Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25226 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 25226 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18248/2019 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
CONDOMINIO RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO COGNOME, in persona dell’amministratore p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 321/2019, depositata il 29/03/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘ di Gallipoli ha evocato in causa il condomino NOME NOME, chiedendo la demolizione delle opere realizzate in violazione degli artt. 18 e 19 del regolamento condominiale senza la prescritta autorizzazione, consistenti nella realizzazione di una scala interna all’appartamento al terzo piano, nel mutamento di destinazione d’uso del locale caldaia, nella realizzazione di un vano in adiacenza a quello preesistente sul lastrico solare, nella soprelevazione di un muretto in comunione fino a mt. 2.10.
Il regolamento poneva il divieto di realizzare sopraelevazioni parziali o totali, lesive del decorso architettonico dell’edificio .
Disposta l’integrazion e del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, comproprietaria degli immobili, il Tribunale, con sentenza n. 4471/2015, ha respinto la domanda di demolizione delle opere realizzate sul lastrico solare, ritenendo che i convenuti avessero realizzato un ampliamento di locali preesistenti, destinati a caldaia, non lesivo del decoro architettonico, e che le modifiche fossero state assentite, avendo il Condominio calcolato le quote in base alla destinazione abitativa delle porzioni controverse; ha ordinato la riduzione del l’altezza del muro presente sul lastrico, elevato oltre mt. 2.10, e la realizzazione di opere per separare la proprietà comune dal l’attico del convenuto, respingendo la riconvenzionali e ponendo a carico dei convenuti l’obbligo di pagare €. 25.000,00 a titolo di indennizzo per l’ ampliamento e cambio di destinazione d’uso del locale ex caldaia.
La pronuncia è stata riformata parzialmente in appello.
La Corte distrettuale ha eliminato la condanna al pagamento di € 25.000,00 a titolo di indennizzo per assenza di domanda, ma, oltre a confermare la condanna al ripristino del muro di confine, ha ordinato la riduzione in pristino dei locali al quarto piano, reputando infondata la tesi dell’appellante secondo cui le modifiche erano state realizzate dal costruttore ed affermando che anche il muro comune
elevato oltre l’altezza originaria costituiva una sopraelevazione vietata dal regolamento.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME anche quale erede di NOME COGNOME ha proposto ricorso in sette motivi, cui ha resistito con controricorso il condominio ‘Scirocco’ di Gallipoli.
Entrambe le parti hanno illustrato le rispettive difese con memorie.
Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce la violazione degli artt. 83, 84, 85 e 88 c.p.c..
Espone il ricorrente che la procura alle liti per il giudizio di primo grado era stata conferita all’avv. COGNOME mai comparso in giudizio e poi cancellatosi dall’albo nel 2010 , e che, già dal 2003, erano comparsi gli avv.ti COGNOME COGNOME in sostituzione dell’originario difensore senza mai depositare la procura alle liti.
L ‘avv. COGNOME oltre a partecipare a tutte le attività processuali, incluso l’espletamento della c.t.u., aveva notificato l’atto di chiamat a in causa di NOME COGNOME senza apporre la procura sull’atto notificato, procura depositata in appello a distanza di anni. La citazione del terzo era priva della prima pagine e la procura era apposta su foglio non materialmente congiunto, non potendosi stabilire la data di effettivo rilascio da parte dell’amministratore.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Non è in discussione che la citazione introduttiva era corredata da una valida procura rilasciata all’avv. COGNOME e che , quindi, il processo sia stato validamente incardinato.
Secondo il ricorrente sia l’avv. COGNOME che l’avv. COGNOME avrebbero svolto attività difensiva per il Condominio senza esser muniti di una procura; il secondo difensore avrebbe poi chiamato in giudizio NOME COGNOME con atto privo di mandato.
Non può omettersi di considerare che il compimento di attività processuale da parte del difensore sfornito di mandato alle liti può
invalidare la decisione di primo grado solo se – ai sensi dell’ art. 159 c.p.c. -è ravvisabile un nesso di derivazione necessario della sentenza rispetto alle attività difensive svolte dall’avvocato.
Occorre che la pronuncia sia basata su domande, eccezioni, allegazioni o prove che quella parte ha introdotto nel processo e che il giudice non avrebbe potuto prendere in esame d’ufficio, ovvero quando la postulazione della necessità o possibilità di partecipazione di quella parte al processo sia stata alla base della decisione di una questione pregiudiziale nel senso d’impedire l’esame del merito. Fuori di questi casi, la violazione della norma sul procedimento, poiché non incide sul contenuto della decisione della controversia, non si traduce in vizio di nullità ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma primo, e dell’ art. 159 c.p.c., comma primo, c.p.c. e non è motivo di ricorso in cassazione (Cass. 23263/2022; Cass. 1051/2021; Cass. 11196/1998).
Nel caso in esame tutta attività processuale svolta prima della chiamata in causa di NOME COGNOME, inclusa la c.t.u., è stata rinnovata, facendo regredire il processo all’ udienza dell’art. 180, c.p.c., come riconosce lo stesso ricorrente (ricorso pag. 17), allorquando l’avv. COGNOME era stato nominato con procura a margine dell’originale della chiamata in causa.
La decisione di primo grado è stata assunta sulla base di prove, eccezioni e della c.t.u. svolta in presenza e con la partecipazione del difensore validamente officiato.
L ‘atto di chi amata in causa di NOME COGNOME recava la procura a margine rilasciata all’avv. COGNOME come risulta dall’esame dell’ originale con attestazione di deposito in cancelleria, superando il rilievo dell’assenza di procura sulla copia notificata, che contrariamente a quanto sostenuto, non era presente su foglio separato, e della mancanza di prova della data del rilascio.
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 301 c.p.c. , denunciando la mancata interruzione del processo a seguito della
cancellazione dell’avv. COGNOME all’albo degli avvocati a far tempo dal 29 gennaio 2010, allorquando il Condominio non era rappresentato da un diverso difensore.
Il motivo è infondato.
Correttamente la Corte di merito ha affermato, in adesione al costante indirizzo di questa Corte, che il ricorrente non poteva dolersi della mancata interruzione del giudizio.
Nell’ipotesi di evento interruttivo che colpisca il difensore, gli atti successivamente compiuti, compresa la sentenza, devono considerarsi nulli (Cass. 4947/1999), ma la prosecuzione del processo, nonostante la morte o cancellazione del procuratore (o di altro evento assimilato) può essere fatta valere soltanto dalla parte colpita dall’evento interruttivo, essendo l’interruzione preordinata alla tutela di quest’ultima, a differenza dell’ estinzione del processo per mancata riassunzione, che può essere fatta valere da tutte le parti (Cass. 2340/1996; Cass. 18804/2021; Cass. 34867/2022).
3. Il terzo motivo deduce la violazione della L. 47 del 1985 e dell’art. 2730 c.c., per aver la sentenza ritenuto che il ricorrente avesse ammesso nella domanda di condono di aver realizzato le sopraelevazioni. Si osserva che nell’atto di acquisto dell’immobile le porzioni al quarto piano erano individuate come locali e nelle tabelle millesimali erano classificate tra le abitazioni. L ‘eliminazion e del vano caldaie e il successivo ampliamento erano state realizzate dal costruttore prima dell’adozione del regolamento, come ammesso dall’amministratore di condominio nel corso dell’int errogatorio (che aveva riferito, rispetto al vano caldaia, che da tempo i singoli condomini si erano dotati di propri impianti), opere di cui l’acquirente si era limitato a chiedere la regolarizzazione urbanistica, esponendo che la prima c.t.u. aveva escluso che l’acquirente avesse realizzato gli abusi e che il secondo c.t.u. aveva ritenuto il contrario, in base alla sola richiesta di sanatoria. Riguardo all’ampliamento del vano al
quarto piano la Corte avrebbe trascurato i rilievi fotografici che ne dimostravano l’esistenza sin dal 1987.
I l quarto motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo riguardo all’asserito ampliamento dell’attico nel corso del 2002, lamentando che il giudice non abbia tenuto conto del la lettera dell’amministratore del 22.05.02, precedente la citazione in giudizio, dalla quale già emergeva l’esistenza del volume ampliato.
Il quinto motivo deduce la violazione dell’art. 2934 c.c. , sostenendo che l’azione di riduzione in pristino era ormai prescritta poiché dalla realizzazione dei manufatti erano trascorsi oltre dieci anni dalla proposizione della domanda.
I motivi non sono fondati.
Il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare o dell’ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi e con le limitazioni previste dall’art. 1127 c.c., senza necessità di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti all’esercizio di tale diritto sono assimilabili ad una ” servitù altius non tollendi ” e possono esser costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può esser contenuta anche nel regolamento condominiale di tipo contrattuale (Cass. 15504/2000; Cass. 7956/2003; Cass. 21629/2009; Cass. 10916/2023). Analogamente i vincoli alle proprietà esclusive che impediscano una certa destinazione o la facoltà di modifiche, contenuti nel regolamento condominiale, danno vita a servitù reciproche (Cass. 1522/2023; Cass. 24526/2022).
Essendo sanzionato un divieto di sopraelevazione contenuto nel regolamento contrattuale, nessun rilievo poteva assumere che i locali fossero stati classificati come abitativi o che non fossero stati più destinati ad alloggio delle caldaie esclusive, non essendo chiesto il rispetto di un vincolo di destinazione, ma un divieto di mutamento dello stato di fatto.
Ne discende che, imponendo i divieti di modificare lo stato di fatto vere e proprie servitù validamente costituite con regolamento contrattuale, la richiesta di eliminazione delle opere abusive doveva esser indirizzata nei confronti del proprietario dell’ unità che si elevava su due piani e non verso l’autore materiale delle modifiche illegittime (cfr. in tema di servitù, Cass. 11601/2024; Cass. 1332/2014).
L’ azione di demolizione, di natura reale, soggiaceva alla prescrizione ventennale ex art. 1073 c.c., ossia la servitù poteva estinguersi solo per non uso ventennale, non trovando applicazione la prescrizione estintiva decennale.
In tale situazione nessuna delle circostanze asseritamente omesse appare decisiva, occorrendo accertare non quale fosse l’oggetto dell’acquisto effettuato dal ricorrente con il rogito del 1988, né chi fosse l’ autore delle opere, ma al più che quelle modifiche fossero anteriori all’ adozione del regolamento e alla costituzione del vincolo, vietando le sole modifiche dello stato di fatto cristallizzato a quella data, prova che competeva al ricorrente e che la Corte di merito ha ritenuto non raggiunta.
La datazione delle opere abusive è stata, difatti, valutata, non occorrendo che il giudice desse conto di tutte le risultanze istruttorie, restando esclusa la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.. (Cass. SU 8053/2014), né sarebbe lecito contrapporre le risultanze della prima c.t.u. alla seconda consulenza (che aveva stabilito che le modifiche erano state realizzate dagli acquirenti) poiché la prima relazione era stata ritenuta inutilizzabile dal tribunale in mancanza di tutti i litisconsorti ed era stata rinnovata, facendo regredire il processo alla fase iniziale, come dà conto lo stesso ricorrente (cfr. ricorso, pag. 17).
E’ esclusa la dedotta violazione di legge, poiché l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta (riguardo all’epoca di costruzione del manufatto) a mezzo delle risultanze di causa è
estranea all’esatta interpretazione della norma di legge e invade la tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 22912/2012; Cass. 18782/2005; Cass. 15499/2004; Cass. 11936.2003, n. 11936). Compete, inoltre, al giudice di merito l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, potendosi solo controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 9097/2017; Cass. 32505/2023; Cass. 10927/2024).
Non pertinente è il richiamo alla pronuncia a SU 3873/2018, riguardante la diversa ipotesi delle costruzioni su suolo comune e l’ eventuale accessione del manufatto alla proprietà comune, situazione ben diversa da quella in esame che investe il profilo della violazione del divieto di sopraelevazione prescritto dal regolamento di condominio.
6. Il sesto motivo deduce la violazione degli artt. 885 e 886 c.c. per aver la Corte di merito disposto la riduzione in pristino del muro divisorio sebbene l’innalzamento ad altezza prevista dal codice non incontrasse le limitazioni di cui agli artt. 18 e 19 del regolamento condominiale in mancanza di un vulnus al decoro architettonico, essendo l’opera destinata a contenere le immissioni di fumo provenienti dalle canne fumarie.
Il motivo è infondato.
Premesso che non è in contestazione che il divieto adottato con il regolamento riguardasse qualunque opera realizzata all’ultimo piano, inclusa l’elevazione del muro, potenzialmente lesiva del decoro architettonico, ed evidenziato che tale questione ha una stretta valenza interpretativa del regolamento stesso, non specificamente censurata in questa sede, specie per violazione dei criteri ermeneutici generali, invocabili anche per il regolamento
condominiale ((Cass. 11502/2022; Cass. 12579/2017) la censura, nei termini in cui è proposta, è infondata, poiché le facoltà concesse dall’art. 885 c.c.. sono suscettibili di essere incise da eventuali prescrizioni pattizie che facciano divieto di modificare in modo assoluto lo stato di fatto, vincolante per i condomini poiché regolarmente adottate con il consenso unanime degli interessati.
7. Il settimo motivo deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. per aver la Corte d’appello disposto la condanna del ricorrente, risultato parzialmente vittorioso, al pagamento del 50% delle spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio in favore del condominio. Il motivo è infondato.
La sentenza ha disposto la parziale compensazione delle spese di lite in considerazione dell’esito globale del giudizio, rispetto al quale il ricorrente era soccombente, sia pure parzialmente, non potendo porre le spese a carico del Condominio.
In caso di accoglimento parziale della domanda articolata in più capi il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte; la facoltà di compensazione resta comunque discrezionale e non è sindacabile in cassazione (Cass. 13121/2023).
Il ricorso è respinto, con aggravio di spese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in € 6000 ,00 compensi ed €. 200,00 per
esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione