Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17138 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17138 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21085/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del rappresentante legale p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
MIGLIORATI NOMECOGNOME NOME COGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrenti-
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
AUTORITÀ AMBITO TERRITORIALE RAGIONE_SOCIALE LAZIO NORD VITERBO;
-intimata- avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di VITERBO n. 1373/2019, depositata il 21/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Giudice di Pace di Viterbo, con la sentenza n. 158/2016, accertava l’inadempimento della società RAGIONE_SOCIALE per avere erogato acqua non potabile e non idonea al consumo domestico, perché contenente arsenico e floruri in misura non conforme ai parametri di legge, disponeva la restituzione in favore di ciascuno degli attori, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME quest’ultima anche quale rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE, del 50% delle somme pagate a titolo di canone acqua potabile nel periodo compreso tra il 1°/01/2013 e la data della domanda (ottobre 2014), condannava la convenuta al risarcimento dei danni, pari ad euro 350,00 per ciascun attore, respingeva la domanda di manleva spiegata nei confronti dell’Autorità d’Ambito 1 Lazio Nord Viterbo e della Regione Lazio.
All’esito del giudizio d’appello promosso dalla RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Viterbo, con la sentenza n. 1373/2019, resa pubblica in data 21/11/2019, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario relativamente alla domanda di manleva spiegata dall’appellante, con cui veniva censurato <> ed invocata la giurisdizione del giudice amministrativo, ha dichiarato rinunciata la domanda nei confronti dell’autorità d’ambito, per l’effetto estromettendola dal giudizio, ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario relativamente alla domanda restitutoria e risarcitoria ed aveva accertato l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE per avere erogato acqua nella quale erano presenti arsenico e floruri in quantità superiore a quella consentita, a prescindere dalla eventuale responsabilità della Regione e dell’Autorità d’ambito per non avere creato le infrastrutture necessarie alla dearsenificazione, non avendo la RAGIONE_SOCIALE <> né richiesto <> (p. 9) e tantomeno provveduto, pur essendo stata diffidata dalla Regione, <>.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME da un lato, la Regione Lazio, dall’altro, resistono con controricorso.
L’autorità Ambito Territoriale Ottimale 1 Lazio Nord Viterbo non svolge attività difensiva.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo si denunzia il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 1 cod.proc.civ.
Secondo la ricorrente, a differenza di quanto ritenuto dal tribunale, gli utenti non si erano limitati a denunciare la mancanza di qualità dell’acqua somministrata, secondo la disciplina civilistica dei vizi della cosa, ma avevano chiesto anche una riduzione del prezzotariffa stabilito in sede amministrativa per l’erogazione del servizio; di conseguenza, la controversia avrebbe dovuto essere devoluta al giudice amministrativo <> (Cass., Sez. Un, n. 2239/2004, Cass. nn. 99629/1997).
Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis cod.proc.civ.
Non sono state addotte ragioni che giustifichino l’eventuale discostamento dai numerosi precedenti di questa Corte che in fattispecie perfettamente sovrapponibili a quella per cui è causa (v., solo tra le più recenti, Cass. 26/07/2024, n. 20972; Cass. 22/05/2024, n. 1435) ha affermato la sussistenza della giurisdizione ordinaria, in forza di quanto statuito da Cass., Sez. Un., 27/05/2022, n. 17248, secondo cui «l’azione risarcitoria proposta dall’utente nei confronti del gestore del servizio idrico integrato – qualora si controverta soltanto del risarcimento del
danno cagionato all’utente dalla fornitura di acqua in violazione dei limiti ai contenuti di sostanze tossiche (nella specie, arsenico e floruri) imposti da disposizioni anche di rango eurounitario, ovvero del diritto alla riduzione del corrispettivo della fornitura stessa per i vizi del bene somministrato – rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, atteso che in tale ipotesi l’attività di programmazione o di organizzazione del servizio complessivo di fornitura di acqua posta in essere dalla P.A. costituisce solo il presupposto del non esatto adempimento delle obbligazioni gravanti sul gestore in forza del rapporto individuale di utenza». Di conseguenza è «il singolo rapporto di utenza a venire in considerazione e, con esso, il diritto del singolo utente a vedersi risarcito il danno arrecatogli dal contrattuale inadempimento della controparte immediata, cioè il gestore unico del servizio idrico integrato e fornitore del bene acqua, come pure a vedersi ridotto il corrispettivo dell’acqua fornita, siccome priva delle qualità pattuite (cioè la conformità alle disposizioni di legge e regolamentari in materia di limiti massimi di arsenico e/o fluoruri): non è quindi in considerazione, se non quale presupposto e per di più – a tutto concedere – della sola domanda di garanzia della fornitrice nei confronti degli Enti per le modalità di gestione della relativa emergenza, l’attività di programmazione o di organizzazione del servizio complessivo di fornitura di acqua posta in essere dalla pubblica amministrazione incaricata della gestione del servizio».
Del resto, gli originari attori ed odierni controricorrenti hanno domandato la riduzione del canone in ragione del parziale inadempimento da parte della società somministrante e non già la mancata adozione di provvedimenti amministrativi volti a rideterminare la tariffa. La domanda, quindi, concerne la riduzione della prestazione in ragione dell’inadempimento di controparte e la sostanza non cambia per il mero fatto che la richiesta abbia riguardato anche la prestazione futura: la determinazione astratta,
prevista con provvedimento amministrativo, di tale canone, non è nel caso in discussione, contestandosi piuttosto che l’ammontare di quanto stabilito con provvedimento amministrativo spetti per intero in presenza di un parziale inadempimento della società somministrante. Le censure mosse dagli originari attori non riguardano nello specifico la tariffa e le modalità della sua determinazione riferendosi, piuttosto, all’asserito inesatto adempimento degli obblighi contrattuali da parte della RAGIONE_SOCIALE aver richiesto il canone nella sua integrità nonostante la fornitura di acqua non conforme ai requisiti di potabilità.
Su questa premessa, è evidente che l’erogazione d’acqua non conforme ai livelli minimi di potabilità o di qualità in relazione – tra l’altro – alla presenza di arsenico e fluoruri sia prospettata come un inadempimento contrattuale del rapporto di utenza e, in quanto tale, la serie di condotte della pubblica amministrazione a tutela degli interessi pubblici coinvolti integra soltanto il presupposto o la causa mediata dell’evento lesivo, consistente nella non contestata e documentalmente provata fornitura in violazione di obblighi che trovano la loro fonte nel contratto di utenza e, comunque, nella disciplina, anche di rango eurounitario o immediatamente da questa derivata, in materia (art. 9 della Direttiva del Consiglio CEE 3 novembre 1998, n. 83; art. 13 del d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 31). È pertanto il singolo rapporto di utenza a venire in considerazione e, con esso, il diritto del singolo utente a vedersi risarcito il danno arrecatogli dal contrattuale inadempimento della controparte immediata, cioè il gestore unico del servizio idrico integrato e fornitore del bene acqua, come pure a vedersi ridotto il corrispettivo dell’acqua fornita, siccome priva delle qualità pattuite (cioè la conformità alle disposizioni di legge e regolamentari in materia di limiti massimi di arsenico e/o fluoruri): non è quindi in considerazione, se non quale presupposto l’attività di programmazione o di organizzazione del servizio complessivo di
fornitura di acqua posta in essere dalla pubblica amministrazione incaricata della gestione del servizio. In altri termini, nonostante il carattere emergenziale della situazione venutasi a creare nei contesti territoriali per cui è causa ed il complesso sistema di riparti di competenze e di funzioni ai fini dell’erogazione dell’acqua potabile, rientra pur sempre nelle ordinarie obbligazioni dell’ente gestore del servizio idrico integrato e, comunque, di quello che in concreto eroga, in virtù di rapporti privatistici ordinari di utenza individuale, l’acqua ai privati l’obbligo di somministrarla in condizioni tali da renderla conforme alle prescrizioni, di vario rango normativo, sui suoi contenuti massimi consentiti di sostanze tossiche. Diversamente opinando, si garantirebbe non solo al medesimo rapporto privatistico di utenza, ma soprattutto alla stessa parte obbligata un giudice diverso solo in relazione alla diversa gravità del suo stesso inadempimento, qual è evidente nell’ipotesi della c.d. emergenza arsenico: ciò che è in insanabile contrasto con ogni principio di ragionevolezza e di uguaglianza anche formale davanti alla legge, di cui all’art. 3, comma primo, della Carta fondamentale della Repubblica (Cass., Sez. un., 19/12/2018, n. 32780).
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 141 e ss. T.U. Ambiente (dlgs. n. 152/2006), degli artt. 9, 12 e 13 del dlgs. n. 31/2001 e della O.P.C.M. 3921/2011, rapportati all’art. 1218 cod.civ., ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui è stata rigettata la domanda di manleva formulata nei confronti dell’Autorità d’ambito e dell’Ente regionale per difetto di giurisdizione del giudice ordinario; al tribunale si imputa di non avere <> (p. 18 del ricorso) quanto alla sua impossibilità di intervenire sull’acqua erogata, avendo la Regione Lazio rotto <> (p. 19): la Regione Lazio aveva, infatti stanziato nel triennio 2009-2011 euro 7.500.000,00 per l’arsenico e i floruri nel viterbese, aveva ottenuto deroghe per il perfezionamento e la ultimazione delle opere idriche, aveva gestito direttamente gli impianti per la realizzazione delle opere di dearsenificazione, attraverso le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE aveva gestito per loro tramite la fase di adduzione potabilizzazione delle acque.
Il motivo è fondato.
Come questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha già avuto modo di affermare (sicché, pur trattandosi di una questione di giurisdizione, essa può essere decisa dalla sezione semplice: v. Cass., Sez. Un., 19/01/2022, n. 1599), spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione sulla domanda di manleva proposta dal gestore del servizio idrico integrato nei confronti dell’ente territoriale concedente nell’ambito dell’azione risarcitoria proposta dall’utente con riferimento all’insufficiente livello di somministrazione di acqua potabile, atteso che la domanda di manleva qualifica una garanzia impropria che è il riflesso della domanda principale risarcitoria, con la quale condivide pertanto il radicamento nella giurisdizione ordinaria (Cass., Sez. Un., 26/11/2021, n. 36897). Avendo il tribunale affermato la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alla domanda risarcitoria, non può pervenirsi a diverse conclusioni per la domanda accessoria, rispetto a quella principale (Cass., Sez. Un., 21/12/2018, n.33209, pp. 6 e 7), diversamente da quanto affermato dal giudice a quo (p. 8 dell’impugnato provvedimento) che, non cogliendo il rapporto tra la domanda risarcitoria e la domanda di manleva, ha statuito che «non è consentita l’attrazione della causa ad un giudice privo di
giurisdizione, dovendo il problema del possibile contrasto tra iudicati essere risolto in base a diversi istituti processuali quali la sospensione del giudizio pregiudicato».
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ., non avendo il giudice a quo valutato tutta la normativa richiamata e tutti i documenti offerti in comunicazione in ordine al ruolo chiave della Regione Lazio: la Direzione Regionale Infrastrutture Ambiente e Politiche Abitative, nell’allegato 32, comunicava che avrebbe provveduto all’affidamento alla ditta esecutrice delle opere del servizio di manutenzione e conduzione degli impianti di potabilizzazione e che si sarebbe adoperata in modo da pervenire al trasferimento definitivo degli impianti realizzati durante l’anno di conduzione regionale, nell’allegato 33, sollecitava altri enti pubblici a provvedere rapidamente all’esecuzione dei lavori previsti, nell’allegato 34, evidenziava che la gestione dell’appalto era stata trasferita alla Regione; la protezione civile, nell’allegato 38, disponeva che a decorrere dal 1°/01/2013 la Regione Lazio aveva la competenza al coordinamento e al completamento delle attività necessarie inerenti allo stato di emergenza per il superamento delle criticità verificatesi in relazione alla concentrazione di arsenico nelle acque destinate al consumo umano superiore ai limiti di legge.
Il motivo rimane assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
4) All’accoglimento nei suindicati termini del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo motivo e rigettato il primo, consegue la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio al Tribunale di Viterbo che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo; dichiara assorbito il terzo motivo; rigetta il primo motivo. Ca ssa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Viterbo, in diversa composizione.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 9 maggio 2025 dalla