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Divisione parti comuni: l’ex alloggio del portiere

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4817/2024, ha affrontato il tema della divisione parti comuni in condominio, specificamente riguardo a un ex alloggio del portiere. La Corte ha stabilito che se la divisione in natura del bene ne compromette la destinazione d’uso originaria (in questo caso, abitativa), il bene deve considerarsi indivisibile. Di conseguenza, è stata confermata l’assegnazione dell’intera proprietà a uno dei comproprietari, con conguaglio economico per l’altro, chiarendo l’applicazione dell’art. 1119 c.c. dopo la riforma del condominio.

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Divisione Parti Comuni: Il Caso dell’Ex Alloggio del Portiere in Cassazione

La gestione delle parti comuni è uno degli aspetti più complessi della vita condominiale. Spesso nascono controversie sulla loro utilizzazione e, in alcuni casi, sulla possibilità di dividerle. La divisione parti comuni è un’operazione delicata, regolata da norme precise che bilanciano il diritto del singolo proprietario con l’interesse collettivo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali su questo tema, analizzando il caso specifico di un ex alloggio del portiere.

I Fatti di Causa: La Contesa sull’Ex Alloggio del Portiere

La vicenda ha origine dalla richiesta di una condomina di sciogliere la comunione relativa al piano seminterrato di un edificio, dove si trovava l’ex alloggio del custode. Questa unità immobiliare era di proprietà comune tra i proprietari dei due appartamenti che componevano l’intero stabile.

Il Tribunale di primo grado, pur accogliendo la domanda di divisione, riteneva il bene non comodamente divisibile in natura. La divisione, infatti, avrebbe fatto perdere all’immobile la sua destinazione d’uso abitativa. Per questo motivo, il giudice assegnava l’intero bene a una delle parti (nel frattempo divenuta proprietaria di una delle unità abitative), con l’obbligo di versare un conguaglio economico all’altra.

La parte soccombente presentava appello, ma la Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, ribadendo che la divisione fisica avrebbe snaturato il bene. La questione giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

L’Ordinanza della Cassazione sulla Divisione Parti Comuni

I ricorrenti in Cassazione basavano le loro difese principalmente sulla violazione dell’articolo 1119 del codice civile, sostenendo che il bene fosse divisibile e che l’assegnazione esclusiva alla controparte fosse ingiusta. La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso, fornendo un’analisi dettagliata della normativa applicabile.

L’Interpretazione dell’Art. 1119 c.c. dopo la Riforma del Condominio

Il punto centrale della decisione riguarda l’interpretazione dell’art. 1119 c.c., modificato dalla riforma del condominio del 2012. La norma stabilisce che le parti comuni “non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio”.

La Corte ha chiarito un aspetto cruciale: il requisito del “consenso di tutti” si applica alla divisione volontaria. Non preclude, invece, la possibilità di una divisione giudiziale richiesta anche da un solo condomino. Tuttavia, anche in sede giudiziale, la divisione è subordinata a una condizione fondamentale: non deve rendere più scomodo l’uso del bene.

L’Indivisibilità Funzionale del Bene

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente accertato che dividere l’ex alloggio del portiere in due porzioni distinte avrebbe impedito di mantenere la sua destinazione a uso abitativo. Poiché i condomini non avevano mai formalmente modificato tale destinazione, la sua conservazione diventava il criterio guida per valutare la divisibilità. Un bene che, una volta diviso, perde la sua funzione essenziale, deve essere considerato “non comodamente divisibile”.

Le Motivazioni

La Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso affermando che la decisione dei giudici di merito era giuridicamente corretta e ben argomentata. L’indivisibilità di un bene non va valutata solo in senso strutturale, ma anche e soprattutto funzionale. Se la divisione in natura comporta la perdita della destinazione d’uso impressa al bene, essa non può essere disposta.

La Corte ha sottolineato che l’istanza di attribuzione di un bene indivisibile (prevista dall’art. 720 c.c.) non è una domanda autonoma, ma una mera modalità attuativa della divisione. Di conseguenza, la scelta di assegnare l’intero immobile a uno dei comproprietari, con l’obbligo di versare un conguaglio, rappresenta la soluzione corretta quando la divisione in natura è impossibile o pregiudizievole.

I giudici hanno inoltre dichiarato inammissibili i motivi di ricorso che miravano a una nuova valutazione dei fatti, come la questione della titolarità della quota maggiore o la presunta abusività edilizia dell’uso abitativo, poiché tali accertamenti sono di esclusiva competenza dei giudici di merito e non possono essere riesaminati in sede di legittimità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale in materia di divisione parti comuni: la tutela della funzione e della destinazione del bene è prioritaria. Anche dopo la riforma del 2012, un singolo condomino può sempre chiedere al giudice lo scioglimento della comunione, ma la divisione in natura sarà possibile solo se non ne compromette l’utilità e la destinazione. In caso di indivisibilità funzionale, l’unica via percorribile è l’assegnazione del bene per intero a uno dei condividenti (o la vendita all’asta), con la liquidazione delle quote agli altri. Questa decisione offre un’importante guida pratica per amministratori e condomini che si trovano ad affrontare simili e complesse questioni.

È sempre possibile chiedere la divisione giudiziale delle parti comuni di un condominio?
Sì, la divisione giudiziale può essere richiesta anche da un solo comproprietario. Tuttavia, la sua concessione è subordinata alla verifica che la divisione possa avvenire senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e senza pregiudicare la funzione del bene.

Cosa si intende per bene comune “non comodamente divisibile”?
Un bene è considerato non comodamente divisibile non solo quando la separazione fisica è materialmente impossibile, ma anche quando, a seguito della divisione, le singole porzioni perderebbero la loro funzione originaria o il loro valore diminuirebbe notevolmente. Nel caso esaminato, la divisione avrebbe impedito di utilizzare le porzioni risultanti come alloggio.

Il consenso di tutti i condomini è necessario per procedere alla divisione giudiziale di una parte comune?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il requisito del consenso unanime di tutti i partecipanti, introdotto dalla riforma del condominio all’art. 1119 c.c., si applica esclusivamente alla divisione volontaria (contrattuale) e non a quella disposta dal giudice su domanda di uno dei comproprietari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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