Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5804 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5804 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10573/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente incidentale-
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 2035/2017, depositata l ‘ 8/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, il sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di rigettare il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME, titolare dell’omonima ditta di panificazione, conveniva innanzi al Tribunale di Catania NOME COGNOME, titolare dell’omonima ditta, e la società RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che i convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni causati dai difetti di funzionamento di un forno, acquistato nel febbraio del 2006 dalla ditta RAGIONE_SOCIALE e prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE. L’attore lamentava che, dopo un iniziale buon funzionamento, si erano verificati distacchi della vernice di rivestimento dei tubi interni e l’inconveniente era stato riscontrato da un rappresentante del venditore; che la ditta fornitrice NOME poi effettuato interventi di sabbiatura della struttura interna del forno, ma che, rimontato il forno nel dicembre del 2006, si erano manifestate nuove anomalie nel suo funzionamento; che seguivano altri interventi di riparazione e che poi NOME, d’accordo con la RAGIONE_SOCIALE, NOME effettuato un prolungamento della canna fumaria, intervento che si era rivelato anch’esso inidoneo, tanto che nel luglio 2007 era stata finalmente effettuata la sostituzione del forno. Si costituiva NOME, che eccepiva la prescrizione e la decadenza dell’attore rispetto alla domanda risarcitoria e, nel merito, chiedeva di rigettare la domanda perché infondata e, in subordine, di essere tenuto indenne dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Si costituiva anche la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, chiedendo a sua volta il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 864 del 16 marzo 2012 il Tribunale di Catania rigettava la domanda dell’attore: accertato che il forno oggetto della causa presentava dei difetti originari che impedivano la corretta panificazione, il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria dell’attore, per mancata dimostrazione dell’ an e del quantum dei pregiudizi asseritamente subiti.
La sentenza era impugnata da NOME. La Corte d’appello di Catania, dopo avere assunto le testimonianze non ammesse in primo grado, con la sentenza 8 novembre 2017, n. 2035, accoglieva il gravame di NOME: in riforma della sentenza del Tribunale condannava NOME a pagare all’appellante euro 40.000 a titolo di risarcimento del danno e condannava NOME COGNOME a rimborsare a NOME gli importi che lo stesso era stato condannato a pagare.
Avverso la sentenza ricorre RAGIONE_SOCIALE, con atto articolato in quattro motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME, che fa valere ricorso incidentale.
Resiste con controricorso NOME COGNOME, che anzitutto eccepisce l’improcedibilità del ricorso per mancata prova della notifica della sentenza impugnata ai fini del rispetto del termine per impugnare. L’eccezione va respinta in quanto -come ha evidenziato il pubblico ministero nelle sue conclusioni – vi è prova agli atti dell’avvenuta notificazione della sentenza impugnata il 2 febbraio 2018 ad opera del difensore di NOME.
È stata depositata memoria dalla ricorrente COGNOME e dal controricorrente NOME, che ha anche depositato istanza di liquidazione dei compensi ai sensi dell’art. 373 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale di NOME COGNOME è articolato in quattro motivi.
I primi due motivi sono tra loro strettamente connessi:
il primo motivo denuncia violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., in quanto la sentenza d’appello ha accolto la domanda di manleva di NOME senza esaminare l’eccezione di tardività sollevata dalla ricorrente in primo grado e riproposta in appello;
b) il secondo motivo prospetta la medesima violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, richiamando il diverso parametro del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.
I motivi sono fondati. Come sottolinea il pubblico ministero, la ditta RAGIONE_SOCIALE si è costituita in primo grado non nel termine previsto dall’art. 166 c.p.c., ma in occasione della prima udienza del 24 marzo 2009, depositando la comparsa di risposta recante la data del giorno precedente, così incorrendo nella decadenza relativa alla proposizione di domande riconvenzionali di cui all’art. 167 c.p.c. La relativa eccezione è stata sollevata dalla ricorrente nella memoria di cui all’art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. del 23 aprile 2009 (vedere la trascrizione della memoria alle pag. 9 e 10 del ricorso), eccezione che non è stata esaminata dal giudice di primo grado perché assorbita in quanto il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria di NOME (e non rigettata implicitamente come invece sostiene il controricorrente NOME). L’eccezione di inammissibilità della domanda di manleva è stata riproposta dalla ricorrente nella comparsa di risposta d’appello (vedere la trascrizione alle pag. 10 e 11 del ricorso). Il giudice d’appello doveva pertanto esaminare l’eccezione di tardività della domanda e dichiararla inammissibile in quanto tardivamente proposta.
L’accoglimento dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo motivo (che denuncia la violazione dell’art. 1226 c.c. per avere la Corte d’appello ritenuta raggiunta la prova che a causa dei
vizi di funzionamento del forno NOME NOME NOME un danno economico, danno economico che la Corte ha liquidato con criterio equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c.) e del quarto motivo (che lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c. per avere la Corte d’appello ritenuto provato l’ an del pregiudizio in termini di riduzione delle vendite e di perdita di clientela, quando invece all’esito delle prove orali erano sorti seri dubbi circa l’attendibilità dei testimoni escussi).
Quanto al ricorso incidentale, va precisato che NOME ha resistito ai primi due motivi di ricorso di COGNOME COGNOME, affermandone l’infondatezza (vedere le pagg. 4 -8 dell’atto); ha poi ritenuto invece fondati il terzo e il quarto motivo della medesima COGNOME, motivi che ha fatto ‘integralmente propri al fine dell’accoglimento del proprio ricorso incidentale’ e ha trascritto alle pagg. 8 -22 del suo atto.
Tali motivi, già sopra richiamati e dichiarati assorbiti per quanto concerne RAGIONE_SOCIALE, vanno esaminati in relazione al ricorso di NOME.
Va anzitutto vagliato il motivo che attacca la pronuncia impugnata laddove ha ritenuto raggiunta la prova del danno NOME da NOME a causa dei vizi del forno.
Il motivo non può essere accolto: pur parlando di richiesta di ‘controllo sulla correttezza giuridica del discorso giustificativo’, in realtà si censura la valutazione delle prove testimoniali poste in essere dal giudice d’appello, prove testimoniali che sono state raccolte in secondo grado e che hanno portato il giudice a ritenere raggiunta la prova del fatto che, a causa degli accertati vizi di funzionamento del forno, NOME ha NOME un danno economico. Le dichiarazioni dei testimoni (analizzate alle pagg. 3 -5 della sentenza impugnata) sono state considerate convergenti e attendibili dal giudice d’appello, con valutazione che a quest’ultimo spettava compiere e che, come tale, non può essere sindacata
davanti a questa Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 25166/2019, secondo cui ‘il giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità’).
b) Va poi esaminato il motivo che rimprovera alla Corte d’appello di avere proceduto alla liquidazione equitativa del danno, senza attenersi al principio secondo cui ciò può avvenire solo qualora la prova del quantum risulti impossibile o difficoltosa.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello, reputata raggiunta la prova dell’ an della pretesa risarcitoria (v. quanto sopra detto in relazione al precedente motivo), compresa la dimostrazione – sulla base delle dichiarazioni testimoniali – che tra ottobre e novembre del 2006 la produzione giornaliera era di circa 250 kg. di pane e di 30 kg. di prodotti ‘speciali’, mentre successivamente all’insorgere delle problematiche di funzionamento del forno e sino alla sua sostituzione, nel giugno del 2007, la produzione si era sensibilmente ridotta, con invendibilità di buona parte del prodotto giornaliero, ha ritenuto di procedere con criterio equitativo alla esatta determinazione del quantum ; ha così considerato un valore approssimativo per il pane e gli altri prodotti e ha moltiplicato tale valore per la produzione giornaliera, moltiplicando ancora tale importo per sette mesi e dividendo per metà l’importo ottenuto, così liquidando il danno in euro 40.000. In tal modo la Corte d’appello si è attenuta al principio secondo cui “il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c. e il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debito o la mancata individuazione della prova del danno nella sua
esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo’ (così Cass. n. 13515/2022 e Cass. 20990/2011).
Il ricorso incidentale va pertanto rigettato.
III. L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione all’accoglimento della domanda di manleva; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ai sensi del comma 2 dell’art. 384 c.p.c. e deve essere pertanto dichiarata inammissibile la domanda di manleva fatta valere da NOME COGNOME.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Per quanto concerne i rapporti tra NOME e NOME, va precisato che rimane ferma la liquidazione delle spese dei gradi di merito operata dalla Corte d’appello che non è stata oggetto di impugnazione. Quanto ai rapporti tra NOME e NOME, la cassazione dell’accoglimento della domanda di manleva estende i suoi effetti nei confronti della condanna di NOME al pagamento in favore di NOME delle spese del giudizio di appello, spese che vanno invece liquidate in favore di NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti il terzo e il quarto, e rigetta il ricorso incidentale; decidendo nel merito dichiara l’inammissibilità della domanda di manleva proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; condanna NOME COGNOME al pagamento in favore di
NOME COGNOME delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in euro 3.500, oltre rimborso spese generali IVA e CPA, delle spese del grado d’appello, liquidate in euro 4.250, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA, e delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 6.000, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge; condanna NOME COGNOME al pagamento in favore di NOME COGNOME delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 6.000, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, e ad ulteriori euro 1.000 per il procedimento inibitorio di cui all’art. 337 c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della seconda