Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12374 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12374 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1961-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3896/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/11/2023 R.G.N. 2048/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 1961/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 27/03/2025
CC
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 4856 del 12.7.2023 il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione ex art. 1 commi 51 e ss. l. n. 92/2012 proposta avverso l’ordinanza n. 9552/2022, resa all’esito della fase sommaria, con la quale, in parziale accoglimento del ricorso proposto da NOME COGNOME volto alla declaratoria di nullità del licenziamento per giusta causa intimato dalla RFI s.p.a. in data 15.10.2021, aveva ritenuto esistente la giusta causa di licenziamento per le condotte tenute dal lavoratore di abuso del mezzo aziendale e di altri gravi comportamenti, ma violato il principio della tempestività della contestazione disciplinare rispetto al momento della conoscenza di tali condotte da parte del datore di lavoro, e aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro, condannando la RFI al pagamento di un’indennità risarcitoria in favore del COGNOME liquidata nella misura di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto pari ad € 2.606,31 ed alla refusione di metà delle spese giudiziali.
Con sentenza n. 3896/2023 del 7 novembre 2023, la Corte d’appello di Napoli, rilevato che era si era formato il giudicato ‘circa la esistenza della giusta causa, della gravità delle condotte del lavoratore, della proporzionalità della sanzione’, non avendo il lavoratore censurato la sentenza su questi aspetti, ha accolto parzialmente il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE ritenendo la tempestività della contestazione disciplinare e, in riforma della sentenza reclamata, ha rigettato sia le domande avanzate dal COGNOME che la domanda svolta da RAGIONE_SOCIALE volta alla restituzione delle somme erogate in primo grado ‘perché non solo non è indicata la somma ma nemmeno il riferimento documentale’.
Avverso tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Il COGNOME ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Parte ricorrente RAGIONE_SOCIALE ha depositato memorie illustrative.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 1, commi 49 e 57, L. n. 92/2012 e art. 431 c.p.c., nella parte in cui ha respinto la domanda di restituzione avanzata da RFI in sede di reclamo in evidente contrasto sia con la natura ‘immediatamente esecutiva’ della sentenza resa all’esito della c.d. fase di opposizione, sancita dall’art. 1, commi 49 e 57, L. n. 92/2012 e dall’art. 431 c.p.c., sia della pacifica ammissione/non contestazione, da parte del lavoratore, di avere ricevuto la somma scaturente dalla condanna di primo grado a carico dell’azienda. Evidenzia che nelle conclusioni del ricorso per reclamo aveva chiesto, in via principale, di accertare la legittimità del recesso intimato al COGNOME e, conseguentemente, respingere tutte le domande da questi avanzate ‘condannando controparte alla restituzione di quanto erogato in esecuzione della sentenza di primo grado’ e che, non avendo il COGNOME contestato tale domanda, il Giudice di appello avrebbe dovuto ritenere un dato acquisito l’avvenuto pagamento dell’indennità risarcitoria, pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e, quindi, ordinare la restituzione di quanto percepito.
Con il secondo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce, sempre ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 336 c.p.c. nella parte in cui la Corte di appello non ha disposto, anche d’ufficio, la restituzione di quanto erogato dal datore di lavoro, in ragione della riforma della sentenza di primo grado e l’integrale rigetto di tutte le domande formulate dal lavoratore con il ricorso, posto che il diritto alla restituzione sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, la quale, fa venir meno ex tunc e definitivamente il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza.
Con controricorso e ricorso incidentale il COGNOME deduce l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza dell’avverso ricorso e, in via condizionata all’accoglimento del ricorso principale, svolge ricorso incidentale lamentando l’erronea interpretazione dell’art. 7 della l. n. 300/70 e dell’art 66 punto 2 del ccnl di categoria, in relazione all’affermata
tempestività della contestazione disciplinare avvenuta solo nel settembre 2021, a distanza di oltre un anno anche dagli ultimi episodi contestati. Lamenta, altresì, l’erroneità della decisione di far decorrere i termini ‘dalla fine dei lavori della commissione’ di indagine, costituita per valutare, non la condotta del COGNOME, ma l’attività di tutta la compagine della società.
I motivi di ricorso principale, che possono essere congiuntamente esaminati per connessione sono inammissibili.
Occorre, infatti, osservare, in via generale, che la richiesta di restituzione di somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, anche nel rito del lavoro, consegue alla richiesta di modifica della decisione impugnata e, non costituendo domanda nuova, è ammissibile in appello, se formulata, a pena di decadenza, con l’atto di gravame, ove a tale momento la sentenza sia stata già eseguita, ovvero nel corso del giudizio, qualora l’esecuzione sia avvenuta dopo la proposizione dell’impugnazione (Così Cass. sez. lav. n. 2292/2018, Rv. 647305-01; Cass. n. 24896 del 21/08/2023, Rv. 66874901).
In ogni caso, la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza riformata va proposta allegando e provando il pagamento di quanto oggetto della sentenza di condanna. La prova del pagamento può essere desunta anche dal comportamento processuale delle parti, alla stregua del principio di non contestazione che informa il sistema processuale civile e di quello di leale collaborazione tra le parti, manifestata con la previa presa di posizione sui fatti dedotti, funzionale all’operatività del principio di economia processuale (cfr. Cass. sez. lav. n. 1886 del 2022 e Cass. sez. lav. n. 11115 del 2021). L’operatività del principio di non contestazione, con conseguente relevatio dell’avversario dall’onere probatorio, postula, tuttavia, che la parte dalla quale è invocato abbia per prima ottemperato all’onere processuale, posto a suo carico, di provvedere ad una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione, sicché la mancata allegazione puntuale dei
fatti costitutivi, modificativi o estintivi rispetto ai quali opera il principio di non contestazione esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall’onere di compiere una contestazione circostanziata (Cass. n. 26908/2020, Rv. 659902-01; Cass. n. 9439/2022, Rv. 664451- 01, Cass. n. 20525 del 2020, Rv. 659198-02, Cass. n.3023/2016, Cass. n.19896/2015).
5. Tutto ciò premesso e passando all’esame dei motivi di ricorso, quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. essa è inammissibile. Premesso che costituisce elemento valutativo riservato al giudice del merito, apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (così Cass. n. 3680/2019, Rv. 653130-01), sicché tale apprezzamento è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, le argomentazioni poste a fondamento della decisione (Cass. n. 13217/2014, Rv. 631806-01), va, comunque, rilevato che anche la censura di falsa applicazione del principio di non contestazione, e dunque dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ., soggiace alla necessità dell’osservanza dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.. Difatti, allorché sia denunciata una non corretta applicazione del principio di ‘non contestazione’ – e ciò a prescindere dal contenuto della doglianza formulata, e dunque tanto nell’ipotesi in cui si lamenti che il giudice abbia ritenuto operante il principio in assenza dei suoi presupposti, quanto nel caso in cui ci si dolga, al contrario, dell’erronea esclusione della sua operatività – il ricorrente è tenuto non solo ad ‘indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese’, inserendo nel ricorso ‘la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi’ e ciò mercé ‘la riproduzione degli atti del giudizio nella misura necessaria’ a tale scopo (Cass. n. 16655/2016, Rv. 64148601), ma anche ad ‘indicare specificamente il contenuto della comparsa di
risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi’ (cfr. Cass. n. 15058/2024, Rv. 671191-01; Cass. n. 12840/2017, Rv. 644383-01), in modo da consentire a questa Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ.
5.1. Nella specie, tale onere non risulta essere stato adempiuto, atteso che la ricorrente si è limitata a riportare in ricorso le sole conclusioni svolte in sede di reclamo e le conclusioni svolte dal COGNOME nella memoria di costituzione in sede di reclamo, donde l’inammissibilità del motivo. Dagli stralci degli atti per come riportati, peraltro, emerge unicamente la proposizione della domanda restitutoria radicalmente priva di ogni allegazione in ordine all’intervenuto pagamento in esecuzione della sentenza di primo grado. Deve quindi ritenersi che l’onere di allegazione del fatto costitutivo della domanda restitutoria, consistente nella affermazione di avere operato il pagamento di determinate somme di cui all’originario titolo provvisoriamente esecutivo, non fosse stato assolto da RFI e che, dunque, la controparte non avesse alcun onere di prendere specifica posizione di contestazione nel primo atto difensivo successivo.
Per quanto attiene il secondo motivo, ricordato che il giudice dell’impugnazione, il quale riformi (per ragioni di rito o di merito) la decisione gravata, ha il potere ma non l’obbligo di disporre d’ufficio, ricorrendone i presupposti e sempre che non sia necessario alcun accertamento in fatto che comporti un ampliamento del thema decidendum , la restituzione e/o il ripristino conseguenti alla riforma della pronuncia impugnata, poiché tali effetti non discendono ipso facto dalla sentenza riformata o cassata (così Cass. n. 24171 del 30/10/2020, Rv. 659527-01), va rilevato che le censure articolate non si confrontano con la ratio decidendi alla base del rigetto della domanda di restituzione. Tale domanda è stata infatti esaminata e respinta dalla Corte di merito che, con affermazione non validamente censurata la ha ritenuto generica e comunque non sorretta da riscontro probatorio.
In base alle considerazioni che precedono il ricorso principale va dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 27 marzo 2025.
LA PRESIDENTE
NOME COGNOME