Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21821 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21821 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14708/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
NOME, NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
– intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 3023/2020 depositata il 23/11/2020;
udita la relazione svolt a nella camera di consiglio dell’ 08/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
I fratelli NOME e NOME COGNOME convenivano innanzi al Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di Impresa, la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per sentire accertare l’avvenuto trasferimento della proprietà di complessive 4.050 quote della RAGIONE_SOCIALE dal defunto fratello NOME COGNOME ai predetti attori, avendo questi ultimi corrisposto il prezzo dell’acquisto per un importo complessivo di € . 88.500,00.
Si costituiva NOME COGNOME, erede universale del defunto NOME COGNOME; RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME venivano dichiarati contumaci.
1.1. Rilevato che l’accordo per la vendita delle quote era apocrifo e disposta CTU grafologica, il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 3051/2016, dichiarava inammissibili ed infondate le domande attoree; affermava, altresì, la tardività della domanda subordinata svolta dagli attori per ottenere dagli eredi di NOME COGNOME la restituzione delle somme versate.
Avverso la suddetta sentenza NOME NOME NOME COGNOME interponevano appello innanzi alla Corte d’Appello di Venezia; restavano contumaci RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, gli eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME. La Corte territoriale adìta, in assenza di prove univoche attestanti il perfezionamento di una circostanziata cessione delle quote societarie, confermava la sentenza impugnata nella parte in cui rigettava la domanda principale di NOME NOME NOME COGNOME. In parziale accoglimento del gravame, riteneva non tardiva la domanda di restituzione formulata dagli appellanti nella
prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., in applicazione dei principi dettati dalla Corte di legittimità (Cass. Sez. U n. 12310/2015; Cass. n. 22404/2018; Cass. n. 18546/2020), accertava il carattere della teleologica complanarità della domanda di restituzione collegata per incompatibilità con la domanda principale di accertamento della cessione delle quote; riconosceva provati e, quindi, oggetto di restituzione ex art. 2041 cod. civ., i versamenti effettuati dagli appellanti per la finalità di cessione nel solo periodo in cui era stata manifestata l’intenzione di dismettere le quote: posto che il mancato perfezionamento della cessione ha reso ingiustificata la loro dazione, la Corte territoriale condannava NOME COGNOME alla restituzione, in favore di NOME COGNOME di € . 40.000,00, e in favore di NOME COGNOME di € . 15.000,00.
La sentenza della Corte d’Appello veniva impugnata per cassazione da NOME COGNOME, e il ricorso affidato ad un unico motivo.
Si difendevano NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando controricorso.
Restavano intimati RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, gli eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3) cod. proc. civ. AVV_NOTAIO censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di seconde cure ha ritenuto non tardivamente proposta la domanda di restituzione ex art. 2041 cod. civ. elevata dai fratelli NOME e NOME COGNOME con riferimento alle somme da essi asseritamente versate in vista dell’acquisto delle quote dal defunto fratello NOME COGNOME. La tesi della ricorrente è che la proposizione della domanda in sede di memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 cod.
proc. civ. introduce una domanda nuova, che amplia il thema decidendum , in violazione della norma citata e in contrasto con quanto affermato dalla Corte di legittimità che ha espresso un principio ormai consolidato in ambito processuale in virtù del quale con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 cod. proc. civ., non è consentito proporre domande ed eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto, le quali vanno proposte a pena di decadenza entro la prima udienza di trattazione (Cass. n. 30745 del 2019).
1.1. Il motivo è infondato. Questa Corte ha avuto occasione di chiarire che la modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Una siffatta interpretazione risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, della stabilità delle decisioni giudiziarie, anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti, nonché della effettività della tutela assicurata, sempre messa in pericolo da pronunce meramente formalistiche (Cass. Sez. U, n. 12310 del 15.06.2015, Rv. 635536 – 01).
1.2. Il principio appena riportato è stato ribadito da successive decisioni di legittimità, con riferimento ad un variegato ambito oggettivo, non circoscritto al solo diritto contrattuale (v. ad es.: Cass. 3 gennaio 2017, n. 29 e Cass. 19 gennaio 2016, n. 816, riguardanti giudizi regolati dal cd. rito societario; sentenza n. 10513 del 17
marzo 2017, in punto di ammissibilità della domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., formulata dopo un’iniziale domanda risarcitoria fondata sulla violazione del generale dovere del neminem laedere di cui all’art. 2043 cod. civ.).
1.2.1. In particolare, le Sezioni Unite (13 settembre 2018, n. 22404, Rv. 650451 – 01), in un caso avente ad oggetto la domanda ex art. 2041 cod. civ. elevata nella memoria in via subordinata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., hanno inteso verificare se la domanda di arricchimento senza causa, come proposta nel giudizio all’esame con la memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. (nella medesima versione vigente anche nel caso che ci occupa), sia riconducibile alla nozione di «domanda modificata» ritenuta ammissibile con la sentenza n. 12310 del 2015, giungendo all’affermazione del seguente principio: «E’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata». Con la precisazione che la domanda «complanare» ex art. 183, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. non necessariamente dovrà sostituirsi alla domanda originaria, ma potrà ad essa cumularsi (quale domanda principale, o in via vicaria).
1.3. In linea generale, dunque, può affermarsi, come già argomentato dalle Sezioni Unite n. 12310 del 2015, che ciò che rende ammissibile l ‘ introduzione in giudizio di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 cod. proc. civ., e che, quindi, consente di
distinguere la domanda che tale diritto deduce da quella riconvenzionale di cui si occupa il comma 5 del medesimo articolo (c.d. reconventio reconventionis ), è il carattere della teleologica «complanarità» : il diritto così introdotto in giudizio deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere dopo tutto alla realizzazione, almeno in parte, salva la differenza tecnica di petitum mediato, dell’utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale e, dunque, risultare incompatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio ( Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18546 del 2020).
Alla stregua dei suesposti principi, quindi, nella specie entrambe le domande formulate (accertamento dell’avvenuto trasferimento delle quote della RAGIONE_SOCIALE; restituzione delle somme versate da NOME e NOME COGNOME al fratello NOME COGNOME) si riferiscono, indubbiamente, alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale; sono attinenti al medesimo bene della vita (il pagamento di € . 88.500,00), tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (benché, nell’una, come corrispettivo nell’ambito di un accordo traslativo e, nell’altra, come conseguenza restitutoria di un pagamento indebito); sono legate da un evidente rapporto di connessione di incompatibilità logica che, ancor di più, giustifica il ricorso al simultaneus processus. Diversamente argomentando, come di nuovo messo in evidenza dalle Sezioni Unite n. 12310 del 2015, si costringerebbero le parti (odierni resistenti) a rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in altro processo, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in €4.100,00 per compensi, oltre ad € . 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda