Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9048 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9048 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23770-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME, NOME COGNOME, che li rappresentano e difendono;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3417/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/10/2023 R.G.N. 1563/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Divieto di licenziamento normativa emergenziale Covid
R.G.N. 23770/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
Rilevato che:
1. La Corte d’appello di Roma ha accolto il reclamo proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato nulli i licenziamenti ai medesimi intimati dall’Istituto di Vigilanza dell’Urbe spa (d’ora in av anti anche ‘RAGIONE_SOCIALE‘) il 18 marzo 2020 ed ha condannato la società alla reintegra e al risarcimento del danno commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino a quella di reintegra, ai sensi dell’art. 18, commi 1 e 2, L. 300 del 1970, come modificato dalla L. 92 del 2012.
2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha qualificato la lettera del 18 marzo 2020 inviata ai lavoratori come intimazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo; ha rilevato che a quella data era in vigore il decreto-legge n. 18 de l 17.3.2020 il cui art. 46, nel testo originario, prevedeva: ‘A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604’; ha aggiunto che solo in sede di conversione ad opera della legge n. 27 del 2020, e con effetto ex nunc, erano state inserite dopo il primo periodo le seguenti modif iche e aggiunte: ‘… fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale
di lavoro o di clausola del contratto d’appalto’; che la fattispecie oggetto di causa doveva considerarsi regolata dal testo originario del citato art. 46, dovendo aversi riguardo alla disposizione in vigore al momento in cui la lettera di licenziamento era pervenuta ai destinatari (18.3.2020); che, nel caso di specie, come affermato dalla società subentrata nell’appalto prima gestito dalla RAGIONE_SOCIALE (e a cui erano stati addetti i due lavoratori), non vi era alcuna norma di legge né clausola sociale che prevedesse un obbligo di assunzione in capo alla subentrante e vi era stato un confronto sindacale al solo scopo di conservare, ove possibile, i livelli occupazionali; che alla data del 6.3.2020, data di invio dei provvedimenti espulsivi, non vi era alcuna certezza che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe assunto, quale subentrante nell’appalto, i due lavoratori attuali controricorrenti, per cui la perdita del posto di lavoro, che la normativa emergenziale aveva inteso arginare, era un evento in quel momento concreto e attuale. Secondo i giudici di appello non era ostativa alla statuizione di condanna alla reintegra e al risarcimento del danno la pendenza della procedura di concordato preventivo nei confronti della società, in base al tenore dell’art. 168 L.F.
Avverso la sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 46,
decretolegge n. 18 del 2020 e dell’art. 12 delle preleggi, per avere la Corte d’appello errato nell’interpretare la citata disposizione come tale da ricomprendere nel divieto di licenziamento anche il recesso connesso ad ipotesi di cd. cambio appalto.
La ricorrente allega di avere, a seguito di comunicazione da parte della committente RAGIONE_SOCIALE dell’assegnazione dell’appalto ad altre società, attivato tempestivamente la procedura di cambio appalto prevista dal contratto collettivo applicato ai rapporti di lavoro; di avere sottoscritto, in data 4.3.2020, accordi sindacali con la Italpol RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e le organizzazioni sindacali (che ha trascritto per estratto alle pp. 19-20 del ricorso) in cui era cristallizzato il diritto dei lavoratori all’assunzione da parte delle società subentranti nell’appalto e di avere pertanto comunicato ai lavoratori, con lettere del 6.3.2020, il passaggio alle dipendenze delle stesse.
In diritto, la società censura l’interpretazione data dai giudici di appello all’art. 46 del decreto -legge n. 18/2020 ed assume che, anche il testo originario (anteriore alle modifiche apportate in sede di conversione), doveva essere letto nel senso di escludere dal divieto di licenziamento i casi di ‘recesso atipico’, cioè di risoluzione dei rapporti di lavoro a seguito di cambio appalto, ciò in coerenza con la ratio dell’intervento legislativo finalizzato ad evitare la perdita di posti lavoro nel periodo pandemico, perdita non configurabile in presenza di un obbligo di assunzione da parte di chi subentra nell’appalto.
Il motivo di ricorso non è fondato.
La sentenza poggia sul seguente percorso argomentativo: l’art. 46 del decreto -legge n. 18 del 2020, nel testo vigente al momento del licenziamento (18.3.20), prevedeva un divieto di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo senza alcuna deroga per le ipotesi di recesso connesso ad un cd. cambio appalto, deroga introdotta solo con la legge di conversione; il licenziamento intimato in occasione della perdita dell’appalto con subentro in esso di altra società non costituisce un recesso atipico; nel caso in esame neanche vi è prova del fatto che fosse stata attuata una procedura di cambio appalto, con obbligo della subentrante di assunzione dei lavoratori ad esso addetti, imposta da previsioni normative o clausole sociali contenute nel contratto collettivo applicato.
La prima statuizione poggia sul chiaro tenore letterale del citato art. 46 e sul prevalente indirizzo giurisprudenziale secondo cui la disposizione contenuta in un decreto-legge e sostituita o abrogata dalla legge di conversione perde efficacia ex tunc ; nell’ipotesi, invece, di mera modificazione d’una disposizione del decreto-legge, si verifica la totale conversione del decreto stesso e la nuova norma acquista efficacia ex nunc (v. Cass. n. 30246 del 2018; n. 9386 del 2016 e precedenti ivi citati).
Correttamente i giudici di appello hanno fatto riferimento, al fine di valutare la legittimità del licenziamento, al testo originario del decreto-legge, attribuendo efficacia solo ex nunc alle modifiche introdotte dalla legge di conversione (materialmente inserite nel primo periodo concernente le procedure di licenziamento collettivo) e attinenti al fenomeno del cd. cambio appalto.
Alla luce di ciò, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto vigente il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo alla data del 18.3.2020 e quindi nullo il recesso intimato agli attuali controricorrenti perché in violazione di tale divieto.
La sanzione della nullità discende dal carattere di norma imperativa del divieto di licenziamento introdotto dalla legislazione emergenziale in quanto precetto con un contenuto specifico, preciso ed individuato nonché rispondente ad interessi pubblici fondamentali rispetto ai quali, secondo il bilanciamento operato dal legislatore, il potere di recesso del datore di lavoro viene ad essere temporaneamente subvalente rispetto alle esigenze di ordine pubblico emergenziale (così Cass. n. 19185 del 2024).
Non ha pregio la pretesa di parte ricorrente di qualificare il licenziamento intimato in occasione della cessazione dell’appalto come recesso sui generis, sottratto quindi alla disciplina di tutela del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, poiché la giurisprudenza è ferma, al contrario, nel sostenere che la tutela per il licenziamento si affianca e si aggiunge in tal caso a quella fornita dalle clausole sociali.
Questa Corte ha affermato che l’esistenza di una clausola sociale idonea a consentire l’assunzione dei lavoratori, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione “ex novo” di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, non esclude, ma si aggiunge, alla tutela apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario. Neppure la effettiva costituzione di un nuovo rapporto implica,
di per sé, rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso (Cass. n. 29922 del 2018).
16. In modo analogo e a proposito dell’esclusione dell’applicazione della procedura di cui all’art. 24 della legge n. 223 del 1991, espressamente prevista dall’art. 7, comma 4 bis, del decreto-legge n. 348 del 2007, introdotto dalla legge di conversione n. 31 del 2008, si è precisato che la mancata applicazione delle tutele per il licenziamento presuppone la necessaria riassunzione del lavoratore nell’azienda subentrante, a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, o a seguito di accordi collettivi con le predette organizzazioni (v. Cass. n. 20772 del 2018) e tale principio è stato ribadito anche a proposito dei licenziamenti intimati nella vigenza del divieto connesso all’emergenza pandemica (Cass. n. 19185 del 2024). 17. In quest’ultima sentenza si è precisato che il tenore testuale della disposizione normativa rende chiaro che il divieto di licenziamento viene meno soltanto a seguito di una seria e concreta proposta di assunzione da parte del nuovo appaltatore del licenziamento la nuova assunzione del lavoratore da parte e che quindi costituisce condizione per la legittimità dell’appaltatore subentrante.
Nel caso in esame, in cui si discute di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo intimato in connessione con un cambio appalto, non vi è neppure prova dello svolgimento di una procedura di cambio appalto disciplinata da apposite clausole sociali. La sentenza ha dato atto dell’esito negativo di tale accertamento (sentenza, p. 5) e le censure articolate sul punto dalla ricorrente, in quanto volte a contrapporre una diversa ricostruzione in fatto e una
differente valutazione delle prove, devono considerarsi inammissibili poiché estranee al perimetro del vizio di violazione di legge, che presuppone un accertamento in fatto incontestato (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del 2018; n. 241 55 del 2017; n. 195 del 2016), ed anche dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cass., S.U., n. 8053 e n. 8054 del 2014).
Deve quindi ribadirsi che l’art. 46, primo comma, del decreto-legge n. 18 del 2020, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge di conversione n. 27 del 2020, prevedeva il divieto di licenziamento collettivo e per giustificato motivo oggettivo senza alcuna deroga per le ipotesi di recesso connesso ad un cd. cambio appalto, deroga introdotta solo con la legge di conversione mediante una previsione inserita nel primo periodo concernente le procedure di licenziamento collettivo ed avente, comunque, efficacia ex nunc.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 4 febbraio 2025