Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6623 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18247/2017 R.G. proposto da PROVINCIA DI AREZZO, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: e
;
– ricorrente e controricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
,
e
;
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6623 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2025
-ricorrente e controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
-intimata – avverso la sentenza l’ordinanza della Corte d’appello di Firenze n. 143/17, depositata il 24 gennaio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Azienda RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di alcuni fondi siti in Bucine, località Campitello Alto, e riportati in Catasto al foglio 3, particelle 116, 117, 144, 145, 149 e 150, convenne in giudizio la Provincia di Arezzo e l’RAGIONE_SOCIALE, proponendo opposizione alla stima dell’indennità dovuta per l’occupazione temporanea degli immobili, disposta con decreto del 5 febbraio 2010, ai fini della realizzazione di una cava di prestito.
A sostegno della domanda, riferì che l’indennità liquidata dalla Commissione Provinciale Espropri era stata erroneamente commisurata al valore agricolo dei suoli, senza tenere conto della vocazione estrattiva degli stessi.
Si costituì la Provincia, ed eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, aggiungendo che l’occupazione, disposta ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge della Regione Toscana 3 novembre 1998, n. 78, riguardava suoli nei quali era vietata l’attività estrattiva, in quanto non inclusi nel Piano regionale ed in quello provinciale dell’attività estrattiva, ed aventi pertanto natura agricola.
Si costituì inoltre l’Impresa, ed eccepì a sua volta di non essere tenuta al pagamento dell’indennità avendo agito per delega della Provincia, ribadendo altresì la natura agricola dei suoli.
Il giudizio, dichiarato interrotto a seguito della sottoposizione dell’Impresa ad amministrazione straordinaria, fu riassunto nei confronti della procedura.
1.1. Con sentenza del 24 gennaio 2017 la Corte d’appello di Firenze ha condannato la Provincia al pagamento della somma di Euro 101.314,02, oltre
interessi legali con decorrenza dal mese di giugno 2013, dichiarando invece improcedibili le domande proposte nei confronti dell’Impresa.
Premesso che l’occupazione, disposta ai sensi dell’art. 64 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e degli artt. 22 e 23 della legge regionale n. 78 del 1998, doveva considerarsi illecita, a causa dell’intervenuta abrogazione delle predette disposizioni e della non riconducibilità della fattispecie all’art. 49 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il quale non prevede l’occupazione temporanea finalizzata all’estrazione di pietre, ghiaia, sabbia, terra o zolle, la Corte ha ritenuto che la controversia spettasse alla giurisdizione del Giudice ordinario.
Precisato inoltre che, essendo stata la cava localizzata in un’area a destinazione agricola non inclusa nel Piano delle attività estrattive, il danno derivante dall’estrazione di materiale inerte non poteva considerarsi in re ipsa , ma doveva essere provato dall’attrice, ha rilevato che quest’ultima non vi aveva provveduto, ed ha ritenuto pertanto che il pregiudizio dovesse essere circoscritto al mancato sfruttamento agricolo del suolo, escludendo anche la possibilità di riconoscere, in relazione all’esercizio dell’attività estrattiva, il lucro cessante o il danno da perdita di chances , poiché l’attrice non aveva dimostrato neppure la possibilità di una futura utilizzazione del terreno come cava.
Ciò posto, la Corte ha richiamato l’accertamento compiuto dal c.t.u. nominato nel corso dell’istruttoria, che aveva classificato il terreno come prato stabile non soggetto a sfalcio periodico ed aveva determinato l’area effettivamente utilizzabile ricadente nel perimetro di cava in 4 ettari circa, affermando che, nonostante l’intervento di ripristino che avrebbe fatto seguito all’occupazione, la capacità agronomica del suolo sarebbe risultata irrimediabilmente compromessa. Ha quindi ritenuto che la perdita complessiva di reddito dovesse essere liquidata nella misura di Euro 21.314,02, pari a quella riconosciuta dalla Commissione Espropri e superiore a quella quantificata dal c.t.u., mentre il danno derivante dalla compromissione della produttività agricola dovesse essere liquidato nella misura di Euro 80.000,00, pari al valore attuale di un suolo analogo.
Ha infine affermato che obbligata al pagamento dell’indennità era la Provincia, su incarico della quale l’Impresa aveva espletato l’ iter amministrativo
volto al rilascio dell’autorizzazione all’apertura della cava di prestito ed aveva provveduto all’immissione in possesso, non essendo stato dimostrato che essa avesse agito in nome proprio. Pur rilevando che la gestione della cava era stata affidata all’Impresa, la quale avrebbe dovuto provvedere anche alla restituzione ed al ripristino dell’area, non ancora avvenuti, ha escluso la procedibilità della domanda di rivalsa proposta nei confronti della stessa, ai sensi dell’art. 4ter del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, in considerazione dell’intervenuta dichiarazione dello stato d’insolvenza.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia la Provincia che l’RAGIONE_SOCIALE, ciascuna per quattro motivi, ai quali entrambe le parti hanno resistito con controricorso. L’RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria. L’Impresa non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la Provincia denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della legge regionale n. 78 del 1998, degli artt. 101 e 134 Cost. e dell’art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’occupazione fosse stata disposta in carenza di potere, in tal modo disapplicando la legge regionale, invece di sollevare una questione di legittimità costituzionale. Aggiunge che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 49 cit., la Corte territoriale non ha tenuto conto della generica formulazione di tale disposizione, che attribuisce un ampio margine di discrezionalità all’ente procedente, nella valutazione delle necessità operative connesse alla realizzazione di un’opera pubblica.
Con il secondo motivo, la Provincia deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 133 cod. proc. amm., sostenendo che, nell’affermare l’illiceità della condotta dell’Amministrazione, la Corte territoriale ha statuito su una materia sottratta alla giurisdizione ordinaria, non avendo considerato che l’occupazione ha avuto luogo in virtù di un provvedimento emesso nell’esercizio di un pubblico potere.
Con il terzo motivo, la Provincia lamenta la nullità della sentenza per violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 183, quinto e sesto comma, e 189 cod. proc. civ., osservando che, nel qualificare la fattispecie come ille-
cito, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., la Corte territoriale è incorsa nel vizio di extrapetizione, avendo mutato il petitum e la causa petendi della domanda, che non aveva ad oggetto il risarcimento del danno, ma la determinazione dell’indennità dovuta per l’occupazione temporanea, e presupponeva la legittimità della procedura ablatoria, mai messa in discussione. Aggiunge che, anche a voler ritenere che la domanda di risarcimento fosse stata proposta all’udienza di precisazione delle conclusioni, la stessa avrebbe dovuto essere considerata inammissibile, in quanto nuova.
Con il quarto motivo, la Provincia denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 e dell’art. 29 d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, nonché la nullità della sentenza per violazione degli artt. 101 e 183, quarto comma, cod. proc. civ., osservando che la riqualificazione della domanda come azione risarcitoria ne avrebbe comportato l’attribuzione alla competenza del Tribunale, anziché a quella della Corte d’appello in unico grado. Aggiunge che l’eccezione d’incompetenza, che non avrebbe potuto essere proposta nei termini di cui all’art. 38 cod. proc. civ., non poteva ritenersi superata, avendo essa ricorrente provveduto a sollevarla immediatamente, a seguito della riqualificazione della domanda, non preceduta dalla sottoposizione della questione al contraddittorio delle parti.
Con il primo motivo del suo ricorso, l’Azienda RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 820 e 821 cod. civ. e dell’art. 45 del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto insussistente il danno derivante dall’estrazione del materiale inerte, utilizzato dalla Provincia per la realizzazione dell’opera pubblica, senza considerare che i prodotti delle cave costituiscono frutti naturali, ordinariamente appartenenti al proprietario del suolo, nella cui disponibilità è lasciata la cava.
Con il secondo motivo, l’RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e/o la falsa applicazione della legge regionale n. 78 del 1998, rilevando che la sentenza impugnata non ha tenuto conto del decreto emesso il 22 dicembre 2009, prodotto in giudizio, con cui la Regione aveva destinato l’area occupata all’attività estrattiva, approvando il progetto di coltivazione della cava. Premesso che, ai sensi dell’art. 23 della legge regionale, il prelievo dei materiali per la realizzazione delle opere pubbliche deve avvenire dalle attività estrat-
tive in esercizio, potendosi fare ricorso alle cave di prestito soltanto qualora non vi siano più cave disponibili, sostiene che l’individuazione del sito di cava produce lo stesso effetto dell’inclusione nel Piano regionale delle attività estrattive, indipendentemente dalla destinazione alla realizzazione di una specifica opera pubblica, in quanto causata dall’errata valutazione del fabbisogno di materiale inerte in sede di redazione del Piano regionale, e determina un incremento di valore di cui non beneficia l’ente pubblico, ma il proprietario del terreno.
Con il terzo motivo, l’RAGIONE_SOCIALE denuncia, in via subordinata, la violazione degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ., sostenendo che, nell’escludere il possibile inserimento futuro dell’area occupata nel Piano regionale delle attività estrattive, la Corte territoriale non ha tenuto conto dell’avvenuta allegazione di tale circostanza fin dall’atto di citazione, e della produzione della relativa documentazione.
Con il quarto motivo, l’RAGIONE_SOCIALE deduce, sempre in via subordinata, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver escluso la vocazione estrattiva dell’area occupata, senza tenere conto della collocazione della stessa a confine con il polo estrattivo di Caposelvi e con un’altra cava già utilizzata per la realizzazione di un altro lotto della medesima opera pubblica.
Con ordinanza interlocutoria dell’8 maggio 2023, è stata disposta la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, la quale ha assegnato la causa alle Sezioni Unite per l’esame del secondo motivo formulato dalla Provincia, riflettente il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario.
Tale motivo è stato rigettato con ordinanza del 24 maggio 2024, n. 14583, essendosi rilevato che, in quanto volta a far valere l’erronea commisurazione dell’indennità al valore agricolo dell’area occupata, avente vocazione estrattiva, la domanda originariamente proposta dall’attrice era riconducibile agli artt. 49, 50 e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, e doveva pertanto ritenersi devoluta alla giurisdizione del Giudice ordinario, individuabile specificamente nella Corte d’appello, non risultando pertinente il richiamo all’art. 133, comma primo, lett. g) , cod. proc. amm., il quale si riferisce all’espropriazione per pubblica utilità, giacché nel caso disciplinato dall’art. 49 del
d.P.R. n. 327 del 2001 si versa in ipotesi di occupazione di aree non soggette ad espropriazione.
Passando quindi all’esame delle altre censure formulate dalla Provincia, è fondato il terzo motivo, da trattarsi prioritariamente rispetto al primo, in quanto avente carattere logicamente e giuridicamente preliminare, riguardando la qualificazione della domanda proposta dall’attrice.
Come già rilevato dalle Sezioni Unite, la domanda proposta dall’RAGIONE_SOCIALE COGNOME nell’atto di citazione era volta a sentir «revocare e/o annullare il provvedimento di determinazione dell’indennità adottato dalla Commissione Provinciale Espropri con nota prot. 15/11 del 4 marzo 2011 e conseguentemente determinare l’indennità dovuta … per l’occupazione temporanea dei terreni di sua proprietà sulla base dei parametri vigenti e ritenuti applicabili alla fattispecie in esame, tenendo conto delle caratteristiche e peculiarità dell’area in questione, della sua attuale utilizzazione e della sua potenziale utilizzazione economica, determinandola comunque in una somma non inferiore ad Euro 176.226,00 per ettaro, e dunque ad Euro 646.595,13 ovvero al diverso importo maggiore o minore che risulterà di giustizia e conseguentemente condannare la Provincia di Arezzo e/o l’ATI con capogruppo RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’indennità come sopra determinata».
Soltanto in sede di precisazione delle conclusioni l’attrice modificò la domanda originaria, chiedendo di «determinare l’indennità e/o le somme a qualsiasi titolo, anche risarcitorio, dovute in favore dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE in conseguenza dell’occupazione temporanea dei terreni di sua proprietà ad opera della Provincia di Arezzo e dell’attività estrattiva sulla stessa effettuata, determinandole nell’importo di Euro 4.468.171,16 o il più o meno di giustizia, con condanna della Provincia di Arezzo e/o dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento».
Ciò accadde dopo che con ordinanza dell’11 maggio 2012 la Corte territoriale, nel disporre una c.t.u. ai fini dell’accertamento dell’utilizzazione del terreno all’epoca dell’occupazione, della perdita subìta dalla proprietaria in conseguenza della stessa e delle opere di ripristino previste ed eseguite, aveva affermato l’illiceità dell’occupazione per carenza di potere, in quanto non riconducibile né all’art. 64 della legge n. 2359 del 1865 e agli artt. 22 e
23 della legge regionale n. 78 del 1998, ormai abrogati, né al vigente art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001, riguardante altre ipotesi, ed aveva pertanto inquadrato giuridicamente la domanda nell’art. 2043 cod. civ., ritenendo non ostativa l’attribuzione della stessa alla competenza del tribunale, anziché a quella della corte d’appello in unico grado, in quanto non eccepita nel termine di cui all’art. 38 cod. proc. civ.
Tale diversa qualificazione, ribadita nella sentenza impugnata, si pone in contrasto con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la domanda di determinazione dell’indennità dovuta per l’occupazione legittima (o per l’espropriazione) e quella di risarcimento del danno per occupazione illegittima hanno natura diversa, l’una indennitaria e l’altra risarcitoria, e si fondano su presupposti di fatto diversi, costituiti rispettivamente dall’emanazione del decreto di occupazione (o di espropriazione) e dall’illegittima privazione del possesso del bene, con la conseguenza che, qualora con l’atto introduttivo del giudizio sia stata chiesta la determinazione dell’indennità di occupazione (o di espropriazione) e la condanna dell’occupante al pagamento della stessa, la successiva formulazione della domanda di risarcimento non dà luogo semplicemente ad una diversa qualificazione della pretesa originaria, ma comporta la proposizione di una domanda radicalmente nuova, stante la diversità del petitum e della causa petendi (cfr. Cass., Sez. I, 16/09/2011, n. 18964; 26/06/2008, n. 17491; 27/09/2006, n. 21018; v. anche, in tema di requisizione, Cass., Sez. I, 22/04/2010, n. 9625): nella medesima ottica, deve infatti ritenersi che qualora sia stata proposta con l’atto introduttivo un’opposizione alla stima dell’indennità di occupazione (o di espropriazione), la riqualificazione della stessa da parte del giudice come domanda di risarcimento dei danni si traduce in un vizio di extrapetizione, comportando l’immutazione del petitum e della causa petendi della domanda proposta dall’attore.
La configurabilità di tale vizio non può essere esclusa, nella specie, in virtù della circostanza che in sede di precisazione delle conclusioni l’attrice avesse modificato la propria domanda, chiedendo il riconoscimento della somma richiesta «a qualsiasi titolo, anche risarcitorio», senza mutare i tratti essenziali della vicenda allegata nell’atto introduttivo (non comprendenti, pe-
raltro, la specifica affermazione dell’avvenuta emissione del decreto di occupazione in carenza di potere), ma limitandosi ad inquadrarli nella fattispecie astratta precedentemente prospettata dalla stessa Corte d’appello, in alternativa a quella originariamente individuata, giacché tale modificazione, che spostava il thema decidendum dalla mera determinazione del quantum debeatur , sulla base dei criteri legali previsti per la determinazione dell’indennità, alla verifica dell’illecito spossessamento dell’area in danno dell’attrice, aveva avuto luogo dopo la scadenza dei termini entro i quali, ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., le parti possono precisare o modificare le proprie domande, eccezioni e conclusioni.
11. Il ricorso della Provincia va pertanto accolto, restando assorbiti gli altri motivi formulati dalla medesima ricorrente, riguardanti la disapplicazione della legge regionale e l’incompetenza della Corte d’appello, nonché il ricorso proposto dall’Azienda RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto il mancato riconoscimento del danno derivante dall’estrazione del materiale inerte e la vocazione estrattiva dell’area occupata.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Firenze, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo del ricorso della Provincia di Arezzo, dichiara assorbiti il primo e il quarto motivo e il ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 27/11/2024