel ricorso introduttivo del giudizio, il ricorrente aveva sostenuto che le errate comunicazioni dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avevano determinato le sue dimissioni e la conseguente perdita del reddito da lavoro dipendente, e che il primo giudice, dopo aver rilevato che la cessazione del rapporto di lavoro era in realtà avvenuta per effetto di una transazione stipulata con il datore di lavoro, aveva comunque negato la sussistenza di alcun nesso causale tra quest’ultima e le errate comunicazioni dell’ente previdenziale, hanno rilevato che ‘solo in sede di appello, il , con una prospettazione del tutto nuova, ha sostenuto che il comportamento illegittimo dell’RAGIONE_SOCIALE avrebbe causalmen te determinato non già le dimissioni ma l’adesione ad un accordo conciliativo in termini più sfavorevoli di quanto
avrebbe potuto ottenere impugnando il licenziamento ovvero negoziando in modo diverso le condizioni economiche della risoluzione consensuale del rapporto lavorativo’ (così la sentenza impugnata, pag. 6);
che, tanto premesso, correttamente i giudici territoriali hanno ritenuto che tale prospettazione introducesse in appello un tema d’indagine affatto nuovo, trattandosi di imputare all’RAGIONE_SOCIALE non già le dimissioni e la conseguente perdita del reddito da la voro dipendente, bensì l’aver negoziato in termini deteriori l’accordo conciliativo avente ad oggetto la risoluzione consensuale, ciò per cui l’odierno ricorrente ha perfino articolato per la prima volta nell’atto di appello capitoli di prova concernenti le trattative precorse con l’azienda ( ibid. , pag. 7);
che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio secondo cui si ha domanda nuova, inammissibile in appello, quando il medesimo petitum viene fondato su elementi e circostanze non prospettati nel giudizio di primo grado, introducendo in sede di gravame un nuovo tema d’indagine e così alterando i termini sostanziali della controversia, in violazione del principio del doppio grado di giurisdizione (così, tra le più recenti, Cass. nn. 2271 del 2021 e 2058 del 2024);
che il primo motivo, pertanto, è infondato;
che, ciò posto, va rilevato che la trattazione del merito della causa è stata affrontata dai giudici territoriali ‘a prescindere da quanto detto sopra in tema di inammissibilità della nuova prospettazione’ (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata);
che le argomentazioni sul merito che il giudice impropriamente abbia inserito in sentenza, subordinatamente ad una statuizione di inammissibilità della domanda o di difetto di giurisdizione o competenza, restano meramente ipotetiche e virtuali, al punto che la parte
soccombente non ha l’onere né ovviamente l’interesse ad impugnarle (così Cass. S.U. n. 3840 del 2007 e, da ult., Cass. n. 29529 del 2022);
che, in tal senso, non può convenirsi con l’assunto di Cass. n. 7995 del 2022, secondo la quale, allorché il giudice d’appello abbia rilevato in motivazione l’inammissibilità dell’impugnazione e abbia comunque esaminato il merito del gravame, pervenendo nel dispositivo al rigetto dell’impugnazione, la statuizione d’inammissibilità si dovrebbe considerare effettuata ad abundantiam e alla stregua di un mero obiter dictum che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui ratio decidendi sarebbe in realtà rappresentata dal rigetto nel merito del gravame; che, al riguardo, non possono non ribadirsi le ragioni enunciate da Cass. S.U. n. 3840 del 2007, cit., circa l’impossibilità di valutare allo stesso modo, in termini di efficacia e conseguente suscettibilità di passare in giudicato, ogni subordinata ratio decidendi che sia stata svolta nella motivazione della sentenza, dovendosi invece distinguere il caso in cui la motivazione ulteriore sia volta a sorreggere con più argomenti (anche su piani gradati) la decisione di un medesimo aspetto della domanda (ovvero di una eccezione) dalla ipotesi in cui la motivazione ad abundantiam attiene a domande o eccezioni il cui esame è precluso al giudice proprio in ragione della natura della questione di rito decisa principaliter ;
che a non diverse conclusioni può indurre la circostanza che il dispositivo sia formulato in termini di rigetto e non di inammissibilità, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui l’interpretazione del giudicato, sia esso interno o esterno, va effettuata alla stregua non soltanto del dispositivo della sentenza, ma anche della sua motivazione (così da ult. Cass. nn. 19252 del 2018 e 21165 del 2019);
che, proprio per ciò, affatto eccentrica rispetto alla consolidata giurisprudenza di questa Corte appare l’opinione di Cass. n. 28364 del 2022, secondo cui ove il giudice, pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile, anche in dispositivo, abbia proceduto al suo esame nel merito, esprimendosi, con motivazione preponderante e diffusa, nel senso della infondatezza, sarebbe ammissibile l’impugnazione della motivazione concernente sia l’inammissibilità che il merito, dovendosi in questa sede di legittimità comunque esaminare il motivo attinente al merito anche in caso di accoglimento della censura concernente l’inammissibilità;
che, al riguardo, non può che ribadirsi che, una volta acclarato che è precluso al giudice del gravame di rassegnare alcuna motivazione sul merito della lite allorché sia stata preliminarmente accertata da parte sua la ricorrenza dei presupposti per la dec laratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, una motivazione relativa al merito si risolve semplicemente in uno spreco di attività giurisdizionale a scapito della ragionevole durata del processo richiesta dall’art. 111 Cost., dal momento che il tempo occ orrente per la redazione di una motivazione che si dia (inutilmente) carico del merito della lite non solo ritarda ingiustificatamente la definizione di quel processo, prolungandosi pro tanto il momento della pubblicazione della sentenza, ma inibisce la possibilità di dedicare quel medesimo tempo alla trattazione e definizione di altri processi, con correlativa riduzione di effettività della tutela giurisdizionale (così Cass. n. 15076 del 2024, in motivazione);
che, dovendosi pertanto ritenere inammissibili gli ulteriori di gravame, il ricorso va conclusivamente rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 8.200,00, di cui € 8.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 23.4.2024.