Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19185 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 19185 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso 21995-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INTERMITE COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3242/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/07/2022 R.G.N. 3670/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
Oggetto
DIVIETO DI LICENZIAMENTO PANDEMIA COVID-19
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/07/2024
PU
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede e in sede di reclamo ex art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, ha ritenuto nullo il licenziamento intimato a NOME COGNOME, operaio elettricista -5° livello di cui al RAGIONE_SOCIALE, in data 30.6.2020 in quanto disposto in violazione del divieto di licenziamento previsto dall’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020 (convertito nella legge n. 27 del 2020) in considerazione della diffusione della pandemia Covid-19.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che il tenore lessicale della disposizione normativa (che esclude, dal divieto di licenziamento collettivo, le ipotesi di subentro presso un nuovo appaltatore), la ratio (volta a introdurre il blocco assoluto e temporaneo dei licenziamenti, salvo il caso in cui l’effetto del subentro di un nuovo appaltatore si sia effettivamente realizzato) e l’eccezionalità della normativa emergenziale inducano a ritenere che la sola deroga alla nullità del licenziamento collettivo e per giustificato motivo oggettivo sia l’avvenuto passaggio alle dipendenze del nuovo appaltatore, non essendo ammissibili (anche solo per esigenze di certezza dettate dall’emergenza) ulteriori interpretazioni atte ad estendere volta per volta e a seconda del caso concreto la fattispecie derogatoria; in ogni caso, la Corte territoriale ha ritenuto che il rifiuto del lavoratore di passare alle dipendenze del nuovo appaltatore non era ingiustificato né contrario a principi di correttezza e buona
fede (considerati: la mancata convocazione delle organizzazioni sindacali del settore metalmeccanico agli incontri sindacali preliminari la stipula dell’accordo sul passaggio del personale, le modifiche che avrebbe subito il rapporto di lavoro dell’Intermi te con riguardo al RAGIONE_SOCIALE di riferimento, al contenuto delle mansioni di cui alla nuova qualifica di assegnazione, all’anzianità di servizio); di conseguenza, ravvisata la violazione di una norma di carattere imperativo e di ordine pubblico, il giudice di merito ha dichiarato la nullità del licenziamento, ha ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore, con condanna al risarcimento del danno dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge e versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con tre motivi il lavoratore ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020 ( ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) avendo, la Corte territoriale, trascurato la vera ratio della norma, ossia quella di garantire al singolo lavoratore di non rimanere senza lavoro in tutte le situazioni in cui in colpevolmente sarebbe stato privato del proprio reddito; l’intenzione del legislatore nella fase emergenziale non è stata sicuramente quella di imporre il divieto di licenziare anche nel caso in cui lo status di disoccupato fosse imputabile ad un comportamento dello stesso lavoratore, a fronte della ‘ effettività’ dell’assunzione presso la società subentrante nell’appalto (effettiva proposta di assunzione risultante dal quadro probatorio acquisito). Inoltre, la norma deve essere interpretata nel
senso che l’eccezione (al divieto di licenziamento) concernente il subentro nell’appalto opera sia per i licenziamenti collettivi che per i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ( ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) avendo, la Corte territoriale, errato nel trascurare che la società subentrante nell’appalto aveva formulato al lavoratore una formale proposta di assunzione contenente tutti gli elementi necessari (proposta volontariamente ed immotivatamente rifiutata dall’COGNOME); inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto ricorrente un giustificato motivo di rifiuto del passaggio a nuova impresa senza aver acquisito prove al riguardo.
Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 cod.civ. e 18 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale, trascurato che la mancata assunzione è dipesa dal rifiuto del lavoratore e che, comunque, la violazione del precetto potrebbe semmai comportare la inefficacia del licenziamento (non la nullità) trattandosi di fenomeno eccezionale e transeunte.
Il ricorso non merita accoglimento.
L’art. 46 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 e modificato dall’art. 80 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, a sua volta convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77), rubricato «Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo» prevedeva: «
A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per cinque mesi e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020,
fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604. Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
1-bis. Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro ».
6. Dal tenore testuale della norma emerge che il legislatore dell’emergenza ha previsto il blocco dei licenziamenti con riguardo alle procedura di mobilità, ovvero a quelle che preludono al licenziamento collettivo dopo l’esperimento infruttuoso della cassa integrazione guadagni straordinaria, nonché direttamente alle procedure di licenziamento collettivo non precedute dall’intervento della cassa integrazione straordinaria (le ipotesi individuate dagli artt.
4, 5 e 24, legge n. 223 del 1991); in assenza di ulteriori specificazioni, non può che rientrare nelle ipotesi descritte anche il caso del licenziamento collettivo per cessazione di attività.
La Legge di conversione n. 27 del 2020 del d.l. n. 18/2020 ha provveduto ad aggiungere al primo periodo del comma 1 dell’art. 46 in esame, una specifica ipotesi di esclusione, dal blocco dei licenziamenti, consistente nei casi di subentro negli appalti. In particolare, a prescindere dalla riferibilità o meno di tale eccezione esclusivamente ai licenziamenti collettivi o anche a quelli individuali per giustificato motivo oggettivo (considerata la collocazione formale di detta eccezione nel primo periodo dell’art. 46, dedicato ai licenziamenti collettivi), aspetto non rilevante nel caso di specie, il tenore testuale della disposizione normativa rende chiaro che il divieto di licenziamento viene meno soltanto a seguito di una seria e concreta proposta di assunzione da parte del nuovo appaltatore. Invero, l’uso del verbo ‘sia riassunto’ rappresenta un dato letterale assolutamente univoco che disvela agevolmente la ratio perseguita dal legislatore dell’emergenza, ossia l’esigenza, di ordine pubblico, di evitare in via provvisoria che le generalizzate conseguenze economiche della pandemia si traducessero nella soppressione immediata di posti di lavoro, con immediata perdita della capacità reddituale dei dipendenti ed impossibilità di reimpiego.
In particolare, la condizione per la legittimità del licenziamento è rappresentata dalla nuova assunzione del lavoratore da parte dell’appaltatore subentrante; la mancata accettazione della proposta di assunzione da parte del lavoratore può essere rilevante solamente nella misura in cui sia ispirata a principi di correttezza e buona fede (incombendo, sul lavoratore, un onere di collaborazione al
buon fine della procedura), come nell’ipotesi in cui il nuovo rapporto di lavoro preveda un’apprezzabile modifica del trattamento economico e normativo. Invero, come già sottolineato dalla Corte Costituzionale, per effetto delle misure di contenimento della pandemia, nel periodo dell’emergenza sanitaria vi è stato l’arresto di fatto di numerose attività economiche con conseguente situazione di difficoltà di ampi strati della popolazione, per fronteggiare le quali è stata posta in essere un’ampia e reiterata normativa dell’emergenza con l’impiego di consistenti risorse economiche nella logica della solidarietà collettiva (sentenza n. 213 del 2021): in questa ottica, il legislatore ha inteso garantire alle fasce più deboli della popolazione la conservazione del trattamento economico e normativo, non solo attraverso la temporanea limitazione posta al potere di recesso del datore di lavoro (che ha trovato un bilanciamento nella previsione del ricorso ad una varietà di misure economiche di sostegno, a cominciare dalla cassa integrazione) ma altresì attraverso la possibilità di conservare il posto di lavoro in caso di cambio di gestione dell’appalto (con passaggio dei lavoratori all’impresa nuova aggiudicatrice). La ratio della disciplina in esame è, infatti, volta a garantire la salvaguardia occupazionale del personale in un particolare momento di emergenza e la sola lettura compatibile con tale ratio è quella di ritenere che la proposta di assunzione debba essere concreta ed effettiva nonché idonea a mantenere complessivamente invariate le condizioni economiche e normative di cui godeva il lavoratore, risultandone solamente così adeguatamente tutelata la sua posizione.
Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha correttamente interpretato l’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020 ove ha ritenuto che -al fine dell’operatività dell’eccezione
avverso il blocco dei licenziamenti -fosse rilevante esclusivamente l’avvenuto passaggio (di fatto) alle dipendenze della società subentrata nell’appalto, a prescindere da un profilo di illegittimità del rifiuto del lavoratore.
10. Peraltro, la stessa Corte territoriale ha effettuato una indagine, altresì, sulle motivazioni che hanno sorretto la mancata accettazione della proposta di passaggio alle dipendenze del nuovo appaltatore, e, pur a fronte di una proposta concreta ed effettiva, ha verificato -con accertamento insindacabile in questa sede di legittimità che il lavoratore avrebbe subito sostanziali modifiche alla regolamentazione del rapporto di lavoro (consistenti, essenzialmente, nella modifica del RAGIONE_SOCIALE di riferimento, nel riconoscimento di una qualifica avente ambito di professionalità e di autonomia deteriori, nel mancato adeguamento dell’anzianità di servizio). Sotto questo aspetto, il secondo motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile, non potendo, questa Corte, procedere a valutazione di merito e non essendo in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, avendo, la Corte territoriale, accertato -sulla base degli elementi probatori acquisiti – che la nuova assunzione presso la società subentrat a nell’appalto avrebbe modificato, in senso sfavorevole, le condizioni di lavoro per una molteplicità di aspetti (tutti elencati a pag. 8 della sentenza impugnata).
11. In conclusione, pur dovendo, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, c.p.c., correggersi la motivazione della sentenza impugnata, deve confermarsi il provvedimento, in quanto il dispositivo è conforme alla corretta interpretazione dell’art. 46 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, che richiede, al fine di inverare l’eccezione alla disciplina del blocco dei
licenziamenti, il passaggio effettivo alle dipendenze del nuovo appaltatore e .
12. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.
13. In tema di nullità contrattuale cosiddetta «virtuale», ossia non espressamente sancita dal legislatore, che rileva anche in ambito lavoristico, i principi affermati dalle S.U. di questa Corte (n. 26724 del 2007, più di recente ripresi e sviluppati dalla sentenza n. 8472 del 2022) hanno affermato che la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è decisiva per escludere che l’atto negoziale sia nullo, atteso che l’art. 1418, primo comma, cod. civ., è espressione di un principio di carattere generale, ed è volto ad impedire che possano essere produttivi di effetti negozi giuridici posti in essere in violazione di norme imperative. In particolare, è stato affermato che è ravvisabile la nullità del contratto in tutti i casi in cui esso, pur formalmente rispondente al tipo legale quanto ai requisiti richiesti dall’art. 1325 cod. civ., «è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire», evenienza, questa, che si verifica ogniqualvolta il legislatore faccia divieto di concludere il negozio o richieda la presenza di condizioni soggettive o oggettive per la sua stipulazione (Cass. S.U. n. 33719 del 2022; vedi anche Cass. S.U. n. 5556 del 2023).
14. Ebbene, considerato che i principi innanzi richiamati valorizzano i limiti posti dal legislatore all’esercizio del potere di autonomia dei privati e prospettano una ricostruzione dell’invalidità che tiene conto delle indicazioni che si traggono dall’art. 41 Cost. (secondo cui l’iniziativa economica RAGIONE_SOCIALE, pur libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana), è da ricondurre alle norme imperative, che determinano nullità ex art. 1418, primo comma, cod. civ., il divieto di
licenziamento posto dall’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020 in quanto trattasi di precetto con un contenuto specifico, preciso ed individuato nonché rispondente ad interessi pubblici fondamentali rispetto ai quali, secondo il bilanciamento operato dal legislatore, il potere di recesso del datore di lavoro viene ad essere temporaneamente subvalente rispetto alle esigenze di ordine pubblico emergenziale.
15. La violazione di una norma imperativa determina (come anche sottolineato dalla sentenza n. 22 del 2024 della Corte Costituzionale) la nullità della condotta vietata; nel caso di specie, pertanto, il licenziamento del lavoratore adottato durante il periodo di vigenza del divieto di recesso previsto dall’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020 deve ritenersi nullo, con conseguente applicazione -ratione temporis -dell’art. 18, primo comma, della legge n. 300 del 1970.
16. Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: la nullità del licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo intimato durante il periodo di divieto di recesso previsto dall’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020 è esclusa solamente da ll’assunzione del lavoratore presso l’impresa che è subentrata nell’appalto e dall’insussistenza di un rifiuto legittimo del lavoratore.
17. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
18. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 4 luglio 2024.