Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6459 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 6459 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29349/2018 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale-
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO
(CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende -controricorrenti e ricorrenti incidentali- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1839/2017 depositata il 24/10/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni della Procura Generale nella persona della AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto rigettarsi il ricorso principale e dichiararsi inammissibili il ricorso incidentale,
FATTI DELLA CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Catanzaro aveva disatteso i gravami, principale, della stessa ricorrente e, incidentale, di NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, avverso la sentenza con cui il Tribunale di Catanzaro aveva accertato la rinuncia dell’odierna ricorrente alla domanda ex art.2932 c.c. volta a conseguire il trasferimento di un immobile oggetto di contratto preliminare concluso, in data 24 maggio 2000, con NOME COGNOME (dante causa degli appellati) e aveva dichiarato legittimo il recesso esercitato dalla RAGIONE_SOCIALE per inadempimento dell’COGNOME e condannato quest’ultimo alla corresponsione del doppio della caparra.
La Corte di Appello aveva anche confermato la sentenza di primo grado in punto di rigetto della domanda di ‘manleva’ proposta dall’COGNOME contro NOME COGNOME, padre della ricorrente, per avere questi realizzato nell’immobile una veranda in violazione delle norme urbanistiche.
La irregolarità urbanistica e il protrarsi delle pratiche avviate da NOME COGNOME per la relativa sanatoria erano state alla base, dapprima, di una serie di rinvii del termine per la firma del definitivo, poi, della iniziativa giudiziaria della RAGIONE_SOCIALE volta ad
ottenere una sentenza ex art. 2932 c.c. o, in subordine, ‘in ipotesi di perdurante irregolarità urbanistica’, la risoluzione del contratto preliminare con condanna al doppio della caparra.
La Corte di Appello aveva evidenziato che all’udienza di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di primo grado, in data 25 giugno 2004, dopo che dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio depositata il 19 settembre 2003 era emerso che la veranda, risalente a dopo l’11 giugno 1986, non era stata sanata ed era probabilmente insanabile, il difensore della attrice non aveva insistito nella domanda ex art. 2932 c.c. ed aveva chiesto invece che fosse dichiarato legittimo il recesso della attrice dal contratto preliminare con condanna del convenuto al pagamento del doppio della caparra, salvo ‘lo sviluppo di ogni propria doglianza’ e salvo insistere ‘nelle altre domande articolate nei verbali e particolarmente quella di revoca della ordinanza del 15 novembre 2002 e nei mezzi indicati nel verbale del 2 maggio 2003’.
La Corte di Appello aveva evidenziato altresì che nella comparsa conclusionale depositata l’8 ottobre 2004, la difesa di parte attrice aveva precisato: ‘fattasi piena luce a seguito della assunta istruttoria sulla situazione urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare -la dottoressa COGNOME, in sede di precisazione delle conclusioni con domanda che certamente non può ritenersi nuova … esercitava il diritto di recesso ex art. 1385, 2° comma c.c. dal predetto contratto insistendo per il pagamento del doppio della caparra … Le emergenze istruttorie … rilevando l’esistenza dei dedotti abusivismi comportano come immediato corollario la impossibilità d procedere alla pronuncia di trasferimento ex art. 2932 c.c. … ma anche se così non fosse (ma lo è) osterebbe comunque a tale trasferimento l’evidente diritto della promissaria NOME di acquistare un bene perfettamente conforme alle norme urbanistiche onde la piena legittimità del suo recesso’. La Corte di Appello aveva evidenziato ancora che il difensore della attrice
aveva insistito nella domanda di condanna dell’COGNOME al doppio della caparra e nella domanda di ‘maggior danno’ e che anche nella memoria di replica del 28 ottobre 2004 non vi era più ‘alcun accenno alla domanda di adempimento che a chiare lettere e senza ombra di dubbio in memoria di replica la COGNOME ha dichiarato di avere sostituito con la domanda di recesso’.
Tanto evidenziato, la Corte di Appello aveva respinto il motivo di appello con cui la COGNOME si era lamentata del fatto che il primo giudice aveva errato nell’accogliere la domanda di recesso ritenendo che la domanda ex art. 2932 c.c. fosse stata abbandonata laddove invece avrebbe dovuto ritenersi che detta domanda era stata ribadita sia tramite il riferimento alle ‘altre domande’ articolate nei verbali sia tramite l’istanza di revoca della ordinanza del 15 novembre 2002.
La Corte di Appello aveva giustificato il rigetto del suddetto motivo di appello precisando che per ‘altre domande’ doveva intendersi quella relativa al ‘maggior danno’ e che l’istanza di revoca dell’ordinanza del 15 novembre 2002 riguardava la decisione del primo giudice di non ammettere determinate prove orali.
La Corte di Appello aveva dichiarato inesistenti i presupposti per rimettere la COGNOME in termini per la riproposizione della domanda ex art. 2932 c.c. già abbandonata. La richiesta di rimessione in termini era stata avanzata sul presupposto della sopravvenuta scoperta del fatto che l’COGNOME aveva presentato una nuova domanda di condono in base alla legge n.326 del 2003. La Corte di Appello aveva respinto la domanda di rimessione in termini scrivendo: ‘in disparte il rilievo che la normativa del condono del 2003 era conoscibile da entrambe le parti, vi è che la strategia difensiva seguita dalla RAGIONE_SOCIALE l’ha indotta a voler concludere il giudizio recedendo dal contratto per incamerare il doppio della caparra con richiesta di risarcimento del maggior danno e ciò
indipendentemente dal comportamento dell’COGNOME ma sulla base di una valutazione delle risultate istruttorie appunto per scelta difensiva’.
La Corte di Appello aveva ancora dichiarato che neppure sussistevano i presupposti per riaprire l’istruttoria con supplemento di ctu riguardo al maggior danno posto che al ctu non poteva essere affidato un incarico esplorativo e ‘sostitutivo dei precisi oneri probatori della parte’ nella specie non adempiuti.
La Corte di Appello infine aveva confermato la decisione di primo grado in punto di mancanza di prova del fatto che la veranda abusiva fosse stata realizzata dal padre della ricorrente.
NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono opposti all’accoglimento del ricorso della COGNOME ed hanno proposto ricorso incidentale.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 380 -bis.1. c.p.c.,
La difesa dei controricorrenti-ricorrenti incidentali ha depositato memoria.
La ricorrente ha depositato controricorso rispetto al ricorso incidentale.
Con ordinanza n.19458 del 10 luglio 2023 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza in ragione della complessità delle questioni sollevate dalla ricorrente.
La Procura Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso principale e dichiararsi inammissibile il ricorso incidentale
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c. Articolo
360 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c., dell’art. 190 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c.’.
La ricorrente deduce, da un lato, che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che la domanda ex art. 2932 c.c. era stata abbandonata sia perché la ‘mera presa d’atto da parte del patrono di parte attrice delle conseguenze di legge connesse all’esito degli accertamenti istruttori acclaranti l’abusivismo di una parte del bene … non può in termini processuali essere ricondotta o peggio confusa con una volontà di rinunciare alla domanda principale’ sia perché essa ricorrente aveva prodotto in appello documentazione attestante l’avvenuta presentazione da parte sua di una istanza di sanatoria sia infine perché dal complessivo esame dell’attività processuale risultava la volontà di essa ricorrente di ottenere il trasferimento dell’immobile. La ricorrente deduce, da un altro lato, che il proprio difensore non aveva il potere di rinunciare ad alcuna domanda cosicché la Corte di Appello non avrebbe dovuto tener conto della rinuncia ed era incorsa nel vizio di ultrapetizione omettendo di pronunciare sulla domanda ex art. 2932 c.c.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. In primo luogo perché intrinsecamente contraddittorio: la ricorrente sostiene, per un verso, di non aver ‘rinunciato’ alla domanda ex art. 2932 c.c. e, per altro verso, che la ‘rinuncia’ vi era stata ma avrebbe dovuto essere considerata senza effetto in quanto posta in essere dal difensore senza potere.
In secondo luogo, quanto alla denuncia di violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il motivo è inammissibile dato che la disposizione ‘prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto,
risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Cass. n. 2268 del 26/01/2022).
In terzo luogo, quanto alla denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., il motivo è infondato.
La ricorrente sostiene che il proprio difensore, proponendo domanda di accertamento del diritto di recesso ex art. 1453 c.c., avrebbe ‘rinunciato’ alla domanda ex art. 2932 c.c.
Al contrario la Corte ha affermato che ‘Il mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione, costituendo esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge (art. 1453 comma secondo cod.civ.), non richiede l’accettazione del contraddittorio della controparte ne’, per altro verso, la sottoscrizione, da parte del soggetto interessato o del suo speciale procuratore, della relativa domanda, che rientra nei poteri del procuratore alle liti; tale mutamento preclude la successiva domanda di adempimento dato che il comportamento del contraente che chiede senza riserve la risoluzione del contratto per l’inadempienza della controparte è valutato dall’art. 1453 comma secondo cod. civ. come manifestazione della mancanza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva, con la conseguenza che, qualora il giudice non pronunci la risoluzione del contratto, l’obbligazione del contraente convenuto deve ritenersi comunque estinta.’ (Cass Sez. 3, Sentenza n. 1698 del 11/02/1993 ) Ed ancora: ‘L’art. 1453 cod. civ. secondo comma secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive quando uno dei contraenti non adempie alle proprie obbligazioni l’altro può chiedere la risoluzione del contratto anche dopo aver promosso il giudizio per domandare l’adempimento stabilisce un principio di ordine processuale che deroga alle disposizioni (art. 183, 184 cod. proc. civ.) che consentono nel corso del processo l’ emendatio ma non la mutatio libelli . L’anzidetto
mutamento della domanda di adempimento in domanda di risoluzione costituendo esercizio di una facoltà riconosciuta alla parte della legge (art. 1453 cod. civ.) non richiede l’accettazione del contraddittorio della controparte, ne’ postula per altro verso che la relativa dichiarazione sia sottoscritta dalla parte personalmente o da un procuratore speciale, vertendosi in tema non di un atto di disposizione del diritto in contesa, ma di un’attività processuale che di tale diritto costituisce soltanto una modalità di esercizio e che rientra pertanto nei poteri del procurator ad litem essendo questi abilitato a proporre, in aggiunta o in sostituzione di quelle proposte con l’atto di citazione, tutte le domande che siano ricollegabili con l’originario oggetto, salva la sua responsabilità per l’eventuale inosservanza delle istruzioni del mandante’. (Cass. Sez. 2, sentenza n. 4325 del 11/05/1987; Cass. 1979/63).*
Con il secondo motivo si deduce ‘Articolo 360 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. nonché dell’articolo 2932 c.c. Violazione a falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, con riferimento all’articolo 360, n. 4 c.p.c.’.
La ricorrente, da un lato, sull’assunto di non avere mai ‘rinunciato’ alla domanda ex art. 2932 c.c., lamenta che la Corte di Appello non abbia deciso della domanda stessa, dall’altro lato, sostiene che la ‘rinuncia’ non sarebbe stata possibile in quanto la rinuncia può riferirsi solo rispetto ad una domanda procedibile mentre la domanda di trasferimento coattivo di un immobile abusivo non è procedibile e quindi neppure rinunciabile.
Il motivo è inammissibile.
4.1. L’assunto è stato contraddetto della Corte di Appello in modo puntuale attraverso una precisa ricostruzione delle richieste presentate in corso di causa.
Per il resto, il motivo è viziato da intrinseca contraddittorietà e finisce per andare contro l’interesse (art. 100 c.p.c.) della stessa
ricorrente: la ricorrente sostiene che la Corte di Appello avrebbe dovuto pronunciare sulla domanda ex art. 2932 c.c. e, per censurare la decisione della Corte di Appello secondo cui la domanda era stata abbandonata, sostiene che la domanda era improcedibile.
Con il terzo motivo si deduce ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 84 c.p.c., dell’articolo 112 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, con riferimento all’articolo 360 n. 4 c.p.c.’.
La ricorrente, come già con il primo motivo, sostiene che il proprio difensore non aveva il potere di ‘rinunciare’ alla domanda ex art. 2932 c.c. con la conseguenza che la Corte di Appello, omettendo di pronunciare su tale domanda, avrebbe immotivatamente mancato di adempiere al proprio dovere di giudicare.
Il motivo è infondato per la ragione già evidenziata al superiore punto 2.
Con il quarto motivo si deduce ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli articoli 1427, 1429 e 1439 c.c., dell’articolo 395 n. 1 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 n. 3 c.p.c.’.
La ricorrente sostiene che la propria ‘rinuncia’ alla domanda ex art.2932 c.c. era stata viziata da dolo della controparte che aveva sottaciuto la circostanza, non rilevata dal consulente tecnico d’ufficio e scoperta dopo la precisazione definitiva delle conclusioni davanti al giudice di primo grado, di aver presentato una ulteriore domanda di sanatoria della veranda in base alla legge n.326 del 2003.
8.Il motivo è inammissibile.
8.1. Come già osservato, la denuncia di violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., deve essere riferita all’ omesso esame di “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico mentre nel caso di specie è riferita ad una argomentazione sulla sussistenza e sulla incidenza di una pretesa causa viziante la volontà di rinuncia. La ricorrente, attraverso il riferimento all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., mira a rimettere in discussione la motivazione della sentenza di appello nella parte in cui è scritto che l’allora appellante non aveva diritto ad essere rimessa in termini per riproporre la domanda ormai “rinunciata’ dato, sostanzialmente, che non vi era modo di ritenere che la scelta di abbandonare la domanda non fosse frutto che di ‘strategia processuale’ e di ritenere che sarebbe stata diversa ove la COGNOME avesse saputo della istanza di sanatoria essendo l’istanza ‘non equivale a sanatoria’.
La motivazione si sottrae al sindacato di legittimità, essendo denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n.8053/2004).
Con il quinto motivo si deduce ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 213 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 n. 3 c.p.c.’
Sostiene la ricorrente che la Corte di Appello avrebbe dovuto d’ufficio disporre l’acquisizione della domanda di sanatoria.
10. Il motivo è inammissibile.
10.1.’L’esercizio del potere, previsto dall’art. 213 c.p.c., di richiedere d’ufficio alla P.A. le informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo, costituisce una facoltà rimessa alla discrezionalità del giudice, il mancato ricorso alla quale non è censurabile in sede di legittimità’ (Cass. n.34158 del 20/12/2019).
11. Con il sesto motivo si deduce ‘Violazione e falsa applicazione dell’articolo 153 c.p.c. e dell’articolo 112 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 n. 3 c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c.’.
La ricorrente, dopo una discettazione -non suscettiva di sussunzione in alcun motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c. -su ‘l’intervento riformatore deal giugno 2009 che ha abrogato l’art. 184 bis c.p.c. creando un assetto nuovo generale per la rimessione in termini ora collocato in modo ben più appropriato sotto l’art. 153 c.p.c.’, sostiene che la Corte di Appello si sarebbe sottratta all’obbligo di pronunciare sulla domanda di maggior danno.
Il motivo è infondato, atteso che la Corte di Appello ha respinto la domanda di condanna degli COGNOME al risarcimento del maggior danno sottolineando che la odierna ricorrente non aveva dato prova del danno lamentato e che la domanda della ricorrente di essere rimessa in termini perché attraverso una consulenza tecnica potesse essere data la prova mancante doveva essere disattesa, in quanto in contrasto con i principi dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e del divieto di consulenze esplorative.
La Corte di Appello si è rigorosamente attenuta al consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui ‘la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o
nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati’ (Cass. 30128/2017) .
15. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, NOME, NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME denunciano omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 5, c.p.c. per avere la Corte di Appello dichiarato non provata la circostanza che la veranda abusiva fosse stata realizzata dal padre della ricorrente trascurando di considerare che tale circostanza poteva essere desunta dalla relazione del CTU di primo grado laddove era scritto che la veranda era stata realizzata certamente dopo l’11 giugno 1986, essendo pacifico in causa che proprio dal giorno 11 giugno 1986 l’immobile era stato detenuto da NOME COGNOME in base a contratto di locazione stipulato in quel giorno.
16.Il motivo è inammissibile per una duplice ragione.
16.1. Per un verso, perché ricorre una ipotesi di c.d. doppia conforme.
Come espressamente afferma l’art. 348 -ter, co. 4, c.p.c., l’ipotesi ricorre quando la decisione di primo grado e la decisione di secondo grado sono fondate ‘sulle stesse ragioni, inerenti alla questioni di fatto’.
Merita sottolineare che la norma non si riferisce alla doppio accertamento positivo delle vicende storiche delle situazioni sostanziali dedotte cosicché l’ipotesi ricorre anche quanto i giudici dei due gradi di merito abbiano -come nella specie-fondato le loro decisioni sulla regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c..
In ipotesi di doppia conforme la sentenza di appello non è ricorribile per il motivo di cui al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.pc.. (art. 348 ter, comma 4 e 5, c.p.c.)
16.2. Per altro verso, perché ‘ L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Cass. n.2268 del 26/01/2022).
Nel caso di specie i ricorrenti incidentali non denunciano l’omesso esame di un fatto in sé e per sé decisivo, denunciano invece l’omesso esame di un fatto da cui, sulla base di un ragionamento presuntivo, la Corte di Appello avrebbe dovuto trarre un fatto decisivo.
La inammissibilità del ricorso incidentale giustifica -in applicazione del principio per cui ‘Nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio ‘(Sez. U. n. 6826 del 22/03/2010), la decisione di non dare rilievo al fatto che il ricorso incidentale non è stato notificato a NOME COGNOME.
In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Roma 27 febbraio 2024.
Il Consigliere est. Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME