Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7453 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7453 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3861 R.G. anno 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME e dall’avvocato NOME
NOME a Neri, presso la quale è domiciliato; ricorrente
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME, presso il quale sono domiciliati;
contro
ricorrenti
avverso la sentenza n. 687 depositata il 2 luglio 2020 della Corte di appello di Torino.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2023 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno evocato in giudizio RAGIONE_SOCIALE, deducendo che, in base a un contratto di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari nonchè di deposito di titoli a custodia, la convenuta aveva eseguito, tra l’ottobre 1999 ed il settembre 2000, un numero spropositato di operazioni in strumenti finanziari derivati, anche in eccedenza rispetto alla provvista -integrata a loro insaputa con affidamenti di scoperto di conto corrente -, falsificando la sottoscrizione di buona parte degli ordini, deliberati, di fatto, in autonomia, dai funzionari della banca intermediaria, senza inviare i rendiconti e senza informare delle perdite, che avevano superato il 50% del valore dei titoli; hanno esposto che la banca aveva dunque violato, sotto più profili, le norme di comportamento stabilite a carico degli intermediari finanziari dalla normativa primaria e secondaria in materia. Hanno domandato dichiararsi la nullità o pronunciarsi l’annullamento del contratto e delle operazioni eseguite in attuazione dello stesso, con condanna della banca alla restituzione del capitale investito, oltre che al risarcimento dei danni subiti; in subordine, hanno chiesto pronunciarsi la risoluzione, per inadempimento della convenuta, del contratto e delle operazioni sopra indicate, oltre che la condanna della convenuta al ristoro del pregiudizio sofferto.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si è costituita e, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna degli attori al pagamento della somma corrispondente al saldo debitore del conto corrente a loro intestato.
Esteso il contraddittorio a COGNOME NOME, moglie del COGNOME e figlia de i NOME – la quale è stata chiamata in garanzia da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per l’ipotesi in cui fosse risultata confermata la riconducibilità alla medesima delle firme apocrife apposte in calce ad alcuni ordini -il Tribunale di Cuneo, espletata c.t.u. grafologica ed escussi i testi indicati da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha respinto la domanda risarcitoria.
2. – E’ stato p roposto appello dagli attori soccombenti in primo
grado; al gravame ha resistito RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la quale ha proposto una impugnazione incidentale per l’omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale e una impugnazione incidentale subordinata per la declaratoria della responsabilità extracontrattuale di COGNOME NOME.
La Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno in favore degli appellanti, liquidando lo stesso nella somma di euro 154.953,58, oltre rivalutazione ed interessi: somma ritenuta pacificamente corrispondente al totale dell’investimento.
– La sentenza è stata impugnata per cassazione e questa Corte, con sentenza n. 24544 del 2016, ha cassato la pronuncia impugnata con riguardo al quantum della prestazione risarcitoria.
– In sede di rinvio la Corte di appello di Torino ha rideterminato il danno degli investitori in euro 75.612,88, oltre rivalutazione monetaria e interessi, e per l’effetto ha condannato i medesimi a restituire alla banca, attrice in riassunzione, la differenza tra la complessiva somma di euro 98.887,04 e il predetto importo di euro 75.612,88, con le maggiorazioni indicate.
– Ricorre ora nuovamente per cassazione, con due motivi, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Col primo motivo è denunciata la nullità della sentenza impugnata per totale difetto di motivazione sul punto della restituzione spettante a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Si lamenta che la Corte di appello abbia mancato di spiegare la ragione per la quale, in vista della quantificazione del rapporto di dare e avere tra le parti, il danno accertato avrebbe dovuto detrarsi dalla somma di euro 94.887,04, e non dall’ammontare di quanto corrisposto dall’istante in esecuzione della prima sentenza di appello, pari a euro 197.126,90.
Il secondo mezzo prospetta l’o messo esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale fatto è individuato dell’avvenuto versamento, in data 26 settembre 2011, da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e in favore dei controricorrenti odierni COGNOME e COGNOME, dell’importo di euro 197.126,90.
– Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo.
2.1. Si riporta quanto stabilito nella sentenza n. 24544 del 2016 di questa Corte, da cui si è originato il giudizio di rinvio.
« La Corte distrettuale, nel motivare la liquidazione del danno che ha condannato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a risarcire alle controparti, ha fatto riferimento alla ‘ perdita totale dell’investimento ‘ – cioè, deve ritenersi, delle somme complessivamente investite dai signori COGNOME e COGNOME., il cui importo ha però affermato essere ‘ pacificamente ‘ ammontante a euro 154.953,58 senza ulteriore giustificazione. L’uso, evidentemente atecnico, del termine ‘ pacificamente ‘ non è idoneo a colmare la lacuna motivazionale nella quale è incorsa la Corte distrettuale nel riportarsi acriticamente ad una somma complessiva senza dar conto, nella individuazione del danno da risarcire agli investitori, della distinzione tra capitale da essi investito, capitale finanziato dalla stessa banca e residuo debito di conto corrente. Distinzione che lo stesso svolgimento del rapporto processuale suggeriva (avendo, come si è già ricordato, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE proposto domanda riconvenzionale, rigettata dalla Corte distrettuale, in relazione alla seconda e terza componente patrimoniale), e che risulterebbe dagli stessi dati contenuti nella relazione di consulenza di parte attrice in primo grado (puntualmente richiamata a pag. 9 del ricorso). Del resto, priva di giustificazione risulterebbe una statuizione che al rigetto della domanda di restituzione del capitale in vario modo finanziato da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE agli odierni resistenti, aggiungesse, attraverso la ricomprensione di tali somme nel danno da risarcire loro, la condanna della medesima al pagamento delle somme stesse in favore dei finanziati ».
2.2. La Corte di appello, nella sentenza impugnata nella
presente sede, ha conseguentemente riconosciuto che la perdita complessiva di euro 154.953,589 non rappresentava il reale danno sopportato dagli investitori in quanto solo una parte di tale somma, pari a euro 56.834,92, corrispondeva a una «disponibilità investita, cioè una provvista di cui gli investitori disponevano e che hanno perso»: ha precisato che la restante parte di quella somma coincideva con una liquidità che la banca aveva fornito ai clienti in esecuzione di due rapporti di finanziamento operanti sul rapporto di conto corrente. Tenuto conto che al detto importo di euro 56.834,92 andava aggiunta altra somma, di cui qui non si controverte, relativa a «quanto ricavato dalla vendita di titoli liquidati per ripianare il finanziamento» , il Giudice distrettuale ha quantificato in euro 75.612,88 il danno risarcibile agli investitori. Ha quindi determinato la somma che gli investitori dovevano restituire alla banca nella differenza tra l’importo di euro 94.887,04 (corrispondente alla «complessiva somma indicata dalla banca nelle sue conclusioni», comprensiva delle spese di lite) e quella di euro 75.612,88, da maggiorarsi degli accessori.
2.3. Ora, dalla stessa sentenza di rinvio emerge che l’odierna ricorrente aveva anzitutto domandato dichiararsi che per effetto della provvisoria esecutività della decisione di appello la banca era stata «illegittimamente tenuta al pagamento di euro 197.126,90 in data 26 settembre 2011, con ciò versando ai signori COGNOME e COGNOME la somma di euro 94.887,04 in eccedenza sul dovuto»; aveva quindi chiesto la condanna delle controparti al pagamento di questo importo, salvo altro ritenuto di giustizia, maggiorato di rivalutazione e interessi.
Nelle domande di accertamento e di condanna di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la ragione di credito determinata dalla cassazione della sentenza di appello (dalla quale nasceva il diritto alla restituzione della somma di euro 197.126,90, corrisposta in esecuzione della detta pronuncia) si combinava col debito nascente dall’azione risarcitoria , dato da ll’importo di euro 75.612,87, maggiorato di interessi e rivalutazione, oltre che del
«saldo non compensato delle spese di lite», per un totale di euro 102.739,06. In tal modo, nelle conclusioni rassegnate dalla banca, l’importo di euro 94.887, 04, da questa domandato, rappresentava la differenza tra i due importi di euro 197.126,90 e di euro 102.739,06.
2.4. L ‘art. 389 c.p.c. dispone che le domande di restituzione o di riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione si propongono al giudice di rinvio e, in caso di cassazione senza rinvio, al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata (sebbene ciò non significhi che le due domande debbano proporsi nel medesimo processo, dal momento che non si rinviene alcun divieto o impedimento a promuovere separatamente avanti al giudice designato dalla S.C. ai sensi dell’art. 383 c.p.c. il giudizio di rinvio e quello per le restituzioni o la riduzione in pristino, essendo anzi tale possibilità desumibile dalla espressa previsione nell’art. 389 c.p.c. di un giudizio autonomo per la restituzione o la riduzione in pristino: così, in particolare, Cass. 4 maggio 2005, n. 9229).
Come spiegato dalla giurisprudenza risalente di questa Corte, occorre dunque distinguere il giudizio vertente sulla restitutio in integrum del vincitore, e avente ad oggetto le domande di restituzione conseguente alla sentenza di cassazione -domande che trovano il loro immediato fondamento non già nelle precedenti sentenze di merito, ma direttamente nella pronuncia della Corte, che rende priva di causa giuridica l’attribuzione patrimoniale conseguita per effetto dell’esecuzione volontaria o coattiva della sentenza cassata – dal «nuovo» giudizio sul merito della causa, il quale può dar luogo nuovamente a una sentenza di condanna di colui che era stato vittorioso in cassazione, con conseguente obbligo di dare esecuzione alla nuova sentenza (Cass. 21 giugno 1969, n. 2206).
La domanda di restituzione e di riduzione in pristino ex art. 389 c.p.c. è, del resto, del tutto diversa, quanto a petitum e causa petendi , rispetto a quella proposta nel giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 392
c.p.c.: essa è indipendente dalla fondatezza della seconda ed assolve alla specifica esigenza di garantire all’interessato la possibilità di ottenere, al più presto, la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla pronuncia della decisione poi annullata (Cass. 20 giugno 2011, n. 13454).
Le domande sono ontologicamente distinte, ma comunque correlate: la domanda di restituzione non può prescindere dalla fondatezza di quella di rinvio posto che il giudice della causa di merito dovrà respingere detta domanda se la statuizione giustifichi la prestazione già eseguita. Più precisamente, la pronuncia di restituzione della somma che una parte abbia corrisposto in forza di una sentenza poi cassata può essere omessa dal giudice di rinvio quando questi, con la decisione che definisce il relativo giudizio, ponga nuovamente in essere il titolo giustificativo del pagamento, condannando la medesima parte a versare un importo pari o superiore (Cass. 3 luglio 2018, n. 17374; Cass. 27 marzo 2007, n. 7500; Cass. 9 dicembre 2003, n. 18741; Cass. 13 febbraio 1999 n. 1210): principio, questo, che trova espressione anche laddove i due giudizi, restitutorio e di rinvio, siano instaurati separatamente (Cass. 26 settembre 2023, n. 27409, secondo cui, ove il giudice del rinvio si sia pronunciato nel senso della conferma della sentenza cassata prima che giunga a decisione la causa sulle restituzioni, il giudice di quest’ultima può omettere la pronuncia di accoglimento della domanda restitutoria o risarcitoria, essendo stato nuovamente posto in essere il titolo giustificativo del corrispondente spostamento patrimoniale). L’elemento di interferenza tra i due giudizi si riassume, insomma, in ciò: « sarà la statuizione finale del giudizio di rinvio che determinerà in via definitiva quanto dovrà essere effettivamente corrisposto da un parte all’altra con il conseguente conguaglio conclusivo, che terrà conto anche delle somme restituite » in adempimento della sentenza di cassazione (così la cit. Cass. 20 giugno 2011, n. 13454, in motivazione).
2.5. Come si è visto, l’odierna ricorrente ha agito per riottenere quanto indebitamente corrisposto in esecuzione della sentenza cassata: lo ha fatto portando in compensazione del proprio credito restitutorio quanto da essa dovuto alla controparte per l’obbligazione risarcitoria di cui doveva rispondere.
Nella sentenza impugnata nella presente sede la Corte di appello ha però regolato il definitivo rapporto di dare e avere tra le parti in modo illogico, in quanto, dopo aver individuato la somma spettante a titolo di risarcimento del danno agli investitori (euro 75.612,88), ha preso in considerazione un importo (euro 94.887,04) non rispondente a quanto pacificamente versato da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in esecuzione della prima sentenza di appello (euro 197.126,90), ma alla differenza tra quest’ultima somma e quella che la banca stessa ha riconosciuto competere ai controricorrenti (euro 102.239,86, nascente, come si è detto, dalla maggiorazione dell’ammontare di euro 75.612,88 con rivalutazione, interessi e spese processuali).
Un tale decisione si espone a censura. Ne lla vigenza dell’art. 360, n. 5, c.p.c. novellato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione risulta certamente diretto a verificare la sola esistenza di un’anomalia motivazionale che si traduce in violazione di legge costituzionalmente rilevante: e tale anomalia può anche consistere – come nella fattispecie nell’ intrinseca irragionevolezza, o contraddittorietà, della decisione (cfr. infatti Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 e Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 che attribuiscono rilievo ai vizi consistenti nella « motivazione incomprensibile » e nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili »).
3. – L a sentenza è dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, che deciderà in diversa composizione, regolando pure le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione