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Domanda di restituzione: la Cassazione fa chiarezza

Un istituto di credito, dopo aver versato una somma in esecuzione di una sentenza d’appello poi annullata, ha presentato una domanda di restituzione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7453/2024, ha cassato la successiva decisione del giudice di rinvio per un errore di calcolo. La sentenza chiarisce che la restituzione deve basarsi sull’importo effettivamente pagato e non su valori intermedi, evidenziando l’illogicità della motivazione del giudice di merito e l’importanza di un corretto rapporto di dare e avere tra le parti.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Domanda di Restituzione: La Cassazione Annulla per Errore di Calcolo

Quando una sentenza viene annullata, cosa succede alle somme già pagate? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, affronta il tema della domanda di restituzione e dei criteri per calcolare l’importo dovuto, sanzionando l’errore di un giudice che aveva creato una situazione illogica. Questo caso offre spunti fondamentali sulla relazione tra il giudizio di rinvio e l’obbligo di restituire quanto indebitamente percepito.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da una controversia tra alcuni investitori e un istituto di credito. Gli investitori avevano lamentato la violazione delle norme di comportamento da parte della banca nell’esecuzione di operazioni su strumenti finanziari. Inizialmente, la Corte d’Appello aveva condannato la banca a risarcire un danno quantificato in circa 155.000 euro, ritenendolo pari alla perdita totale dell’investimento.

In esecuzione di tale sentenza provvisoriamente esecutiva, l’istituto di credito aveva versato agli investitori una somma ben più alta, pari a circa 197.000 euro, comprensiva di interessi e rivalutazione.

Tuttavia, la banca aveva impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, la quale, con una prima sentenza, aveva annullato la pronuncia d’appello limitatamente alla quantificazione del danno (quantum), rinviando la causa ad un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova determinazione.

Il giudizio di rinvio e la domanda di restituzione

Nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello ha ricalcolato il danno dovuto agli investitori, riducendolo significativamente a circa 75.000 euro. A questo punto, l’istituto di credito, che aveva pagato molto di più, ha avanzato una domanda di restituzione per l’importo versato in eccesso.

Qui si è verificato l’errore cruciale. La Corte d’Appello, nel determinare la somma da restituire alla banca, non è partita dall’importo effettivamente versato (197.000 euro), ma da un importo intermedio (circa 94.000 euro), senza fornire una chiara giustificazione per tale scelta. Questo ha portato a un calcolo illogico e contraddittorio del rapporto finale di dare e avere tra le parti, spingendo la banca a ricorrere nuovamente in Cassazione.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla domanda di restituzione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della banca, ritenendo fondato il motivo relativo al difetto totale di motivazione. I giudici hanno sottolineato che la domanda di restituzione ex art. 389 c.p.c. e il nuovo giudizio sul merito della causa, sebbene distinti, sono strettamente correlati. La decisione finale del giudizio di rinvio deve determinare in via definitiva quanto una parte deve all’altra, tenendo conto anche delle somme già versate in esecuzione della sentenza cassata.

L’errore del giudice di rinvio è stato proprio quello di non aver considerato l’importo pacificamente versato dalla banca (197.000 euro) come punto di partenza per calcolare il credito restitutorio. Invece, ha utilizzato un valore inferiore, non corrispondente a quanto versato, né alla differenza tra il versato e il dovuto, rendendo la sua decisione intrinsecamente irragionevole e contraddittoria.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il sindacato di legittimità sulla motivazione è diretto a verificare l’esistenza di un’anomalia che si traduca in una violazione di legge costituzionalmente rilevante. Tale anomalia può consistere, come nel caso di specie, in una motivazione incomprensibile o in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello, dopo aver correttamente individuato il nuovo importo del risarcimento dovuto agli investitori (circa 75.000 euro), ha regolato il rapporto di dare e avere in modo illogico. Ha preso in considerazione un importo (circa 94.000 euro) che non corrispondeva né a quanto la banca aveva pagato (197.000 euro), né ad altra posta contabile chiaramente identificabile. Questa illogicità ha viziato la sentenza, rendendola meritevole di annullamento.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza è stata cassata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello. Quest’ultima dovrà ora ricalcolare correttamente il rapporto tra le parti, partendo dalla somma effettivamente versata dalla banca in esecuzione della prima sentenza, e da questa detrarre quanto definitivamente accertato come dovuto a titolo di risarcimento. Questa decisione riafferma l’importanza della coerenza logica e della corretta applicazione dei principi procedurali nella gestione della domanda di restituzione, garantendo che la parte che ha adempiuto a una sentenza poi annullata possa essere pienamente reintegrata nei suoi diritti.

Cosa succede quando una sentenza, in base alla quale è stato effettuato un pagamento, viene annullata?
La parte che ha pagato ha diritto a chiedere la restituzione di quanto versato. Questa richiesta, chiamata domanda di restituzione, trova il suo fondamento direttamente nella sentenza della Corte di Cassazione che annulla la precedente decisione, rendendo priva di causa giuridica la prestazione eseguita.

La domanda di restituzione e il nuovo giudizio sul merito della causa (giudizio di rinvio) sono collegati?
Sì, sono ontologicamente distinti ma correlati. La decisione finale del giudice di rinvio deve determinare il rapporto definitivo di dare e avere tra le parti, tenendo conto delle somme già versate. Se il nuovo giudizio conferma un debito pari o superiore a quanto già pagato, la domanda di restituzione può essere rigettata.

Qual è stato l’errore commesso dalla Corte d’Appello nel caso esaminato?
L’errore è stato di natura logico-matematica. Nel calcolare l’importo che gli investitori dovevano restituire alla banca, la Corte d’Appello non ha utilizzato come base di calcolo la somma che la banca aveva effettivamente pagato (circa 197.000 euro), ma un importo intermedio e ingiustificato (circa 94.000 euro), rendendo la motivazione illogica e la decisione contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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