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Domanda modificata: quando è ammissibile nel processo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21821/2024, ha chiarito i limiti di ammissibilità della domanda modificata nel processo civile. Nel caso esaminato, due fratelli avevano inizialmente chiesto l’accertamento del trasferimento di quote societarie. Successivamente, hanno modificato la domanda chiedendo la restituzione delle somme versate. La Suprema Corte ha ritenuto tale modifica ammissibile, in quanto la nuova domanda, seppur diversa, era strettamente connessa alla vicenda sostanziale originaria (la compravendita di quote) e incompatibile con la prima. Questa decisione conferma il principio di economia processuale, secondo cui è preferibile trattare le questioni collegate in un unico giudizio, evitando la frammentazione dei processi.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Domanda Modificata: Ammissibile la Richiesta di Restituzione se Collegata alla Causa Originaria

L’ordinanza n. 21821/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui confini della domanda modificata nel processo civile. La pronuncia stabilisce che è possibile modificare la propria richiesta in corso di causa, passando da una domanda di adempimento contrattuale a una di restituzione per arricchimento senza causa, a patto che entrambe le domande siano strettamente legate alla medesima vicenda sostanziale. Questa interpretazione, in linea con i principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, evita di costringere le parti a iniziare un nuovo giudizio per pretese strettamente connesse.

I Fatti del Caso: Dalle Quote Societarie alla Richiesta di Restituzione

La vicenda trae origine dalla richiesta di due fratelli di accertare l’avvenuto trasferimento in loro favore di quote di una S.r.l., appartenute al loro fratello defunto. Essi sostenevano di aver pagato un corrispettivo di 88.500,00 euro. L’erede universale del defunto si costituiva in giudizio, contestando la validità dell’accordo.

Il Tribunale di primo grado, dopo aver accertato tramite una consulenza tecnica la falsità della scrittura privata, rigettava la domanda principale. Dichiarava inoltre inammissibile, perché tardiva, la domanda subordinata dei fratelli volta a ottenere la restituzione delle somme versate.

La Corte d’Appello, pur confermando il rigetto della domanda di trasferimento delle quote, riformava parzialmente la sentenza di primo grado. I giudici di secondo grado ritenevano ammissibile e fondata la domanda di restituzione, condannando l’erede a restituire parte delle somme, ritenendo che tale richiesta fosse strettamente collegata alla domanda principale e quindi proponibile nel corso del giudizio.

Il Cuore della Questione: la “Domanda Modificata” e i Limiti dell’Art. 183 c.p.c.

L’erede proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la domanda di restituzione (ex art. 2041 c.c.) costituisse una domanda nuova, inammissibile perché introdotta dopo i termini iniziali del processo. Secondo la tesi della ricorrente, la richiesta di restituzione avrebbe ampliato il thema decidendum in violazione dell’art. 183, comma 6, n. 1 del codice di procedura civile.

Le Motivazioni della Cassazione sulla domanda modificata

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio ormai consolidato, espresso in particolare dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12310/2015.

Il principio cardine è che la modifica della domanda, ammessa dall’art. 183 c.p.c., può riguardare anche gli elementi identificativi della stessa (petitum e causa petendi), a condizione che la domanda così modificata risulti connessa alla vicenda sostanziale già dedotta in giudizio. Nel caso di specie, entrambe le domande – quella di accertamento del trasferimento delle quote e quella di restituzione delle somme pagate – si riferivano inequivocabilmente alla medesima vicenda: la presunta compravendita delle quote societarie e il relativo pagamento.

La Corte ha evidenziato il carattere di “complanarità teleologica” tra le due domande. Sebbene una mirasse all’adempimento e l’altra alla restituzione, entrambe erano legate da un rapporto di incompatibilità logica (se si ottiene l’adempimento, non si può chiedere la restituzione, e viceversa) e scaturivano dallo stesso fatto storico. Accogliere la tesi della ricorrente avrebbe significato costringere i fratelli a rinunciare alla domanda già proposta per iniziarne una nuova in un altro processo, in palese contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un’interpretazione flessibile ma rigorosa della modifica delle domande processuali. La decisione sottolinea che ciò che conta non è la mera etichetta giuridica della richiesta, ma il suo legame sostanziale con i fatti originariamente posti a fondamento del giudizio. Per le parti in causa, ciò significa avere la possibilità di adeguare la propria strategia processuale senza essere penalizzati da un formalismo eccessivo, a patto di rimanere all’interno della stessa vicenda sostanziale. Per gli avvocati, rappresenta un’ulteriore conferma della necessità di valutare tutte le possibili implicazioni di una vicenda fin dall’inizio, pur sapendo di poter contare su una certa flessibilità nel definire le richieste nel corso del primo grado di giudizio.

È possibile modificare una domanda in corso di causa per chiedere la restituzione di somme invece dell’adempimento di un contratto?
Sì, secondo la Corte è ammissibile. La domanda di restituzione ex art. 2041 c.c. può essere proposta in via subordinata nel corso del processo introdotto con una domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio e sia connessa (per incompatibilità) a quella iniziale.

Qual è il criterio per distinguere una domanda modificata ammissibile da una domanda nuova inammissibile?
Il criterio distintivo è la “complanarità teleologica”. La domanda modificata deve attenere alla medesima vicenda sostanziale, correre tra le stesse parti e tendere alla realizzazione, almeno in parte, dell’utilità finale già avuta di mira dalla parte, risultando incompatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio.

Perché la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso?
La Corte ha rigettato il ricorso perché ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente applicato i principi enunciati dalle Sezioni Unite. La domanda di restituzione non era una domanda completamente nuova e slegata, ma una modifica ammissibile della domanda originaria, in quanto entrambe le richieste scaturivano dalla stessa operazione economica (la presunta vendita di quote) e rispondevano a principi di economia processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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