Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25704 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25704 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/09/2024
Oggetto: Domanda usucapione – Legittimazione passiva – Prova possesso – Tempestività prove e novità delle stesse in appello.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15753/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC del predetto;
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE; CONDOMINIO DI INDIRIZZO;
–
intimati –
Avverso la sentenza n. 387/2023, emessa dalla Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 19/1/2023 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12
settembre 2024 dalla AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME;
Rilevato che:
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., NOME COGNOME chiese al Tribunale di Roma di dichiararlo proprietario di un’area sita nel medesimo Comune, INDIRIZZO, per intervenuta usucapione, avendo sulla stessa esercitato per un periodo ultraventennale un possesso ad usucapionem .
Il giudizio così incardinato, nel quale la RAGIONE_SOCIALE, nei cui confronti la domanda era stata proposta, rimase contumace, mentre intervenne volontariamente il Condominio di Roma, INDIRIZZO, chiedendo il rigetto della domanda per avere egli esercitato il possesso in modo continuativo e l’accertamento del suo diritto di proprietà, con condanna del ricorrente al rilascio, si concluse con la sentenza n. 8529/2019, pubblicata il 18/04/2019, con la quale il Tribunale di Roma rigettò la domanda di usucapione e dichiarò cessata la materia del contendere con riguardo alle domande riconvenzionali del condominio, essendo stata medio tempore dichiarata dal Tribunale di Roma, con ordinanza ex art. 702bis cod. proc. civ., la proprietà in capo a quest’ultimo dell’area contesa.
Il giudizio d’appello, incardinato dal medesimo NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza del Condominio, con la sentenza n. 387/2023, pubblicata il 19/01/2023, con la quale la Corte d’Appello di Roma rigettò il gravame.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. La RAGIONE_SOCIALE e il Condominio di INDIRIZZO, sono rimasti intimati.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del
ricorso ed è stata perciò fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che non si sarebbe tenuto conto dei documenti depositati per la prima volta in sede d’appello, in data 06/10/2022, nonché delle argomentazioni fattuali e giuridiche basate su di essi, in ragione della preclusione di cui alla predetta disposizione, senza considerare che detta documentazione, riguardante il procedimento penale subito dal ricorrente per abusivismo edilizio, contestatogli quale possessore del cespite conteso, si era formata successivamente al giudizio di primo grado, oltre ad attestare il possesso esercitato.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2643, 2644 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che la mera intestazione catastale non fosse sufficiente, sotto il profilo probatorio, a provare il diritto di proprietà, senza considerare che il ricorrente non aveva tenuto conto della mera intestazione catastale del bene, ma delle risultanze dei pubblici registri immobiliari, come certificate dal notaio, il quale aveva attestato che la proprietà del bene era in capo alla RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che andavano considerati gli artt. 2643 e 2644 cod. civ., in virtù dei quali gli atti non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto, e che non vi era motivo per citare in giudizio il condominio, mentre i giudici avevano da tale assunto fatto discendere la condominialità dell’area.
3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che l’appellante avrebbe dovuto dimostrare che alla nascita del condominio era emersa la volontà chiara ed univoca della società di riservarsi l’area scoperta antistante il condominio, senza considerare che le planimetrie catastali depositate unitamente al regolamento condominiale non risultavano colorate in rosso, se non per i vani scala e due unità di servizio (portierato e centrale termica), che, alla stregua del regolamento, tutto quanto non indicato espressamente come di proprietà comune era di proprietà esclusiva e che, in ragione di ciò, andavano considerati di proprietà della società tutti i beni non contornati in rosso nella planimetria, sicché i giudici, escludendo le circostanze positivamente documentate in giudizio, avevano errato nell’individuare il condominio quale legittimato passivo nella domanda di usucapione.
4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., nonché l’ammissibilità della prova per testi, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., perché i giudici di merito, pur sottolineando la tardività della produzione documentale, avevano erroneamente ritenuto di dover rigettare l’appello sulla scorta del difetto di legittimazione passiva dell’originaria convenuta ed escludere l’ammissione dei testi già ammessa dal giudice di primo grado, sebbene nient’affatto generica, come affermato in sentenza, così realizzando il vizio di ultra petizione in quanto la rilevanza della prova per testi era stata già vagliata positivamente dal Tribunale di Roma con ordinanza del 30/05/2018, senza che ciò costituisse motivo d’appello.
Col quinto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) e 4), cod. proc. civ., nonché l’erroneità della decisione su un punto decisivo, stante il diverso ed opposto contenuto della documentazione versata in atti e l’assenza di corrispondenza del bene indicato nei contratti e in ogni altro documento proAVV_NOTAIOo dal condominio, per avere la sentenza d’appello omesso di pronunciarsi in ordine al fatto che il suolo richiamato nei documenti proAVV_NOTAIOi dal condominio non fosse quello occupato dal ricorrente, sussistendo una porzione adiacente avente le medesime caratteristiche, e che il condominio non avesse mai dimostrato di aver percepito alcun canone di locazione in relazione a tale suolo, ma proAVV_NOTAIOo soltanto contratti privi di indicazioni sull’area locata e non registrati nel periodo di riferimento, ma in epoca successiva, facendo derivare da tale omissione il giudizio del difetto di legittimazione passiva della società.
Col sesto motivo, infine, si lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello aveva pronunciato la condanna alle spese, senza considerare che, per quanto detto, avrebbe dovuto condannare il condominio in ragione dell’accoglimento della domanda di usucapione spiegata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, correttamente convenuta in giudizio.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: « INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso rigetto domanda di usucapione (doppia conforme), per le seguenti ragioni: 1° motivo: inammissibile. E’ carente di specificità (Sez. 1, n. 28184 del 10 dicembre 2020; Sez. 2, n. 17399 del 13 luglio 2017). 2° motivo: inammissibile. Ricorre nella specie l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con
conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020). 3° motivo: inammissibile. Il motivo censura una violazione di legge, che in realtà si traduce in una istanza di revisione delle prove. La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016). È, dunque, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U., n. 34476 del 27 dicembre 2019). 4° motivo: inammissibile. Qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i predetti mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la
pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Sez. 3, n. 9674 del 12 aprile 2023; Sez. 6-1, n. 23194 del 4 ottobre 2017; Sez. 6-3, n. 19985 del 10 agosto 2017; Sez. 1, n. 4178 del 22 febbraio 2007). 5° motivo: inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione delle regole in tema di valutazione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione dell’art. 115 c.p.c., abbia posto a fondamento della decisione prove non introAVV_NOTAIOe dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U, n. 20867 del 30 settembre 2020; Sez. 5, n. 16016 del 9 giugno 2021). 6° motivo: assorbito ».
8. Il primo motivo è inammissibile.
Se è vero che, nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., quale risulta dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134 del 2012 (applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012), pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l'”indispensabilità” degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (Cass., Sez. 3, 9/11/2017, n. 26522), e che il giudice è, perciò, chiamato ad accertare l’impossibilità di provvedere al tempestivo deposito nel
giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte, restando a tal fine ininfluente l’indispensabilità del documento ai fini del decidere (Cass., Sez. 1, 12/6/2024, n. 16289; Cass., Sez. 2, 24/10/2023, n. 29506), è altrettanto vero che, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia deAVV_NOTAIOa l’omessa o viziata valutazione di documenti, deve loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (Cass., procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del fondatezza della doglianza sulla base del solo Sez. 1, 7/3/2018, n. 5478; Cass., Sez. 1, 10/12/2020, n. 28184). Ciò comporta che, pur avendo i giudici errato nel liquidare la questione sull’ammissibilità della nuova documentazione proAVV_NOTAIOa in appello, limitandosi a richiamare il dettato dell’art. 345 cod. proc. civ. senza invece verificare se vi fosse stata l’impossibilità della parte di provvedere al suo tempestivo deposito, la censura non consente, per la sua laconicità e genericità, di verificare l’astratta sussistenza del requisito della posteriorità della documentazione proAVV_NOTAIOa in quella sede rispetto alla scadenza dei termini previsti per le deduzioni istruttorie in primo grado o comunque la non imputabilità all’appellante di quella mancata produzione.
9. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Infatti, ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introAVV_NOTAIOi con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di
cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 3, 28/2/2023, n. 5947; Cass., Sez. 3, 20/9/2023, n. 26934;Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860), onere che non viene meno in caso di successione nel diritto controverso tra primo e secondo grado, giacché il sopravvenuto mutamento del soggetto titolare della posizione sostanziale deAVV_NOTAIOa in giudizio non implica necessariamente la diversità tra le ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado e quelle della conferma in grado di appello (Cass., Sez. 3, 20/9/2023, n. 26934, cit.).
A tal proposito è stato anche da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto , la quale ricorre, come chiarito da Cass., Sez. 6-2, 9/3/2022, n. 7724, non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice.
Non avendo il ricorrente ottemperato a tale incombente, la censura deve considerarsi inammissibile.
10. Il terzo motivo è inammissibile.
A tal riguardo occorre partire dal principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’azione – con la quale si
rivendica, a qualsiasi titolo, una proprietà (nella specie a titolo di usucapione) – va diretta unicamente nei confronti di chi possiede il bene o ne è proprietario all’atto della domanda e non anche dei precedenti danti causa che non hanno veste di litisconsorti necessari (Cass., Sez. 2, 26/4/2000, n. 5335; Cass., Sez. 3, 11/2/2010, n. 3086; Cass., Sez. 2, 28/8/2015, n. 17270; Cass., Sez. 6-2, 4/10/2018, n. 24260), in quanto comporta l’accertamento di una situazione giuridica (usucapione e proprietà esclusiva) confliggente con quella preesistente della quale il giudice può solo conoscere in contradditorio di tutti gli interessati (Cass., Sez. 2, 14/6/2018, n. 15619; Cass., Sez. 2, 8/6/1994, n. 5559; Cass., Sez. 2, 26/3/1976, n. 1085).
A tal riguardo, occorre distinguere tra la legittimazione ad agire e a contraddire, che si risolve nell’accertare se, secondo la prospettazione dell’attore, quest’ultimo ed il convenuto assumano la veste di – rispettivamente – soggetto che ha il potere di chiedere la pronunzia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, e la reale titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale deAVV_NOTAIOo in giudizio, la quale si risolve, invece, in un elemento costitutivo della domanda e attiene al merito della lite, implicando l’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata (Cass., Sez. 3, 14/6/2006, n. 13656), la cui allegazione e prova spetta all’attore, salvo il riconoscimento o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Cass., Sez. U, 16/2/2016, n. 2951).
Tale premessa è funzionale alla comprensione della ratio della pronuncia, la quale, nell’affermare l’insufficienza dell’intestazione catastale a provare il diritto di proprietà, ha inteso valutare non già la legittimazione passiva della società evocata in giudizio dall’attore, ma il compendio probatorio acquisito in giudizio onde verificare, alla luce dell’intervento in giudizio del condominio, chi
fosse l’effettivo soggetto tenuto a subire la pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda di usucapione.
E’, dunque, in questo senso che i giudici di merito, sia pure impropriamente, hanno affermato che la domanda doveva essere rigettata per difetto di legittimazione passiva della società convenuta, avendo l’attore agito nei confronti del condominio, in quanto hanno reputato che, alla stregua della documentazione esaminata, la reale titolarità passiva del rapporto sostanziale deAVV_NOTAIOo in giudizio, ossia la proprietà del bene, fosse in capo a quest’ultimo, sì da rendere priva di fondamento la domanda avanzata verso chi non era più proprietario del bene.
La censura, pertanto, non rientra nei parametri della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il quale, nel descrivere, i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, ossia rispettivamente quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto (violazione di legge) e quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata (falsa applicazione di legge), non contempla l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640), ma sollecita una nuova lettura della documentazione, per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta, ponendosi dunque al di fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272).
11. Il quarto motivo è parte inammissibile e parte infondato.
L’inammissibilità deriva, in particolare, dalla genericità della censura, siccome priva della compiuta descrizione delle circostanze in fatto sulle quali i testimoni avrebbero dovuto deporre, in
violazione del principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (in tal senso, Cass., Sez. 6-1, 4/10/2017, n. 23194).
Quanto all’infondatezza della censura, occorre, innanzitutto, evidenziare come l’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione, pur limitando il giudizio all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi proposti (Cass., Sez. L , 03/04/2017, n. 8604), precluda al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente deAVV_NOTAIOe nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico (Cass., Sez. 3, 13/4/2018, n. 9202), sicché detto principio non può dirsi violato allorché il giudice di secondo grado fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente deAVV_NOTAIOe nei motivi stessi e, come tali, comprese nel
thema decidendum del giudizio (Cass., Sez. L, 03/04/2017, n. 8604, cit.).
Orbene, risulta dalla sentenza impugnata che l’appellante aveva effettivamente proposto censure afferenti alla prova del possesso (cfr. p. 8, terza e quarta riga), come, del resto, ammesso dallo stesso ricorrente allorché, nel descrivere i motivi di gravame, vi ha compreso anche quello riguardante l”illegittimo rigetto delle istanze istruttorie’, sicché il predetto non può ora lamentare il fatto che i giudici di merito abbiano preso in esame l’ammissibilità delle relative deduzioni, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, se non quando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione (Cass., Sez. 3, 6/11/2023, n. 30810).
12. Il quinto motivo è inammissibile.
In disparte la genericità della sua articolazione, essendo ivi richiamato un non precisato contratto di locazione del quale non vi è alcuna menzione nella sentenza impugnata e la cui rilevanza è rimasta oscura, deve osservarsi come la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. possa essere deAVV_NOTAIOa come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introAVV_NOTAIOe dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha
attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055), come si legge invece nella censura.
Il sesto motivo resta assorbito dall’inammissibilità dei precedenti, vertendo sulla questione della condanna alle spese in virtù del principio della soccombenza.
In conclusione, dichiara l’inammissibilità del primo, secondo terzo e quinto motivo, l’infondatezza del quarto e l’assorbimento del sesto, il ricorso deve essere rigettato. Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto difesa.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., da interpretarsi alla stregua del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, secondo cui la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della cassa delle ammende deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/9/2024.