Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15347 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15347 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20707-2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 46 6/2020 della CORTE D’APPELLO DI TORINO, depositata il 05/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
NOME NOME e NOME NOME convenivano in giudizio NOME NOME al fine di procedere alla divisione dei beni comuni, appartenenti al Pastè per la quota di 2/4, ed ai NOME per la quota di ¼ pro capite, meglio descritti in citazione ed ubicati nel Comune di Chivasso.
Si costituiva il convenuto che aderiva alla domanda di divisione.
Espletata CTU, il Tribunale di Ivrea con la sentenza n. 889/2018 dichiarava lo scioglimento della comunione secondo il progetto riportato in sentenza, e con i conguagli ivi previsti, disponendo l’attribuzione diretta delle quote ai condividenti.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME cui resistevano gli appellati.
La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 4636 del 5 maggio 2020 ha rigettato l’appello, disponendo su istanza di parte appellata, la sola correzione del dispositivo della sentenza appellata, quanto alla determinazione ed alla debenza dei conguagli, nel senso che gli altri condividenti erano debitori del conguaglio in favore di NOME NOME
Quanto al primo motivo di appello, che lamentava la mancata adozione della quarta proposta divisionale – avendo il Tribunale invece fatto propria la prima proposta – i giudici di appello rilevavano che la richiesta dell’appellante presupponeva il frazionamento in due unità del locale attualmente adibito a
negozio, ma si trattava di soluzione che, oltre ad apparire inverosimile, non teneva conto della necessità di dover sostenere dei costi per il suo frazionamento.
Il Tribunale si era invece attenuto ai criteri dettati dal giudice di legittimità quanto al giudizio di divisibilità in natura della massa, specie in presenza di più beni comuni, avendo tenuto conto della compromissione della vocazione commerciale del locale adibito a negozio in caso di sua divisione in due distinte unità immobiliari.
Inoltre, sarebbe stato necessario espletare delle onerose pratiche amministrative e sostenere dei costi per il frazionamento materiale, che invece la soluzione fatta propria dal Tribunale evitava.
Anche il secondo motivo di appello era rigettato in quanto nel progetto approvato il bene adibito a negozio era stato assegnato al COGNOME, quale titolare della maggior quota ideale, e ciò al fine di salvaguardare l’unità dell’immobile stesso e la sua vocazione.
Né poteva accedersi, per l’incertezza della stessa, alla diversa soluzione di assegnare il negozio a due condividenti, pur mantenendo la sua unità strutturale e la sua destinazione unitaria alla locazione.
Il terzo motivo era parimenti rigettato, atteso che il Tribunale aveva tenuto conto dei profili di carattere soggettivo ancorati alla specifica posizione dell’appellante, e che proprio tali profili avevano indotto all’assegnazione a suo favore dell’immobile dallo stesso occupato come abitazione nonché del capannone egualmente fruito dal convenuto, e ciò tenuto conto delle difficoltà economiche dallo stesso evidenziate.
Era però meritevole di seguito la sollecitazione dell’appellata, che aveva segnalato come erroneamente fosse stato previsto un conguaglio a favore della quota assegnata all’appellante, atteso che quello commesso dal Tribunale era un mero errore materiale, emergendo dalla individuazione delle quote come l’unica beneficiaria di un conguaglio fosse la sola NOME NOME, e che quindi sia il Pastè che l’appellante erano tenuti a versarle un conguaglio secondo gli importi riportati in dispositivo.
Erano infine poste a carico dell’appellante le spese del grado, in ragione del principio della soccombenza.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso sulla base di un motivo.
Gli intimati resistono con controricorso.
Il motivo di ricorso denuncia ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tre le parti, con vizio di motivazione.
Si denuncia che la Corte d’Appello abbia nella sostanza confermato quella del Tribunale, riportandosi pedissequamente agli argomenti spesi dal secondo, non avendo tenuto conto di una serie di circostanze che invece deponevano per la riforma della sentenza appellata.
In primo luogo, non si è considerato che anche nella quarta proposta del CTU, disattesa dai giudici di merito, si sarebbe mantenuta la destinazione economica dei beni, ed in particolare del locale adibito a negozio.
Ancora è stato affermato che solo la prima proposta assicurava una formazione delle quote corrispondente alle quote di titolarità ideale.
Inoltre, non è stata adeguatamente valutata la soluzione della divisibilità del negozio, in quanto la divisione non si sarebbe concretizzata anche in un frazionamento materiale del bene.
Si contesta che il frazionamento del negozio avrebbe mantenuto in comunione solo alcuni elementi, quali un muro perimetrale e qualche parte degli impianti, con la creazione quindi di un condominio minimo pienamente tollerabile.
E’ altresì erronea la conclusione secondo cui la divisione del negozio sarebbe in contrasto con la sua vocazione commerciale, come immotivata è l’affermazione circa la necessità di dover affrontare oneri e spese in caso di divisione del detto locale.
Si sottolinea che il frazionamento del negozio, che è un bene produttivo di rendite, avvantaggerebbe più comunisti a differenza della soluzione che invece ne prevede l’assegnazione solo ad uno. Infine, non si sono esaminati gli elementi di carattere soggettivo del ricorrente quali la sua condizione di disoccupato ed invalido e la circostanza che il capannone è goduto solo in parte, essendo fruito anche dall’attore COGNOME.
Il ricorso è inammissibile ex art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c. applicabile alla fattispecie ratione temporis , trattandosi di appello proposto in data successiva all’entrata in vigore della novella del 2012 e di sentenza di appello che ha confermato quella di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a fondamento della sentenza appellata.
L’inammissibilità del ricorso peraltro discende in maniera evidente, oltre che per effetto della norma ora richiamata, anche in ragione della evidente sottoposizione come vizio di omesso esame di censure che investono invece accertamenti di fatto, che
sono stati effettivamente compiuti dal giudice di merito, che ha disatteso in motivazione le varie critiche mosse dal ricorrente alla soluzione del CTU fatta propria dal Tribunale e dipoi dalla Corte d’Appello, sollecitando nella sostanza un non consentito riesame del fatto da parte del giudice di legittimità, esito questo che non è consentito dalla legge.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, se dovuti;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo
a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 22 maggio 2025