Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15658 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15658 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8677/2019 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME NOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME controricorrenti e ricorrenti in via incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 7489/2018 depositata il 26/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME citò in giudizio innanzi al Tribunale di Velletri i germani COGNOME NOME ed COGNOME NOME per chiedere lo scioglimento della comunione in relazione ad un terreno sito ad Artena sul quale era stato realizzato dai convenuti un canile gestito dalla RAGIONE_SOCIALE oltre al risarcimento dei danni subiti per la mancanza di disponibilità del bene.
Nel contraddittorio con COGNOME NOME e NOME, il Tribunale di Velletri accolse la domanda di scioglimento della comunione ed attribuì il terreno per intero a NOME e NOME COGNOME, con attribuzione all’attore del conguaglio di € 16.483,33.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 26.11.2018 confermò la sentenza di primo grado.
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte di merito accertò che il terreno non era comodamente divisibile in quanto il frazionamento avrebbe stravolto i servizi posti al servizio del canile, come le linee dell’acquedotto, della rete fognante, dell’impianto di depurazione e delle linee elettriche, oltre a rendere necessaria la costituzione di servitù di passaggio.
Considerata l’indivisibilità del terreno, lo assegnò a NOME COGNOME NOME ed COGNOME NOME, che ne avevano chiesto l’attribuzione congiunta, quali maggiori quotisti.
Quanto alle opere realizzate dai convenuti, trattandosi di opere realizzate da un terzo, la Corte di merito ritenne che nulla fosse dovuto all’attore, ai sensi dell’art.936 c.c., secondo cui il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle e, in caso di ritenzione delle opere, grava sul proprietario l’obbligo di pagare al costruttore il valore dei materiali ed il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento del valore recato al fondo.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello sulla base di due motivi.
COGNOME NOME ed COGNOME NOME hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale condizionato sulla base di un unico motivo.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Il Sostituto Procuratore Generale nella persona del dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione degli artt. 726 c.c., 727 c.c., 728 c.c. e dell’art.23 del DPR N. 634/1972, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello mal applicato le norme dell’accessione, affermando che le opere realizzate dal terzo non appartengono al proprietario del fondo mentre, secondo i principi dell’accessione, il proprietario del fondo diventerebbe anche proprietario delle costruzioni insistenti sul medesimo. Sulla base di tale erronea applicazione la Corte d’appello avrebbe determinato il conguaglio in favore del ricorrente, non assegnatario del bene, considerando il valore agricolo del terreno mentre avrebbe dovuto tener conto del maggior valore acquisito dal terreno per effetto della costruzione del canile.
L’erronea determinazione del valore del terreno avrebbe determinato un indebito arricchimento in capo agli assegnatari a discapito del ricorrente, in sede di conguaglio.
La Corte d’appello non avrebbe considerato che il terreno aveva subito una variazione catastale per l’esistenza del canile, come
accertato dal CTU e che, ai sensi del l’art.23 del DPR n.634/1972, in materia di imposta di registro, il trasferimento di un fondo, anche in conseguenza di assegnazione in sede di divisione, deve presumersi comprensivo dei fabbricati che su di esso siano stati edificati, qualora l’atto di acquisto non li escluda espressamente. Sempre dal punto di vista fiscale, il ricorrente avrebbe continuato a pagare l’IMU quale comproprietario con la conseguenza che si sarebbe verificata una discrasia tra il regime fiscale e quello relativo al diritto di proprietà.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha accertato che il canile era stato realizzato dal terzo – esattamente dal padre delle parti – sicché gli assegnatari, COGNOME NOME e NOME, ai sensi dell’art. 936 c.c., potevano esercitare il diritto di ritenerle o di obbligare il terzo a levarle; una volta esercitato il diritto di ritenzione, gravava sugli assegnatari l’obbligo di pagamento al terzo del valore dei materiali e della scelta della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo.
L’art. 936 c.c. contempla, infatti, nel comma 1, in alternativa allo ius tollendi , che dà diritto al risarcimento del danno, lo ius retinendi , che a norma del comma 2, comporta l’obbligo del proprietario di pagare un indennizzo, da riferire, a sua scelta, al valore di materiali e mano d’opera, inteso come tutte le voci di spesa al tempo dell’esecuzione (Cass. 2273/2005), oppure all’aumento di valore recato al fondo; in tal caso, infatti, il vantaggio economico derivato al proprietario del fondo da detta costruzione od opera è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito (Cass. 26595/2021).
L’art. 936 c.c. attiene, quindi, al rapporto tra proprietario di immobile e terzo che vi abbia compiuto opere con materiali propri, determinandone l’acquisto a titolo originario in capo al primo,
secondo il principio dell’accessione ex art. 934 c.c., fin dal momento in cui esse vengono incorporate nel suolo.
L’obbligo di pagamento dell’indennizzo sorge dall’esercizio del diritto di ritenzione, che si verifica automaticamente quando le opere sono fatte in buona fede (Cass. 5420/2011, 50/1996) – cioè nella “scienza” e senza opposizione del proprietario (comma 4), ovvero per la scadenza del termine di sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione (comma 5), proprio perché esso ha natura di indennizzo e non di prestazione sinallagmatica, e non costituisce quindi condizione per la pienezza dell’atto di acquisto (Cass. 23347/2009).
In altre parole, il proprietario del suolo acquista la proprietà delle opere fin dal momento in cui esse vengono eseguite dal terzo con materiali propri e si incorporano nel suolo, salva la sua facoltà dello ius tollendi , che gli viene riconosciuta per non rendere la sua condizione del tutto dipendente dal fatto arbitrario del terzo.
Legittimato passivo al pagamento dell’indennizzo è il proprietario del suolo mentre “terzo” è colui che non sia legato al proprietario del suolo da un rapporto giuridico, di natura reale o personale, che lo legittimi a costruire sul fondo medesimo (Cass. 970/1983, 10699/1994, 27900/2017, 27088/2021).
Ne consegue che le opere compiute dal terzo incidono sul valore del fondo solo ove il proprietario eserciti il diritto di ritenzione ma sono compensate dall’obbligo del proprietario di pagare l’indennità al costruttore mentre nessun incremento di valore deriva evidentemente nelle ipotesi in cui il proprietario eserciti lo ius tollendi.
Sebbene l’acquisto a titolo originario in capo al proprietario operi fin dal momento in cui le opere vengono incorporate nel suolo, l’obbligo
indennitario si consolida solo al momento della scelta di corrispondere l’indennità in capo al proprietario.
Tali principi trovano applicazione anche in tema di scioglimento della comunione e comporta che il valore delle quote deve essere determinato con riferimento al valore del del bene privo delle costruzioni realizzate dal terzo, attesa la natura meramente obbligatoria del pagamento dell’indennità, che attiene al rapporto tra il proprietario dell’immobile ed il terzo, una volta esercitato lo ius retinendi.
Accedendo alla tesi del ricorrente, in caso di divisione del bene in cui sono state realizzate opere dal terzo, l’assegnatario si troverebbe a corrispondere un conguaglio al condividente per l’aumento di valore per opere che non intende ritenere nel fondo, o, nel caso di esercizio dello ius retinendi , si troverebbe a corrispondere l’indennità al terzo ed il conguaglio al condividente non assegnatario, con evidente duplicazione di quanto dovuto per l’acquisto delle opere realizzate dal terzo.
Le questioni di rilievo fiscale sono state sollevate per la prima volta in questa sede e sono, pertanto, inammissibili.
Va ribadito il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cassazione civile sez. I, 18/10/2013, n.23675).
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt.718 c.c., 720 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; il ricorrente sostiene, richiamando una delle ipotesi di divisione elaborate dal CTU, che lo scioglimento della comunione poteva avvenire in natura, soluzione da preferirsi in via prioritaria, in quanto non sarebbe stato necessario rendere autonomi gli impianti. Nel motivo si evidenzia che il canile insisteva sulla proprietà di terzi ed era già stato oggetto di frazionamento.
Il motivo è infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell’art. 720 c.c., non solo nel caso di non divisibilità dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano “comodamente” divisibili.
Tale ipotesi ricorre quando, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive o quando siano richieste opere complesse o di notevole costo, ovvero le porzioni del bene, sotto l’aspetto economicofunzionale, risultino sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero (Cass. n. 25888 del 2016; Cass. n. 12498 del 2007).
La non comoda divisibilità di un immobile integra quindi un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, e può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, considerando che la vendita all’incanto costituisce
l’extrema ratio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14577 del 21/08/2012, Rv.623713; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16918 del 19/08/2015, Rv. 636128; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12406 del 28/05/2007, Rv. 597810).
La Corte d’appello, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ha accertato che il terreno non era comodamente divisibile in quanto con il frazionamento sarebbe stato necessario rendere autonomi i servizi posti al servizio del canile, come le linee dell’acquedotto, della rete fognante, dell’impianto di depurazione e delle linee elettriche, oltre a rendere necessaria la costituzione di servitù di passaggio.
E’ quindi conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte l’assegnazione del terreno per intero ad COGNOME NOME e NOME che avevano fatto richiesta di assegnazione congiunta, quali aventi diritto della quota maggiore.
Il ricorso va pertanto rigettato.
E’ assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €4000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione