Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30371 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30371 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2068/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in qualità di procuratrice sia di RAGIONE_SOCIALE, sia della cessionaria RAGIONE_SOCIALE, per entrambe elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE,
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1690/2020 depositata il 07/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
– La Banca del RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale di Avezzano il decreto ingiuntivo n. 369/2001, provvisoriamente esecutivo, nei confronti di NOME COGNOME; questi aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo e al precetto pure notificatogli il 13.9.2001 chiedendo che fosse accertata la sua reale esposizione debitoria nei confronti della banca, tenuto conto anche della complessa vicenda usuraria posta in essere a suo danno da alcuni dipendenti dell’opposta, con revoca del provvedimento monitorio e declaratoria di inefficacia del precetto.
La Banca del RAGIONE_SOCIALE si era costituita ed aveva resistito.
– Il Tribunale di Avezzano aveva pronunciato sentenza parziale, revocando il decreto ingiuntivo, e aveva rimesso la causa sul ruolo per il ricalcolo del dovuto, con partenza dal primo estratto conto prodotto, considerando il saldo iniziale pari a zero, e con applicazione degli interessi ex art. 117 TUB.
– Esperita la disposta CTU, era seguita la sentenza definitiva con la quale il primo Giudice aveva condannato la banca opposta a
pagare € 1.171,97, oltre alle spese processuali quantificate in € 19.900,00.
– Avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la Banca del RAGIONE_SOCIALE lamentandone il vizio di ultrapetizione, non avendo la controparte richiesto alcuna pronuncia di condanna al pagamento a proprio favore dell’eventuale credito emergente dal saldo rettificato, e dolendosi per l’entità delle spese processuali liquidate.
NOME COGNOME aveva contestato la fondatezza di entrambi i motivi.
Nel corso del giudizio di appello era intervenuta, ex art.111 c.p.c., RAGIONE_SOCIALE in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE, divenuta cessionaria del credito già facente capo a Banca del RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE
– La Corte d’Appello di L’Aquila aveva accolto l’impugnazione e, quanto alle spese processuali di primo grado, ferma la loro debenza a carico della banca, ne aveva rideterminato l’importo in € 7.254,00, oltre spese forfetarie ed oneri di legge, individuando il valore della controversia nell’ambito dello scaglione, in concreto applicato nei valori medi, da € 26.001,00 a € 52.000,00, ex DM n.55/2014 e s.m.i.; le spese del giudizio di appello erano state compensate.
– NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, al quale ha resistito per RAGIONE_SOCIALE, subentrata quale procuratrice a RAGIONE_SOCIALE, depositando controricorso; la Banca del RAGIONE_SOCIALE non ha depositato controricorso.
– Nel corso del giudizio di cassazione si è nuovamente costituita NOME quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, cessionaria di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , richiamando il disposto dell’art. 111 c.p.c. La società procuratrice
ha pure depositato memoria ex art.380 bis1 c.p.c. nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
8. – I motivi proposti da NOME COGNOME sono i seguenti:
Primo motivo. Violazione e falsa applicazione dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art.360 co 1 n.4 c.p.c.
La sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila avrebbe violato il disposto dell’art.112 c.p.c. applicandolo al di fuori delle ipotesi da esso disciplinate: non si potrebbe considerare ultra petita una pronuncia di condanna effettuata sulla base di una domanda di accertamento, poiché « nella domanda di accertamento è sempre contenuta la richiesta di condanna e -sotto altro profilo- il principio della effettività della tutela giurisdizionale », in ossequio all’art. 111 Cost. e all’elaborazione interpretativa della giurisprudenza CEDU, comporterebbe che si debbano evitare eccessivi formalismi; del resto, secondo il ricorrente, la sentenza parziale del Tribunale di Avezzano aveva rimesso la causa sul ruolo per la rideterminazione dell’eventuale misura del credito della banca in ragione di criteri di calcolo predeterminati e la completa acquiescenza della banca alla pronuncia ne ha comportato il passaggio in giudicato ponendo le basi per l’accertamento del credito del ricorrente e per la condanna della banca a pagarlo.
Secondo motivo. Violazione dell’art. 91 c.p.c. nel testo previgente alla l. n.69/2009 applicabile ratione temporis alla presente fattispecie e del DM 55/2014 in relazione all’art. 360 co 1 n. 4 c.p.c.
La Corte d’Appello sarebbe intervenuta sulla pronuncia relativa alle spese processuali di primo grado senza considerare che esiste in materia un potere discrezionale del Tribunale, il quale lo esercita senza possibilità di censura in appello, alla luce della materia del contendere e del pregio delle difese svolte; in concreto, il primo
Giudice aveva tenuto conto dell’esosità e infondatezza delle pretese della banca, della durata del processo per oltre 15 anni e dell’iscrizione di ipoteca eseguita dalla banca sulla base del provvedimento monitorio provvisoriamente esecutivo, poi revocato.
RITENUTO CHE
– Il ricorso è inammissibile.
9.1. – Il primo motivo come sopra articolato è inammissibile, per tutti i profili di critica prospettati.
Esso è prospettato prima di tutto come violazione del dovere di pronunciare su tutta la domanda, sul presupposto che la richiesta di condanna a pagare l’importo corrispondente all’eventuale credito derivante dal ricalcolo del saldo del conto corrente fosse implicita nella richiesta di ricalcolo con espunzione delle poste illecitamente applicate perché frutto di clausole nulle. NOME COGNOME richiama pure il disposto dell’art. 111 Cost. e l’orientamento giurisprudenziale unionale per riconoscere prevalenza al perseguimento in concreto dell’utilità e completezza dell’esito della richiesta tutela giurisdizionale. Il ricorrente sottolinea ancora come l’ampiezza del thema decidendum , comprensivo in tesi della domanda volta alla condanna della banca debitrice a pagare, deriverebbe comunque dal contenuto decisorio della sentenza non definitiva del Tribunale di Avezzano, non sottoposta ad impugnazione, giustificante la pronuncia finale di condanna dello stesso Tribunale ingiustificatamente revocata dalla Corte d’Appello. Da tutto ciò conseguirebbe, nell’impostazione del ricorrente, una nullità della sentenza d’appello per tutti i profili esposti, rilevante ex art. 360 co 1 n. 4 c.p.c.
Quanto al primo profilo evidenziato, dalla stessa articolazione della doglianza del ricorrente emerge che non vi era stata alcuna domanda di ripetizione di indebito con richiesta esplicita di
condanna della banca a pagare quanto eventualmente fosse risultato a credito del correntista all’esito del richiesto ricalcolo del saldo: nel ricorso si afferma infatti che la domanda di condanna sarebbe da considerare insita in quella di accertamento/rideterminazione del saldo.
Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, enucleabile dall’art.112 c.p.c. e teoricamente violato nella prospettazione del ricorrente da parte della Corte di merito, non è quindi richiamato a proposito
Si è in passato formato un orientamento consolidato secondo cui in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’articolo 112 c.p.c. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale. Nel caso in cui venga invece in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. 20 agosto 2002, n. 12259; Cass. 5 agosto 2005, n. 16596; Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 18 maggio 2012, n. 7932).
Anche di recente è stato ribadito che: « La rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito, sicché non è deducibile la violazione dell’art. 112 c.p.c., quale errore procedurale rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., quando il predetto giudice abbia svolto una
motivazione sul punto, dimostrando come la questione sia stata ricompresa tra quelle oggetto di decisione, attenendo, in tal caso, il dedotto errore al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte » (Cass. 22 settembre 2023, n. 27181).
Ora, nel caso di specie, la Corte d’Appello ha pronunciato e motivato compiutamente in ordine all’interpretazione della domanda proposta da NOME COGNOME e alla sua estensione, provvedendo -su impulso della banca appellante -all’interpretazione del contenuto della domanda ritualmente introdotta da NOME COGNOME e concludendo per l’esclusione che in questa fosse compresa anche una richiesta – mai svolta del resto in modo esplicito per la stessa prospettazione difensiva della parte – di condanna della banca a restituire/pagare somme di denaro.
Quanto al secondo profilo, non è ravvisabile, come vorrebbe il ricorrente, un contrasto con i principi del giusto processo ex art. 111 Cost. e/o con la genericamente richiamata giurisprudenza CEDU, perché la pronuncia di accertamento comunque correlata alla rideterminazione del ricalcolo finale dei rapporti di dare/avere tra le parti a favore del ricorrente, una volta passata in giudicato, è certamente vincolante per le parti e in particolare per il debitore.
Per il terzo profilo sopra evidenziato la critica rivolta dal ricorrente al deciso d’appello, idonea a fondare in tesi la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., appare consistere sostanzialmente nel rilievo di giudicato interno che sarebbe da attribuire alla sentenza non definitiva del Tribunale di Avezzano del 16.12.2013, non impugnata, nella parte in cui evidenzia che «… va, dunque, confermato che COGNOME ha inteso promuovere l’opposizione a decreto ingiuntivo (oltre che al pedissequo precetto) per ottenere l’accertamento concreto della propria posizione debitoria e, di conseguenza, per determinare l’importo effettivo da corrispondere,
eventualmente, alla creditrice », con conseguente rimessione sul ruolo per determinare la misura del eventuale credito della banca (si richiama il contenuto del ricorso per cassazione, a pag.7).
Ora, sussiste giudicato interno, rilevabile d’ufficio, derivante dalla sentenza non definitiva pronunciata nell’ambito dello stesso giudizio solo in relazione alle pronunce sulle questioni definite e su quelle che ne costituiscono il presupposto logico (cfr., sul punto, tra le altre, Cass. n.19145/2024; Cass. n.30728/2022).
È dunque da escludere che il contenuto della sentenza non definitiva riportato, letteralmente richiamato dal ricorrente, possa fondare, anche solo in via teorica, un’interpretazione della domanda svolta da NOME COGNOME con la proposta opposizione come volta ad ottenere una pronuncia di condanna della banca nell’eventualità che essa fosse risultata debitrice, e non creditrice, dell’opponente. La sentenza non definitiva in esame non contiene alcuna statuizione di condanna a favore di NOME COGNOME NOME né interpreta le domande da questi formulate come richieste di condanna, limitandosi a revocare il decreto ingiuntivo e a rimettere la causa sul ruolo per la rideterminazione del saldo effettivo.
In conclusione, attraverso la formulazione del motivo di ricorso in esame NOME COGNOME vuole ottenere inammissibilmente una rivalutazione del merito della decisione della Corte d’Appello, nella parte in cui ha escluso la possibilità di una pronuncia attuale di condanna a pagare a carico della banca nell’ambito del giudizio pendente, pur in presenza dell’accertamento di un debito della stessa nei confronti del ricorrente.
9.2. – Anche il secondo motivo di doglianza è inammissibile.
Il Tribunale ha riconosciuto la liquidazione delle spese a favore di NOME COGNOME in applicazione del principio di soccombenza, secondo i valori medi dello scaglione di riferimento identificato ex
DM n.55/2014 e s.m.i.; la Corte d’Appello non è intervenuta in alcun modo sulla decisione quanto all’attribuzione integrale delle spese alla banca, secondo soccombenza, ma ha rideterminato gli importi liquidati che, sempre quantificati nei valori medi come già deciso dal primo Giudice, ha implicitamente ritenuto non rispondenti a quelli dello scaglione di riferimento individuato applicabile, come emergenti dal DM n.55/2014, aggiornati dal DM n.37 del 8.3.2018.
La critica svolta con il secondo motivo di ricorso da NOME COGNOME alla sentenza della Corte d’Appello è totalmente eccentrica perché non riguarda l’identificazione corretta dello scaglione di riferimento per la liquidazione delle spese, né la loro concreta quantificazione ma rivendica un potere discrezionale del Giudice di fase in materia di attribuzione e liquidazione delle spese che però non è stato in alcun modo oggetto della valutazione della Corte d’Appello.
10. – Sussistono i presupposti per l’integrale compensazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, per l’applicabilità del disposto dell’art.92 co 2 c.p.c., come corretto dall’intervento della Corte Costituzionale effettuato con sentenza n.77/2014. Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato versato, ex art.13 co 1 quater DPR n.115/2002, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, con integrale compensazione delle spese processuali di fase. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13 comma 1 bis .
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione