Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24971 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 24971 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
Oggetto: Divisione endoesecutiva
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25205/2021 R.G. proposto da COGNOME rappresentata e difesa da sé ed elettivamente domiciliata presso il proprio studio in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata;
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE
-i ntimata –
COGNOME NOME
– intimato –
avverso la sentenza n. 417 emessa dalla Corte d’Appello di Perugia il 28/6/2021, pubblicata il 6/7/2021 e notificata il 28/7/2021.
Udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa NOME COGNOME nella pubblica udienza del 10 luglio 2025;
lette le conclusioni scritte della Procura generale, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
In data 28/12/2009, NOME COGNOME sottopose a pignoramento la quota di 1/6 dell’immobile sito in Terni, INDIRIZZO di proprietà dell’esecutata, NOME COGNOME proveniente dall’eredità di NOME COGNOME e formalmente intestato, per 1/6 ciascuno, ai germani NOME e NOME COGNOME e per la restante parte a NOME, coniuge superstite del de cuius .
Non potendosi procedere alla vendita della quota indivisa e alla separazione di quella in natura, il giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 12/5/2011, dispose la sospensione del giudizio di esecuzione, ordinando l’introduzione di quello di divisione.
Il giudizio così instaurato si concluse con la sentenza n. 572/2019 del 6/7/2019, con la quale il Tribunale di Terni, previa vendita del bene immobile oggetto di esecuzione immobiliare, assegnò a ciascun condividente le somme ricavate in conformità al progetto di riparto; dispose che quelle spettanti a COGNOME in qualità di condividente esecutato, venissero depositate su un conto corrente
intestato alla procedura esecutiva; stabilì che le somme spettanti agli eredi di NOME venissero versate nella misura del 50% ciascuno a COGNOME NOME e COGNOME NOME; e condannò quest’ultima al pagamento delle spese nei confronti di COGNOME NOME, di NOME COGNOME e della Banca Popolare dell’Emilia -Romagna società cooperativa, con compensazione tra tutte le altre parti.
Il giudizio di gravame, instaurato da NOME COGNOME si concluse, nella resistenza di NOME COGNOME NOME COGNOME e di BPER Credit Management S.C.p.a. e nella contumacia di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e di COGNOME Stefano, con la sentenza n. 417/2021, pubblicata il 6/7/2021, con la quale la Corte d’Appello di Perugia respinse l’appello.
Avverso questa sentenza, COGNOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi; NOME COGNOME NOME COGNOME e BPER Credit Management S.C.p.a. si difendono con distinti controricorsi, mentre Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e COGNOME Stefano sono rimasti intimati.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 convenzione EDU per irragionevole durata del processo e violazione dei principi del giusto processo, nonché degli artt. 164, 182 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello aveva reputato infondata l’eccezione di estinzione del giudizio di esecuzione, sollevata dalla debitrice esecutata per il mancato adempimento di quanto richiesto dal giudice dell’esecuzione con il provvedimento del 18/5/2010, sostenendo che la creditrice aveva tempestivamente depositato quanto richiesto, e per avere ritenuto integro il contraddittorio, benché dall’esame dei due procedimenti,
esecutivo ed endoesecutivo, sarebbe potuto emergere il deposito, da parte dell’Italfondiario, del proprio atto di intervento già dal 27/9/2013. La ricorrente ha sul punto evidenziato non solo che i fascicoli depositati telematicamente dalla BPER e dalla Ignacio non contenevano tutti gli atti del giudizio di primo grado, atteso che la prima aveva depositato soltanto la comparsa e la seconda anche le memorie ex art. 183 cod. proc. civ. con l’indice, contenenti anche la nota di deposito della documentazione richiesta dal G.E. che però non era stata riversata.
Pertanto, ad avviso della ricorrente, non era stato dimostrato l’adempimento dell’ordine impartito dal G.E. con il provvedimento del 17-18/5/2010, con il quale era stato chiesto di produrre, nel termine perentorio assegnato, i certificati dei registri delle trascrizioni e iscrizioni immobiliari, aventi ad oggetto atti dispositivi e atti di concessione di ipoteca volontaria relativa agli immobili pignorati, non risultando dalla certificazione ipo-catastale prodotta alcuna accettazione espressa o tacita di eredità di NOME e con quello del 12/5/2011, con il quale era stato chiesto di produrre la relazione notarile sostitutiva per il periodo compreso tra il pignoramento e la trascrizione della domanda di divisione.
L’assenza del fascicolo di primo grado aveva, peraltro, impedito di accertare la validità o meno della costituzione in giudizio di NOME COGNOME, rilevante ai fini dell’usucapione, da parte della stessa, dell’immobile pignorato.
Infine, i giudici avevano erroneamente reputato integro il contraddittorio, necessario quanto ai creditori intervenuti nella procedura, probabilmente perché non avevano potuto analizzare il fascicolo dell’esecuzione.
1.2 Il primo motivo incorre in due concorrenti cause d’inammissibilità.
Esso si articola in due doglianze, entrambe collegate all’asserita mancata produzione del fascicolo della procedura esecutiva, che avrebbe consentito, per un verso, di verificare l’erronea sua prosecuzione nonostante la mancata produzione della documentazione richiesta dal giudice dell’esecuzione nel termine perentorio stabilito, ciò che avrebbe comportato l’estinzione della procedura stessa, e, per altro verso, di verificare l’integrità del contraddittorio specie con riguardo al creditore intervenuto.
A tal riguardo, i giudici di merito hanno ritenuto infondata l’eccezione di estinzione del giudizio di esecuzione per mancato adempimento di quanto richiesto dal giudice dell’esecuzione con il provvedimento del 18/5/2010, risultando dagli atti il tempestivo deposito della documentazione richiesta, e anche quello di difetto di integrità del contraddittorio, sia nel giudizio di esecuzione, sia in quello di divisione, atteso che l’esecuzione riguardava la sola COGNOME e che non potevano essere parte del giudizio i creditori degli altri due condividenti, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che, tra l’altro, non risultavano esservi, sicché la creditrice aveva correttamente notificato l’atto di citazione del giudizio di divisione ai comproprietari dell’immobile, alla Pper Banca e alla BNL quale creditore non ipotecario.
Ebbene, in disparte l’inammissibilità del motivo, nel quale il vizio venga solo apoditticamente enunciato nell’intestazione senza precisare in qual modo (se per contrasto con la norma indicata o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530), si osserva, quanto alla prima questione, che il giudizio di divisione dei beni indivisi pignorati ha natura di procedimento incidentale di cognizione nel procedimento esecutivo e, pur essendo in collegamento con
l’espropriazione forzata e devoluto alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione, costituisce un autonomo processo di scioglimento della comunione e non può essere considerato una fase o un subprocedimento della procedura espropriativa in cui si innesta, sicché, nell’ambito del procedimento divisionale, non possono essere introdotte – o, se comunque introdotte, non possono essere esaminate e decise – opposizioni esecutive avverso i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (Cass., Sez. 3, 4/8/2021, n. 22210; Cass., Sez. 2, 29/2/2024, n. 5386) e, si aggiunge, tantomeno questioni afferenti a sopravvenute cause di estinzione del processo esecutivo per inattività del creditore procedente, come nella specie.
L’inottemperanza all’ordine del giudice dell’esecuzione di produrre documentazione ulteriore rispetto a quella prevista dall’art. 567, secondo comma, cod. proc. civ., integra, infatti, una causa di improseguibilità della procedura esecutiva (cosiddetta “estinzione atipica”) e il provvedimento che la dichiara è impugnabile esclusivamente con l’opposizione agli atti esecutivi, non già col reclamo ex art. 630 cod. proc. civ., il quale, se proposto, non può essere convertito nella predetta opposizione, difettandone i necessari requisiti di sostanza e di forma, in ragione del mancato svolgimento della preliminare fase sommaria prevista dall’art. 617, secondo comma, cod. proc. civ., senza la quale non è possibile l’instaurazione del giudizio a cognizione piena (Cass., Sez. 3, 4/3/2025, n. 5784).
1.3 E’ altresì infondata la questione afferente alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i creditori.
Come già affermato da questa Corte, nei giudizi di divisione endoesecutivi, soggetti al regime di cui all’art. 600, secondo comma, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 2, comma terzo, lettera e), d.l. n. 35/2005, convertito con legge n. 80 del 2005, che, come
detto sopra, costituiscono una parentesi di cognizione nell’ambito del procedimento esecutivo, da cui sono soggettivamente ed oggettivamente distinti (Cass., Sez. 3, 10/05/1982, n. 2889; Cass., Sez. 3, 08/01/1968, n. 44; Cass. 12/10/1961, n. 2096), devono essere ritualmente coinvolti, al fine del corretto avvio del giudizio di cognizione in cui si risolve anche la divisione endo-esecutiva, non solo tutti i contitolari di diritti reali sul bene la cui quota è stata pignorata, ma pure i creditori procedenti, quelli eventualmente intervenuti, i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione (art. 1113, terzo comma, cod. civ.), i quali, però, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell’art. 1113, primo comma, cod. civ., non sono tuttavia parti necessarie del giudizio, essendo il loro intervento diretto a consentire un controllo sul corretto svolgimento del procedimento divisionale, ovvero alla proposizione dell’eventuale opposizione alla divisione non ancora eseguita a seguito di un giudizio cui non abbiano partecipato, senza avere alcun potere dispositivo, in quanto non condividenti. Pertanto, la mancata evocazione dei creditori iscritti e degli aventi causa nel giudizio di scioglimento comporta l’unico effetto di rendere inopponibile nei loro confronti l’avvenuta divisione degli immobili, come è espressamente previsto dall’art. 1113, terzo comma, cod. civ. (Cass., Sez. 1, 28/06/1986, n. 4330; Cass., Sez. 2, 09/11/2012, n. 19529; Cass., Sez. 2, 08/10/2013, n. 22903). Soltanto allorquando il creditore sia stato citato in primo grado e sia intervenuto nel processo, si configura un’ipotesi di litisconsorzio processuale, che ne impone la partecipazione al giudizio di appello a pena di nullità della sentenza (Cass., Sez. 2, 06/07/1991, n. 7485), circostanza quest’ultima non ricorrente nel caso di specie con riguardo alla società RAGIONE_SOCIALE la quale non risulta
intervenuta nel processo di divisione, ma, secondo le stesse deduzioni della ricorrente, in quello esecutivo, con la conseguenza che non può configurarsi la dedotta violazione del litisconsorzio necessario per non essere stato il processo di divisione riassunto nei confronti di detto creditore.
E’ infine non perspicua la questione riguardante la condividente COGNOME, non avendo la ricorrente chiarito i termini dell’asserita invalidità della sua costituzione nel giudizio di primo grado, che peraltro è espressa in termini dubitativi, siccome correlati alla dedotta mancata acquisizione del fascicolo dell’esecuzione.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 102 cod. proc. civ., anche con riferimento all’art. 1113 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. per essere stata violata l’integrità del contraddittorio, posto che il creditore procedente e quello intervenuto non avevano verificato, dopo l’evento interruttivo, se vi fossero altri creditori intervenuti, oltre a quelli costituiti, cui notificare il ricorso ex art. 303 cod. proc. civ. e che, nella specie, vi era la RAGIONE_SOCIALE Secondo la ricorrente, infatti, nella divisione endoesecutiva devono essere presenti tutti i creditori procedenti, quelli eventualmente intervenuti, i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione, dovendo il giudicato far stato nei confronti di tutti coloro che hanno avanzato pretese in sede esecutiva.
2.2 Il secondo motivo, parzialmente sovrapponibile al primo con riguardo alla posizione della creditrice intervenuta, società RAGIONE_SOCIALE va respinto per gli stessi motivi indicati nel precedente punto 1.3.
3.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 788, 187 e 161 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché, in presenza di contestazioni sul diritto alla divisione, come accertati dalla Corte d’Appello e arguibili dall’eccezione di acquisto della proprietà del bene per usucapione da parte di NOME, formulata dalla ricorrente, e dalla presenza del diritto di abitazione spettante alla medesima Castiglione, da essa stessa eccepito, il G.U. avrebbe dovuto immediatamente investire il Collegio, che, decidendo sulle contestazioni, avrebbe dovuto emettere sentenza contenente l’ordinanza di vendita sulla base degli effettivi diritti reali in capo ai condividenti, sicché, non avendovi provveduto, era illegittima la c.t.u. che non teneva conto del diritto di abitazione della Castiglione, oltre a rendere impossibile il piano di riparto prima del giudicato sulla divisione endoesecutiva che retroagisce al momento della domanda. Peraltro, sulla sussistenza della contestazione i creditori non avevano proposto impugnazione, con conseguente certezza della stessa.
3.2 Il terzo motivo è inammissibile perché non contiene nessuna censura contro la sentenza impugnata, potendosi in esso ravvisare, al più, una critica contro la decisione di primo grado, che però esula dal perimetro del giudizio di legittimità.
Come infatti più volte affermato da questa Corte, con il ricorso per cassazione non possono essere proposte, e vanno, quindi, dichiarate inammissibili, le censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado (cfr. Cass., Sez. 2, 14/6/2022, n. 19017; Cass., Sez. L, 21/03/2014, n. 6733, Rv. 630084; Cass., Sez. 1, 17/07/2007, n. 15952, Rv. 598504; Cass., Sez. L, 15/03/2006, n. 5637, Rv. 587584).
Peraltro, non risulta neppure che la questione in esame sia stata prospettata in sede d’appello, non essendovene alcun richiamo nella sentenza impugnata, senza che la ricorrente abbia esplicitato nel motivo l’avvenuta deduzione della stessa dinanzi alla Corte
d’Appello, come sancito a pena di inammissibilità della censura (Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430), non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum e implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 2, 15/3/2022, n. 12877; Cass., Sez. 2, 06/06/2018, n. 14477).
4.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 555 cod. proc. civ, con riferimento al disposto di cui all’art. 540 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. La ricorrente ha sul punto dedotto la nullità dell’atto di pignoramento in quanto era stato fatto sulla quota della piena proprietà di 1/6 dell’immobile, benché essa fosse titolare della sola nuda proprietà, per essere la madre ex lege titolare sull’intero del diritto di abitazione ai sensi dell’art. 540 cod. civ. Tale errore aveva, per un verso, vanificato le sue legittime pretese ereditarie a vedersi attribuita una quota maggiore per effetto della collazione, che avrebbe dovuto rientrare nella divisione endo-esecutiva, e, per altro verso, creato ulteriori debiti per maggiori oneri condominiali.
4.2 Il quarto motivo è inammissibile per due distinte ragioni.
La prima è che con esso si prospetta una questione nuova, siccome non affrontata affatto nella sentenza impugnata se non con riferimento alla dedotta mancata accettazione dell’eredità da parte della debitrice esecutata, che però non è stata oggetto di effettiva doglianza, in applicazione degli stessi principi richiamati nel precedente punto 3.2.
La seconda è che l’art. 540, secondo comma, cod. civ., attribuisce al coniuge del defunto il diritto di abitazione sulla casa già adibita a residenza familiare, che egli acquista, al momento della morte dello stesso, in forza di un legato stabilito dalla legge (Cass. 10 marzo
1987 n. 2474), e che, di conseguenza, gli altri eredi, ai quali perviene la proprietà del medesimo immobile, acquistano su di esso un diritto di proprietà gravato dal diritto reale limitato di abitazione, come accaduto nella specie.
Orbene, in disparte il fatto che, secondo quanto affermato da Cass., Sez. 3, 14/4/2023, n. 10017, il codice civile non conosce la c.d. “nuda proprietà” come diritto distinto dalla proprietà, essendo i suoi tratti contenutistici desunti dal combinato disposto delle norme in tema di proprietà e di quelle in tema di usufrutto, ossia in via di mera sottrazione, dal contenuto del primo, dei poteri e delle facoltà che formano il contenuto del secondo ed essendo perciò il concetto di origine dottrinale, oltreché funzionale esclusivamente a descrivere la situazione della proprietà gravata da usufrutto; tutto ciò a parte, va rilevato che, come già affermato da questa Corte, «il pignoramento che colpisca un diritto maggiore di quello effettivamente spettante al debitore non è nullo (al contrario del caso inverso, non potendo il creditore e la procedura dare luogo, in caso di coattivo trasferimento, ad un diritto diverso e minore di quello originario, così indebitamente delimitandolo), ma deve limitarsi al diritto minore di cui l’esecutato sia riconosciuto titolare e l’intera procedura esecutiva deve avere ad oggetto tale minore estensione, con declaratoria di nullità del pignoramento e degli atti successivi, ma limitatamente alla parte in cui colpiscono la piena proprietà del bene, in luogo di tale proprietà come limitata dal visto diritto reale di godimento» (Cass., Sez. 3, 9/2/2023, b. 4092).
Tale questione non poteva però essere introdotta nell’ambito del giudizio di divisione endo-esecutivo, come preteso dalla ricorrente.
Infatti, il giudizio di divisione dei beni indivisi pignorati, pur essendo collegato all’espropriazione forzata ed essendo devoluto alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione, ha natura di procedimento incidentale di cognizione nel procedimento esecutivo
e costituisce un autonomo procedimento di scioglimento della comunione, sicché non può essere considerato una fase o un subprocedimento della procedura espropriativa in cui si innesta (Cass., Sez. 2, 29/2/2024, n. 5386; Cass., Sez. 6-2, 2/10/2020, n. 21218). Pertanto, nell’ambito del procedimento divisionale, non possono essere introdotte – o, se comunque introdotte, non possono essere esaminate e decise – opposizioni esecutive avverso i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (Cass., Sez. 3, 4/8/2021, n. 22210), come in caso di asserita nullità del pignoramento, ossia di dedotta invalidità di un atto del processo di esecuzione.
Infatti, come ricordato da Cass., Sez. 2, 23/5/2024, n. 20811, il legislatore, al fine di raggiungere l’obiettivo di tutelare le ragioni del creditore affinché questi, attraverso l’intervento del giudice, possa ottenere celermente quanto dovuto dal debitore esecutato, ha strutturato un procedimento idoneo ad assicurare, ai terzi interessati all’acquisto del bene oggetto di espropriazione, la sicurezza e la stabilità degli effetti del provvedimento conclusivo, contemplando un sistema chiuso per l’emersione dei vizi, che, a salvaguardia dell’affidamento qualificato dell’aggiudicatario sulla stabilità della vendita giudiziaria (sul punto, diffusamente, Cass., Sez. 3, 08/02/2019, n. 3709), impone di far emergere eventuali irregolarità occorse nelle fasi della procedura esecutiva entro un tempo circoscritto e mediante l’impiego dei rimedi processuali appositamente prescritti (Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677 cit.), essendo in contrasto con i principi ispiratori del sistema, sia con le regole specifiche relative ai modi e ai termini delle opposizioni esecutive, ammettere la proposizione, dopo la conclusione dell’esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni volte a contrastare gli effetti dell’esecuzione stessa sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli (vedi Cass., Sez.
L, 08/05/2003 , n, 7036), e dovendo, perciò, il soggetto leso reagire all’interno del processo e coi mezzi apprestati dall’ordinamento (Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677 cit.).
Ciò significa che, nonostante il provvedimento conclusivo del procedimento esecutivo non abbia efficacia di giudicato (vedi Cass., Sez. L, 08/05/2003, n. 7036, cit.), la parte o l’aggiudicatario che intenda contestare la legittimità di un atto del processo esecutivo o la validità ed efficacia dell’aggiudicazione e della vendita forzata ha l’onere, inteso in stretto senso tecnico, di dispiegare i relativi strumenti processuali, con le forme e le modalità previste dalla disciplina di rito (e, quindi, in primo luogo attraverso l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 cod. proc. civ.: in tal senso, Cass., Sez. 3, 20/10/2020, n. 22854), decadendo, altrimenti, dalla possibilità di fare valere le relative ragioni, salva la dimostrazione che l’esperimento dei rimedi endo -esecutivi non gli era in alcun modo possibile prima della definitiva chiusura della procedura esecutiva in ragione della data in cui era insorta l’effettiva e concreta possibilità di far valere la causa di invalidità, nonostante una condotta improntata all’ordinaria diligenza (Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677 cit.).
Gli stessi principi valgono, peraltro, anche quando debbano farsi valere «eventuali difformità tra risultanze e consistenza del bene come effettivamente individuate nel decreto di trasferimento rispetto a quelle reali», le quali devono ugualmente essere fatte valere all’interno del processo esecutivo con gli appropriati rimedi oppositivi (vedi Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677, che cita anche Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17811 del 22/06/2021; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12430 del 16/05/2008; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5796 del 13/03/2014; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 25687 del 15/10/2018; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16219 del 19/05/2022; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 22854 del 20/10/2020).
Ciò comporta che la ricorrente non avrebbe neppure potuto sollevare nell’ambito del processo di divisione endo -esecutiva questioni, quale quella dell’invalidità del pignoramento, per la quale sono previsti specifici rimedi nell’ambito della procedura esecutiva.
Va infine osservato che, con specifico riguardo allo scioglimento della comunione, la preesistenza del diritto di abitazione ex art. 540, secondo comma, cod. civ., spettante alla madre della ricorrente, NOME non avrebbe potuto avere alcuna incidenza ai fini voluti, atteso che la valutazione dell’asse dividendo deve essere svolta al momento della decisione e che, come risulta dallo stesso ricorso, quest’ultima è deceduta nel 2012, con conseguente consolidamento della proprietà in capo ai nudi proprietari.
Consegue da quanto detto l’inammissibilità della censura.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei primi due motivi e l’inammissibilità dei restanti, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/7/2025