Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27705 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27705 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18230/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliato a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 678/2019 depositata il 05/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 27.07.2011, NOME conveniva in giudizio la ex coniuge COGNOME, dinanzi al Tribunale di
Perugia, al fine di ottenere lo scioglimento della comunione e la divisione dei beni mobili comuni, la restituzione dei beni di sua proprietà esclusiva (con la corresponsione di un equo risarcimento in denaro per la perdita di valore) o il pagamento del loro controvalore, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
NOME esponeva che:
-i suddetti beni costituivano l’arredo della ex casa coniugale di sua proprietà sita in Perugia, alla INDIRIZZO, abitata dalla moglie e dal figlio a seguito di provvedimento di assegnazione dell’immobile in sede di separazione personale;
-taluni beni erano stati acquistati in comunione, mentre altri erano, di sua proprietà esclusiva;
-aveva asportato dalla casa coniugale alcuni beni strettamente personali;
-a seguito di revoca del provvedimento di cui sopra, il 30.07.2001 la moglie traslocava il mobilio presso l’abitazione di sua proprietà, sita in Perugia alla INDIRIZZO;
-il 31.07.2001 aveva chiesto spiegazioni in merito alla sottrazione dei beni dalla casa coniugale e il successivo 02.08.2001 formalizzava la richiesta ricevendo risposta solo in merito ai beni comuni e non a quelli di proprietà esclusiva;
-in diverse occasioni tentava una conciliazione in INDIRIZZO.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, chiedendo il rigetto della domanda.
Istruita la causa mediante l’interrogatorio formale della convenuta e l’escussione di alcuni testi, il Tribunale di Perugia, con sentenza n. 455/2017, rigettava le domande formulate da NOME in applicazione del principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.,
non essendo possibile dimostrare quali e quanti beni avrebbero dovuto formare oggetto di scioglimento della comunione paritaria.
Avverso la già menzionata sentenza proponeva appello NOME, cui resisteva COGNOME NOME.
La Corte di Appello di Perugia, con sentenza n. 678/2019, rigettava l’appello proposto da NOME e confermava la sentenza di primo grado, sostenendo, in esito all’esito dell’interrogatorio formale della COGNOME NOME , l’impossibilità di accertare quali, tra i mobili residui, fossero di proprietà esclusiva dell’NOME, atteso che quest’ultimo, all’epoca della cessazione della convivenza, aveva provveduto ad asportarne alcuni, attuando, pertanto, la divisione dei beni comuni sulla base di una scelta personale.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso COGNOME NOME sulla base di cinque motivi e COGNOME NOME resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, co. 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 115 c.p.c. per apparenza e contraddittorietà della motivazione, che non teneva conto del duplice contenuto della domanda, che aveva ad oggetto la divisione dei beni comuni e la restituzione di quelli di proprietà esclusiva.
Con il secondo motivo di ricorso si ravvisa la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. e la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per il travisamento prove.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la nullità del procedimento e della sentenza per violazione degli artt. 3, 24 e
112, co. 2 Cost. e degli artt. 115, 101 co.2, 183 co.4 e 359 c.p.c., per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.
Con il quarto motivo di ricorso si censura la violazione e/o la falsa applicazione ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la Corte d’appello fondato la propria decisione sulla presunzione dell’intervenuto accordo tacito di divisione del mobilio tra gli ex coniugi, tuttavia desunto sulla base di circostanze inconferenti.
Infine, con il quinto e ultimo motivo di ricorso, il ricorrente si duole dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, consistenti nell’omessa valutazione di una serie di documenti da cui si evincerebbe il mancato accordo tra le parti circa la divisione del mobilio per cui è causa.
Il primo motivo è fondato e il suo accoglimento comporta l’assorbimento delle censure di cui ai restanti motivi.
La decisione impugnata è fondata sul rilievo che ‘non vi è alcuna certezza’ che i mobili, asportati dalla convenuta da una casa all’altra, fossero tutti di proprietà esclusiva dell’NOME, posto che quest’ultimo aveva già portato via gran parte del mobilio, attuando in questo modo una divisione di fatto.
Il rilievo, quindi, fa emergere la convinzione della Corte d’appello che l’iniziativa dell’NOME avrebbe potuto non essere circoscritta a beni di proprietà esclusiva. Quindi, coinvolgendo beni comuni, l’NOME, tramite l’unilaterale prelievo, avrebbe operato una divisione di fatto. In pratica, anche se la Corte d’appello non lo dice, si avrebbe che i beni residui, tolti quelli prelevati dal l’NOME , formavano la porzione dell’altro coniuge.
In questo senso la motivazione incorre nel vizio denunziato con il motivo. Invero, il rilievo che l’NOME aveva asportato alcuni beni
mobili dall’abitazione non autorizzava, di per sé, senza alcuna considerazione relativa all’identità dei beni asportati e di quelli residui, l’illazione che l’iniziativa d e ll’attuale ricorrente avesse riguardato anche beni comuni; né tanto meno autorizzava a ravvisare in quella medesima iniziativa – se e nella misura in cui l’NOME avesse realmente prelevato beni ulteriori oltre a quelli di proprietà esclusiva -l’attuazione di una divisione di fatto, in guisa da impedire ogni ulteriore discussione sul punto. Anche in questo caso la genericità dei rilievi proposti dalla sentenza, in assenza di qualsiasi considerazione sull’identità dei beni prelevati e sul valore degli stessi in rapporto a quelli lasciati, non consente di cogliere la ratio che ha consentito alla Corte d’appello di ravvisare una divisione per facta concludentia .
Pertanto, accolto il primo motivo, assorbiti i restanti, la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Perugia , in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 27/03/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME