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Divisione giudiziale: riparto di ricavi e spese legali

Il Tribunale di Milano definisce una causa di divisione giudiziale di un immobile in comproprietà. A seguito della vendita all’incanto, la sentenza stabilisce la ripartizione delle somme tra l’eredità giacente di un comproprietario, l’altro comproprietario e un creditore terzo intervenuto. Viene chiarito il principio di allocazione delle spese legali: quelle per lo scioglimento della comunione gravano sulla massa, mentre quelle relative all’intervento del creditore sono a carico del debitore secondo il principio di soccombenza.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Divisione giudiziale: guida alla ripartizione di ricavi e spese

La divisione giudiziale di un immobile è un procedimento spesso complesso, che si rende necessario quando i comproprietari non riescono a trovare un accordo per lo scioglimento della comunione. Una recente sentenza del Tribunale di Milano offre importanti chiarimenti sulla ripartizione delle somme ricavate dalla vendita forzata del bene e, soprattutto, sulla corretta allocazione delle spese legali, distinguendo tra quelle di interesse comune e quelle relative alle pretese dei singoli creditori.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di scioglimento di una comunione su un immobile, avanzata dall’Eredità Giacente di uno dei comproprietari nei confronti dell’altro, rimasto contumace. Il Tribunale, con una precedente sentenza parziale, aveva già disposto la divisione giudiziale mediante vendita all’incanto del bene.

Nominato un delegato alla vendita, l’immobile veniva aggiudicato per € 65.000,00. Durante la fase di ripartizione delle somme, interveniva in giudizio un creditore del comproprietario contumace, chiedendo di partecipare alla distribuzione del ricavato per soddisfare il proprio credito. Un secondo intervento, promosso da un’amministrazione comunale, veniva invece dichiarato inammissibile.

La corretta gestione della divisione giudiziale

Il cuore della decisione del Tribunale risiede nella definizione del piano di riparto e nella conseguente allocazione delle spese. Il giudice ha confermato il progetto di divisione predisposto dal delegato, assegnando le somme ricavate dalla vendita come segue:

1. Una quota all’Eredità Giacente attrice.
2. Una quota al creditore intervenuto, fino a concorrenza del suo credito.
3. La restante parte della quota spettante al comproprietario-debitore a quest’ultimo.

La questione più interessante, tuttavia, riguarda la gestione dei costi del procedimento. Il Tribunale ha applicato un principio consolidato, distinguendo nettamente due tipologie di spese.

Le Motivazioni

Il Tribunale ha innanzitutto dichiarato inammissibile l’intervento dell’ente comunale. La motivazione è prettamente procedurale: la procura alle liti era stata rilasciata dal sindaco precedente, in un’epoca molto anteriore all’instaurazione del giudizio e senza alcun riferimento specifico ad esso. Tale incertezza sulla riconducibilità del mandato alla causa specifica ha reso la procura inidonea a fondare l’intervento.

Nel merito della ripartizione, il giudice ha seguito la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. n. 1635/2020) per la regolamentazione delle spese legali. Ha stabilito che le spese necessarie per lo scioglimento della comunione (come il compenso del delegato alla vendita) vanno poste a carico della massa, ovvero ripartite tra tutti i condividenti in proporzione alle rispettive quote, poiché sono sostenute nell’interesse comune di giungere alla divisione.

Al contrario, le spese relative all’intervento del creditore seguono il principio della soccombenza. Essendo finalizzate a soddisfare un credito vantato nei confronti di uno solo dei comproprietari, il loro costo non può gravare sulla massa. Pertanto, il comproprietario debitore è stato condannato a rimborsare le spese legali al suo creditore, che ha visto accolta la propria domanda.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, sottolinea il rigore formale necessario per gli atti processuali, come la procura alle liti, la cui validità è essenziale per l’ammissibilità dell’intervento in giudizio. In secondo luogo, chiarisce un aspetto cruciale della divisione giudiziale: i costi generali della procedura sono un onere comune, mentre i costi legati a controversie individuali, come il recupero di un credito, restano a carico delle parti direttamente coinvolte in quella specifica lite, secondo il principio di soccombenza.

Come vengono ripartite le spese legali in una causa di divisione giudiziale?
Secondo la sentenza, le spese necessarie allo scioglimento della comunione (es. compenso del delegato alla vendita) sono a carico della massa, cioè di tutti i comproprietari. Le spese relative a pretese individuali, come quelle di un creditore che interviene, seguono il principio di soccombenza e sono a carico della parte debitrice.

Un creditore di uno dei comproprietari può intervenire nella causa di divisione?
Sì, un creditore può intervenire per chiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla vendita, fino al soddisfacimento del proprio credito sulla quota spettante al comproprietario suo debitore.

Perché l’intervento di un terzo è stato ritenuto inammissibile in questo caso?
L’intervento di un’amministrazione comunale è stato dichiarato inammissibile perché la procura alle liti presentata era stata rilasciata molto tempo prima dell’inizio della causa, da un rappresentante legale non più in carica e senza un riferimento specifico al giudizio in corso, rendendola inidonea a dimostrare la volontà di partecipare a quel procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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