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Divieto di licenziamento: quando è nullo in appalto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19185/2024, ha stabilito che il divieto di licenziamento introdotto durante la pandemia COVID-19 si applica anche nei casi di cambio appalto. Se il lavoratore rifiuta legittimamente l’assunzione da parte della nuova impresa a causa di condizioni contrattuali peggiorative, il licenziamento intimato dall’azienda uscente è nullo. La Corte ha chiarito che l’eccezione alla norma emergenziale richiede un’effettiva riassunzione e non una semplice proposta di lavoro, tutelando così il lavoratore da un peggioramento del trattamento economico e normativo.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Divieto di Licenziamento in Cambio Appalto: Quando il Rifiuto del Lavoratore è Legittimo

La normativa emergenziale sul divieto di licenziamento, introdotta per fronteggiare la crisi economica legata alla pandemia di COVID-19, ha sollevato complesse questioni interpretative, specialmente nei casi di cambio appalto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 19185 del 2024, offre chiarimenti cruciali su questo tema, stabilendo che il licenziamento è nullo se il lavoratore rifiuta un’offerta peggiorativa da parte della nuova azienda appaltatrice. Analizziamo nel dettaglio la decisione.

I Fatti del Caso: Il Licenziamento in Pieno Blocco Pandemico

Un lavoratore, operaio elettricista qualificato, veniva licenziato il 30 giugno 2020 dalla sua azienda a seguito della perdita di un appalto. Il licenziamento avveniva in pieno periodo di vigenza del blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. L’azienda uscente sosteneva la legittimità del recesso in virtù dell’eccezione prevista per i casi di subentro di un nuovo appaltatore, al quale il lavoratore era stato offerto un nuovo contratto di lavoro. Tuttavia, il lavoratore aveva rifiutato tale proposta, ritenendola peggiorativa rispetto alle sue condizioni precedenti.

La Decisione della Corte d’Appello

In riforma della decisione di primo grado, la Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato la nullità del licenziamento. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che l’eccezione al divieto operasse solo in caso di effettivo passaggio dei dipendenti alla nuova azienda. Inoltre, avevano accertato che il rifiuto del lavoratore era giustificato da una serie di motivazioni concrete, tra cui:
* La modifica del CCNL di riferimento.
* L’assegnazione di una qualifica con minor professionalità e autonomia.
* Il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata.
Di conseguenza, la Corte territoriale aveva ordinato la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento del danno.

L’Analisi della Cassazione e il Divieto di Licenziamento

L’azienda ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sola formulazione di una proposta di assunzione da parte della nuova impresa fosse sufficiente a rendere legittimo il licenziamento, a prescindere dall’accettazione del lavoratore. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la nullità del licenziamento e fornendo un’interpretazione rigorosa della normativa emergenziale.

Le Motivazioni: La “Ratio” della Norma e il Rifiuto Legittimo

La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali: l’interpretazione letterale e teleologica della norma e la valutazione della legittimità del rifiuto del lavoratore.

L’Eccezione al Divieto di Licenziamento: Solo con Assunzione Effettiva

I giudici hanno sottolineato che l’art. 46 del D.L. n. 18/2020 utilizzava l’espressione “sia riassunto”, indicando chiaramente che la condizione per derogare al blocco dei licenziamenti era l’effettiva costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, non la mera esistenza di una proposta. La ratio della norma era quella di garantire la stabilità occupazionale e reddituale in un momento di eccezionale crisi. Permettere il licenziamento sulla base di una semplice offerta, potenzialmente peggiorativa, avrebbe vanificato questo obiettivo di protezione sociale.

La Nullità del Licenziamento Contrario a Norme Imperative

La Corte ha ribadito che il divieto di licenziamento pandemico costituiva una norma imperativa di ordine pubblico, posta a tutela di interessi generali. La sua violazione determina una “nullità virtuale” dell’atto di recesso, anche se non espressamente sanzionata con la nullità. Il licenziamento intimato durante il periodo di vigenza del divieto è, pertanto, un atto giuridico nullo e privo di effetti, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Le Conclusioni: Implicazioni per Lavoratori e Aziende

La sentenza n. 19185/2024 stabilisce un principio di diritto fondamentale: l’eccezione al blocco dei licenziamenti nei cambi di appalto è subordinata non solo all’assunzione del lavoratore da parte della nuova impresa, ma anche all’assenza di un rifiuto legittimo da parte dello stesso. Un rifiuto è considerato legittimo quando la nuova proposta contrattuale comporta un peggioramento sostanziale delle condizioni economiche e normative (es. mansioni, qualifica, CCNL, anzianità). Questa decisione rafforza la tutela dei lavoratori, impedendo che le clausole sociali nei cambi di appalto vengano utilizzate per eludere norme imperative e imporre condizioni di lavoro deteriori.

Il divieto di licenziamento durante la pandemia si applicava anche in caso di cambio appalto?
Sì, ma con un’eccezione. La legge prevedeva che il divieto non si applicasse se il personale interessato dal recesso veniva effettivamente riassunto dal nuovo appaltatore. Tuttavia, come chiarito dalla sentenza, questa eccezione non opera se il lavoratore rifiuta legittimamente l’assunzione.

Un lavoratore può legittimamente rifiutare l’assunzione presso il nuovo appaltatore senza perdere la tutela contro il licenziamento?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il rifiuto è legittimo se la proposta di assunzione comporta modifiche sostanziali e peggiorative delle condizioni di lavoro, come un cambio di CCNL, un declassamento professionale o la perdita dell’anzianità di servizio. In questo caso, il licenziamento intimato dall’azienda uscente rimane nullo.

Cosa succede se un licenziamento viene intimato in violazione del divieto pandemico?
Il licenziamento è considerato nullo perché viola una norma imperativa di ordine pubblico. La conseguenza è l’applicazione della tutela reintegratoria piena prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che comporta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e il risarcimento di tutti i danni subiti dal giorno del licenziamento a quello della reintegra.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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