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Domanda di simulazione rigettata: il caso in Cassazione

Una creditrice ha intentato una causa per simulazione e azione revocatoria contro una debitrice e suo marito, sostenendo che la cessazione dell’attività commerciale della debitrice fosse un atto fittizio per sottrarre beni alla garanzia del credito. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le richieste, non ravvisando alcun atto dispositivo o negozio giuridico valido su cui fondare la domanda di simulazione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, dichiarando il ricorso inammissibile per motivi procedurali e per la mancata contestazione della ratio decidendi della sentenza d’appello.

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Pubblicato il 31 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Domanda di Simulazione Rigettata: Quando Manca l’Atto da Impugnare

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso interessante relativo a una domanda di simulazione e revocatoria, respinta per l’assenza di un presupposto fondamentale: un valido atto dispositivo da impugnare. Questa decisione offre importanti spunti sulla differenza tra un fatto materiale, come la cessazione di un’attività, e un negozio giuridico, unico oggetto possibile di tali azioni a tutela del credito.

I Fatti di Causa

Una creditrice, forte di una sentenza che le riconosceva un credito di quasi 63.000 euro, agiva in giudizio contro la sua debitrice, titolare di un’attività di panetteria, e il di lei coniuge. La creditrice sosteneva che una serie di operazioni fossero state orchestrate al solo fine di sottrarre beni alla sua pretesa. Nello specifico, contestava la cessazione dell’attività di panificazione da parte della debitrice e un successivo contratto con cui il figlio della coppia concedeva in affitto la stessa azienda commerciale al padre.
Secondo la tesi della creditrice, si trattava di atti simulati e fraudolenti, posti in essere per pregiudicare le sue ragioni, e ne chiedeva pertanto la dichiarazione di simulazione assoluta e di inefficacia tramite azione revocatoria.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno rigettato le richieste della creditrice. La motivazione di fondo di entrambe le decisioni è stata la medesima: mancava l’oggetto stesso dell’impugnazione. I giudici hanno chiarito che né la cessazione di un’attività commerciale né il contratto d’affitto stipulato tra il figlio (terzo estraneo alla causa) e il padre potevano essere considerati atti dispositivi della debitrice idonei a essere oggetto di una domanda di simulazione.
La cessazione dell’attività, infatti, è stata qualificata come un mero fatto e non come un negozio giuridico. Il contratto d’affitto, d’altro canto, non vedeva la debitrice come parte contrattuale. Di conseguenza, non esisteva alcun atto dispositivo del patrimonio della debitrice che la creditrice potesse legittimamente attaccare.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La creditrice ha proposto ricorso per cassazione, ma la Suprema Corte lo ha dichiarato inammissibile, confermando la correttezza delle decisioni dei giudici di merito. Le motivazioni della Corte si sono concentrate su diversi aspetti procedurali e di diritto.

Inammissibilità della richiesta di una nuova valutazione di una domanda di simulazione

Il primo motivo di ricorso, con cui si lamentava la violazione di diverse norme sostanziali e procedurali, è stato respinto perché la ricorrente non ha colto la ratio decidendi della sentenza d’appello. Invece di contestare il punto centrale (l’assenza di un atto dispositivo), si è limitata a riproporre le proprie tesi. La Corte ha ribadito che l’azione di simulazione può applicarsi solo a negozi giuridici, non a semplici fatti.

L’inammissibilità della censura sull’omesso esame delle prove

Il secondo motivo, relativo all’omesso esame delle deposizioni testimoniali, è stato giudicato inammissibile per due ragioni. In primo luogo, vigeva il divieto di ricorso per cassazione previsto dall’art. 348-ter c.p.c. (cosiddetta ‘doppia conforme’), poiché le sentenze di primo e secondo grado erano giunte alla medesima conclusione sui fatti. In secondo luogo, la Corte ha specificato che l’omesso esame di elementi istruttori (come le testimonianze) non integra il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., che riguarda solo l’omesso esame di un ‘fatto storico’ decisivo, non di singole prove.

L’irrilevanza delle altre censure

Anche gli altri motivi, riguardanti la valutazione del credito e la condanna alle spese, sono stati ritenuti infondati. La Corte ha sottolineato che, una volta escluso in radice che vi fosse un atto dispositivo da revocare, diventava irrilevante discutere della sussistenza del credito o della correttezza della condanna alle spese, che segue semplicemente il principio della soccombenza.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando la ricorrente anche al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende. La decisione riafferma un principio cruciale: per poter esperire con successo una domanda di simulazione o un’azione revocatoria, è indispensabile individuare e provare l’esistenza di un preciso negozio giuridico dispositivo compiuto dal debitore. In assenza di tale presupposto, qualsiasi azione è destinata a fallire. Questo caso serve da monito sull’importanza di fondare le proprie pretese legali su basi giuridiche solide e pertinenti, evitando di confondere fatti materiali con atti giuridici impugnabili.

Può la semplice cessazione di un’attività commerciale essere oggetto di una domanda di simulazione?
No, la Corte di Cassazione ha confermato che la cessazione di un’attività è un fatto materiale e non un negozio giuridico. Pertanto, non può essere impugnata con un’azione di simulazione, che si applica solo a negozi giuridici.

È possibile contestare in Cassazione la mancata ammissione di prove testimoniali da parte del giudice d’appello?
No, in questo caso la censura è stata ritenuta inammissibile. L’omesso esame di elementi istruttori, come le deposizioni testimoniali, non costituisce un ‘fatto storico’ decisivo il cui esame sia stato omesso. Inoltre, nel caso specifico operava la preclusione della ‘doppia conforme’ (art. 348-ter c.p.c.), poiché le sentenze di primo e secondo grado erano conformi sulle questioni di fatto.

Quando un ricorso per cassazione rischia di essere dichiarato inammissibile?
Il ricorso è inammissibile quando, invece di contestare specificamente la ratio decidendi (la ragione giuridica della decisione) della sentenza impugnata, si limita a riproporre le stesse tesi difensive già respinte nei gradi di merito. È altresì inammissibile se tenta di ottenere un riesame dei fatti in una sede, come la Cassazione, dedicata al solo controllo di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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