Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13382 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13382 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9344-2023 proposto da:
NOME COGNOME in qualità di erede di NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 3788/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/10/2022 R.G.N. 2298/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 27/02/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 27/02/2024
CC
Rilevato che:
La Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello di NOME COGNOME, confermando la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto l’unitarietà del rapporto lavorativo svolto dal NOME dal 13.11.1995 al 30.11.2011, prima alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE e poi della RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 2112 c.c., ed aveva condannato le parti convenute, in solido, al pagamento della somma di ero 690,00 quale differenza sul trattamento di fine rapporto.
La Corte territoriale ha condiviso la decisione del tribunale nella parte in cui ha rigettato la domanda di differenze retributive rivendicate dal NOME sulla base di un contratto collettivo (CCNL RAGIONE_SOCIALE) diverso da quello applicato dai datori di lavoro che si erano succeduti (CCNL per i lavoratori dipendenti delle imprese artigiane dei settori metalmeccanico e installazione impianti), affermando che il rapporto dovesse essere disciplinato dalla fonte contrattuale scelta dal datore di lavoro (indicata nei modelli Unilav e nelle buste paga), non essendo allegata, se non in modo assolutamente generico, l’inadeguatezza della retribuzione percepita in base al contratto collettivo applicato rispetto all’art. 36 Cost.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria (per il NOME, la memoria è stata depositata dagli eredi).
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
5. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di condanna al pagamento del trattamento di fine rapporto. Sostiene di avere chiesto, sia in primo grado e sia in appello, la condanna dei convenuti anche al pagamento del TFR non corrisposto rispetto all’unico rapporto di lavoro alle dipendenze dei due soggetti giuridici succedutisi e che il tribunale e la corte d’appello, pur avendo accertato l’esistenza di un unico rapporto di lavoro in base all’art. 2112 c.c., hanno pronunciato unicamente sulla domanda di differenze retributive, rigettandola, senza nulla statuire in ordine al TFR e sebbene la RAGIONE_SOCIALE avesse dedotto l’avvenuto pagamento del TFR senza, tuttavia, fornire alcuna quietanza o prova documentale a sostegno (la società RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato il pagamento parziale del TFR in relazione al periodo 1.2.2008 -30.11.2011).
6. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2112, 2120 e 2697 c.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente afferma che, a fronte della prova, dal medesimo offerta, di avvenuto trasferimento d’azienda e di esistenza di un unico rapporto di lavoro e alla deduzione di mancato pagamento del TFR parametrato alla durata complessiva del rapporto, era onere delle convenute d imostrare l’avvenuto adempimento dell’obbligazione, cioè il pagamento del TFR maturato nel corso dell’intero rapporto; che tale prova non era stata offerta e la Corte di merito ha errato nel non condannare le parti appellate al relativo pagamento.
Con il terzo motivo si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione o falsa applicazione dell’art. 2120 c.c. affermando che, una volta riconosciuta la continuità giuridica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle due convenute, la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere il diritto del lavoratore alla corresponsione del TFR maturato per l’intera durata del rapporto.
I motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente perché pongono la medesima questione da diversi punti di vista, non possono trovare accoglimento.
Occorre premettere che, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo , il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, RAGIONE_SOCIALEnte l’accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall’eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale. In proposito va condiviso l’orientamento da ultimo ribadito da Cass. n. 20716 del 2018 (in conformità a Cass. n. 8069 del 2016; n. 16164 del 2015), anche sulla scia di Cass. S.U. n. 8077 del 2012 (v. contra Cass. 20718 del 2018; n. 21874/15; n. 11828 del 2014, che però non affrontano i principi di fondo affermati dalla cit. Cass. S.U. n. 8077 del 2012).
Riaffermato, dunque, che spetta al giudice di legittimità, a fronte della denuncia di un error in procedendo, estendere la cognizione al tenore degli atti processuali (puntualmente localizzati e allegati al ricorso per cassazione), nel caso di specie, dalla piana lettura delle allegazioni e delle conclusioni contenute nel ricorso introduttivo di primo grado si evince che il ricorrente aveva formulato un’unica domanda di differenze retributive, comprensive del TFR, fondata sull’unic o presupposto della ‘violazione dell’art. 36 Cost. e del c.c.n.l.
che si dovrà adottare quale contratto regolante il rapporto ed esatto parametro di attuazione della norma costituzionale’ (ricorso introduttivo di primo grado, p. 9). Il ricorso non contiene, invece, una domanda di condanna al pagamento del TFR ricalcolato in base alla unitarietà del rapporto di lavoro per effetto dell’art. 2112 c.c. e neppure di pagamento delle somme già liquidate a titolo di TFR dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ma che si assumono non versate. Nel ricorso in appello è così riassunta la domanda formulata nel ricorso di primo grado: ‘…Tanto premesso, chiedeva accertare e dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo dedotto in ricorso e, per l’effetto, alla luce dell’art. 36 della Costituzione e del CCNL ‘RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ di cui si chiedeva l’applicazione, condannare le parti convenute al pagamento in suo favore della somma di € 190.010,18 (di cui a titolo di T.F.R. € 41.106,03) a titolo di spettanze lavorative, differenze retributive, lavoro festivo e straordinario, differenza ferie, ferie non godute, 13ma e 14ma mensilità e TFR, così come risulta dal conteggio analitico allegato al ricorso di primo grado, oltre accessori di legge’. Anche nel ricorso in appello, il lavoratore si è limitato a reiterare la pretesa di corresponsione delle somme rivendicate sulla base di un contratto collettivo diverso da quello applicato e ai sensi dell’art. 36 Cost.
Deve quindi escludersi che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciare su domande ritualmente proposte e ciò assorbe le residue censure.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13,
comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per l egge, da distrarsi in favore dell’AVV_NOTAIO, antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 27 febbraio 2024