Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8188 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8188 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26696/2021 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliaizone telematica in atti – ricorrente –
contro
NOME COGNOME domiciliato per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliaizone telematica in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d ‘ APPELLO di LECCE n. 310/2021 depositata il 16/03/2021.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 19/03/2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME addivennero, nell ‘ anno 2003, a un ‘ intesa transattiva (consacrata in scritture private datate 13 maggio 2003 e depositate fiduciariamente presso un avvocato), per la definizione di una serie di rapporti di debito-credito reciproci, derivanti dalla gestione, in comune, di tre società e anche di un giudizio tra essi pendente.
In base ad essa, mentre si faceva carico al Leo di presentare domanda di sanatoria fiscale – con effetto estintivo anche del reato contestatogli – entro il 16/05/2003, si imponeva al COGNOME di versare la somma complessiva di € 634.880,47, dei quali, i primi € 343.960,28 mediante compensazione con credito vantato dalla società RAGIONE_SOCIALE verso la società RAGIONE_SOCIALE, i secondi € 100.000,00 con versamento entro la data del 15/05/2003 (e, comunque, in tempo utile per il pagamento della prima rata del condono fiscale richiesto dal Leo) e, infine, gli ultimi € 253.000,00 entro sei mesi dall ‘ accordo. Ciò premesso, sull ‘ ulteriore presupposto di avere presentato la domanda di condono fiscale, il Leo lamentava, innanzi al Tribunale di Brindisi, che il COGNOME non avesse adempiuto, invece, al versamento dell ‘ ultima rata, chiedendo, pertanto, la condanna dello stesso al pagamento della somma di € 253.000,00. Per parte propria il COGNOME, nel costituirsi in giudizio, lamentava – sul presupposto che tutti i pagamenti pattuiti fossero destinati alla definizione del procedimento di condono fiscale – che il Leo, a fronte dell ‘ avvenuta apprensione delle prime due rate, avesse versato, ai fini della sanatoria fiscale, solo € 37.140,00. Su tali basi, quindi, il COGNOME non solo rivendicava la legittimità del proprio rifiuto a versare la residua rata, ma svolgeva anche domanda riconvenzionale, volta a ripetere la somma di € 453.000,00, pari ai due primi versamenti.
Il Tribunale di Brindisi, con sentenza n. 802 del 10/10/2012, rigettava tutte le domande, affermando fosse impossibile ravvisare nel ‘ verbale di deposito ‘ (nel quale le scritture erano richiamate) i requisiti di forma e sostanza tipici della transazione.
Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello principale NOME COGNOME e impugnazione incidentale NOME COGNOME
La Corte d ‘ appello di Lecce, con sentenza n. 1166/2016, depositata il 30/11/2016, in parziale accoglimento di ambo gli appelli, dichiarava valida la transazione del maggio 2003, rigettando, invece, la domanda di NOME COGNOME ed accogliendo quella riconvenzionale del COGNOME, condannando il NOME a restituire al COGNOME la somma di € 62.860,00, oltre interessi legali dal giorno della domanda (somma pari alla differenza tra la rata di € 100.000,00, ovvero la seconda versata dal COGNOME, e l ‘importo di € 37.140,00, corrisposto dal Leo nella procedura di condono).
NOME COGNOME propose ricorso per cassazione avverso la detta sentenza e questa Corte, nella resistenza di NOME COGNOME con ordinanza n. 16587 del 20/06/2019, accolse il primo motivo di ricorso, rigettò il secondo motivo, cassò la sentenza impugnata, con rinvio alla stessa Corte d ‘ appello di Lecce, in diversa composizione.
NOME COGNOME riassunse il giudizio dinanzi la Corte territoriale e questa, nel contraddittorio con NOME COGNOME con sentenza n. 310 del 16/03/2021, ha rigettato la domanda restitutoria.
NOME COGNOME chiede la cassazione della sentenza della Corte d ‘ appello di Lecce n. 310 del 16/03/2021, nei confronti di NOME COGNOME sulla base di due motivi di ricorso.
Risponde con controricorso NOME COGNOME
Il Procuratore generale non ha presentato conclusioni.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione all ‘ adunanza camerale del 19/03/2025, alla quale il Collegio ha riservato il deposito dell ‘ ordinanza nel termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La sentenza della Corte d ‘ appello di Lecce, impugnata in questa sede, è stata emessa a seguito di giudizio di rinvio, disposto da questa Corte con ordinanza n. 16587 del 20/06/2019 e il cui dispositivo era di accoglimento del primo motivo di ricorso secondo il seguente letterale tenore:
«La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo e, per l ‘ effetto, cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Lecce, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese processuali.».
Il giudizio di cassazione era stato instaurato da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 1166/2016 della Corte d ‘ appello di Lecce, depositata il 30/11/2016.
Il primo motivo di ricorso, in quel giudizio, era proposto ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. – per violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1460 cod. civ. e con esso, secondo l ‘ ordinanza di cassazione con rinvio:
« Si censura la sentenza impugnata perché essa avrebbe non solo accolto ‘ una non meglio articolata eccezione di inadempimento ‘ del COGNOME, bensì anche ‘ ritenuto di far discendere da tanto non solo l ‘ effetto tipico dell ‘ istituto ‘ (ovvero, paralizzare l ‘ esecuzione del contratto e giustificare il contegno del COGNOME), ‘ ma anche l ‘ effetto tipico (dell ‘ accoglimento) della domanda di risoluzione, ovverossia la restituzione a favore della parte (ritenuta) adempiente ‘ .
Qualora, poi, si ritenesse – in difetto, peraltro, di un ‘ espressa statuizione in tal senso – che la Corte territoriale abbia inteso dichiarare la risoluzione, essa si sarebbe sottratta al dovere di ‘ valutare le reciproche obbligazioni assunte dalle parti, sotto il profilo dell ‘ importanza delle stesse rispetto allo scopo del negozio transattivo ‘ , e, soprattutto, di confrontare i reciproci inadempimenti, al fine stabilire quale di essi fosse ‘ di non scarsa importanza ‘ .».
Ciò posto, e dovendosi necessariamente richiamare il giudizio presupposto al fine della comprensione della vicenda che si va a esporre, i motivi di ricorso spiegati in questa sede sono i seguenti.
Primo motivo: violazione degli articoli 360, primo comma, n. 3 c.p.c. e falsa applicazione delle norme, incomprensibilità della decisione finale e dell ‘ iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione per aver considerato le conclusioni del COGNOME, in ordine alla risoluzione del contratto di transazione, quale domanda nuova.
Il primo motivo è infondato, se non radicalmente inammissibile per mancata adeguata indicazione delle norme di diritto che si assumono violate ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., posto che nell ‘ epigrafe del motivo non sono richiamate le norme che si assumono violate.
Ove si potesse procedere in ogni caso allo scrutinio del motivo, intendendosi richiamate le norme in materia di risoluzione del contratto e di indebito oggettivo, il Collegio ritiene che la proposizione della domanda di risoluzione del contratto di transazione – o quanto meno dell ‘ accordo di deposito fiduciario, l ‘ accertamento della cui proposizione, in quanto questione di fatto, era stata rimessa da questa Corte, con l ‘ ordinanza n. 16587 del 2019, al giudice di merito – non è stata comprovata e invero neppure dedotta, cosicché l ‘ azione restitutoria, ai sensi dell ‘ art. 2033 c.c. non poteva essere proposta.
NOME COGNOME alla pag. 12 del proprio ricorso per cassazione, richiama la comparsa di risposta nel giudizio di primo grado instaurato da NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Brindisi e afferma che ivi egli «non solo chiedeva il rigetto della domanda attorea, ma spiegava, con domanda riconvenzionale, la richiesta ad ottenere la restituzione delle somme versate dal COGNOME in conseguenza del mancato adempimento delle obbligazioni assunte dall ‘ attore nella misura di € 453.000,00 a titolo di somme non ve rsate all ‘ amministrazione finanziaria verificandosi diversamente un
indebito arricchimento», ma da detta narrazione, con relativo richiamo testuale all ‘ atto difensivo svolto in prime cure, non risulta in alcun modo la proposizione di un ‘ azione di risoluzione della transazione o del contratto di deposito fiduciario, palesandosi soltanto una proposta una richiesta di restituzione delle somme versate.
La domanda di restituzione delle somme, previa «ove occorra declaratoria di risoluzione del verbale di deposito fiduciario» risulta effettuata, con il detto presupposto, della risoluzione del contratto, soltanto in fase di rinvio, dopo la pronuncia di cassazione con rinvio, e, quindi, deve ritenersi preclusa, stante la natura chiusa, quanto all ‘ attività delle parti, del giudizio di rinvio (Cass. n. 22885 del 10/11/2015 Rv. 637823 – 01).
L ‘ azione di indebito arricchimento, ai sensi dell ‘ art. 2041 c.c. del pari non risulta proposta entro i termini di maturazione delle relative preclusioni assertive.
Non vi è alcuna possibile interpretazione in senso ampliativo degli atti di causa e – soprattutto – del tenore testuale delle domande proposte dalle parti, fino al punto di ritenere che NOME COGNOME sin dal primo grado di giudizio, e non anche in fase di appello, in quanto ciò non gli sarebbe stato consentito sulla base della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 20322 del 26/07/2019 Rv. 654927 – 02, che esclude che proposta in primo grado eccezione d ‘ inadempimento in appello possa proporsi azione di risoluzione), avesse proposto un ‘ azione di risoluzione della transazione. Infatti, NOME COGNOME non richiama in alcun modo le parti salienti degli atti di causa dai quali possa inferirsi che egli aveva proposto una domanda di risoluzione della transazione, cosicché è corretta, e resiste alle censure del ricorrente, l ‘ affermazione decisoria dei giudici di merito di preclusione della domanda di restituzione di indebito, posto che la proposizione dell ‘ eccezione di inadempimento non equivale alla proposizione della domanda di risoluzione.
Il primo motivo è infondato anche con riferimento alla prospettazione relativa alla proposizione dell ‘ azione ai sensi dell ‘ art. 2041 c.c., poiché l ‘ azione di arricchimento senza causa non era stata ritualmente proposta, come affermato correttamente dalla sentenza d ‘ appello in questa sede impugnata, alla pag. 4 e alla pag. 5, o quantomeno l ‘ azione di arricchimento non risultava essere stata tempestivamente proposta in primo grado e la sua proposizione in fase d ‘ appello era tardiva e comunque era inammissibile in sede di rinvio, dopo l ‘ ordinanza rescindente della Cassazione.
Il primo motivo è, pertanto, rigettato.
Col secondo motivo parte ricorrente lamenta violazione degli articoli 360 c.p.c., primo comma, n. 3 e falsa applicazione delle norme per violazione del giudicato ai sensi dell ‘ art. 324 c.p.c., incomprensibilità della decisione finale e dell ‘ iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione.
La censura si incentra sull ‘ omessa considerazione, da parte della Corte territoriale, di quello che sarebbe stato il mandato decisorio rimessole da questa Corte, nel senso che questo sarebbe stato nel senso dell ‘ autonomo accertamento e dichiarazione, da parte del giudice di merito, della risoluzione del contratto di transazione, indipendentemente dal riscontro in atti di una domanda in tal senso proposta dalle parti.
Il motivo è privo di un adeguato addentellato testuale, posto che la compiuta lettura dell ‘ ordinanza rescindente di questa Corte (Cass. n. 16587 del 20/06/2019) rende palese che l ‘ accertamento demandato al giudice di merito, ossia alla Corte d ‘ appello di Lecce, era relativo all ‘ effettiva e rituale proposizione di un ‘ azione di risoluzione del contratto di transazione, quale unico valido presupposto della domanda di restituzione.
Il motivo, inoltre, non censura adeguatamente la seguente parte di motivazione, di cui alle pag. 4, punto 12) e 12.1) e pag. 5, punto 12.2.) 12. 3) e 13, della sentenza d ‘ appello, laddove la Corte
territoriale rende conto, con motivazione ampia, logica e coerente, delle ragioni per le quali in primo grado non poteva ritenersi essere stata ritualmente proposta da NOME COGNOME l ‘ azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell ‘ art. 2041 c.c.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato.
Le spese di lite di questo giudizio di legittimità seguono la soccombenza di NOME COGNOME e, sulla base del valore della controversia e dell ‘ attività processuale espletata, sono liquidate come da dispositivo.
La decisione di rigetto del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di