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Divieto di licenziamento: nullo se in cambio appalto

La Corte di Cassazione ha confermato la nullità di due licenziamenti per giustificato motivo oggettivo avvenuti durante un cambio d’appalto. La decisione si basa sul fatto che il licenziamento è stato intimato il 18 marzo 2020, quando era in vigore il divieto di licenziamento assoluto previsto dalla normativa emergenziale Covid, senza le deroghe introdotte successivamente. La Corte ha stabilito che la legge applicabile è quella in vigore al momento del recesso e che la potenziale riassunzione da parte della nuova azienda non sana la violazione della norma imperativa.

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Divieto di licenziamento: la Cassazione conferma la nullità in caso di cambio appalto durante l’emergenza Covid

La normativa emergenziale emanata durante la pandemia ha introdotto misure eccezionali a tutela dei lavoratori, tra cui il noto divieto di licenziamento per motivi economici. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha recentemente affrontato un caso emblematico, chiarendo la portata di tale divieto in una situazione di cambio appalto. La Corte ha stabilito che la legge applicabile è quella vigente al momento del recesso, confermando la nullità di un licenziamento intimato quando la norma non prevedeva ancora deroghe specifiche.

I fatti di causa

La vicenda riguarda due lavoratori di una società di vigilanza, licenziati per giustificato motivo oggettivo il 18 marzo 2020, a seguito della perdita di un appalto. I lavoratori hanno impugnato il licenziamento, sostenendo che fosse stato intimato in violazione del divieto introdotto appena il giorno prima dal Decreto-Legge n. 18/2020. La Corte d’Appello di Roma ha dato loro ragione, dichiarando nulli i licenziamenti e ordinando la reintegra e il risarcimento del danno. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il recesso non fosse un licenziamento classico, ma un atto connesso al cambio appalto, e che quindi dovesse essere escluso dall’ambito di applicazione del divieto.

La questione giuridica: il divieto di licenziamento e il cambio appalto

Il fulcro della questione risiede nell’interpretazione dell’art. 46 del D.L. n. 18/2020. Nella sua versione originale, in vigore al momento dei fatti, la norma prevedeva un divieto assoluto di recesso per giustificato motivo oggettivo, senza alcuna eccezione. Solo in sede di conversione in legge, sono state introdotte delle deroghe, tra cui quella per i licenziamenti in caso di cambio appalto con riassunzione del personale da parte della nuova azienda. La società ricorrente ha sostenuto che, anche prima della modifica esplicita, la ratio della norma (evitare la perdita di posti di lavoro) consentisse di escludere dal divieto i casi in cui la continuità occupazionale era garantita dal passaggio al nuovo appaltatore.

L’analisi della Corte sul divieto di licenziamento

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi della società, basando la sua decisione sul principio tempus regit actum (l’atto è regolato dalla legge del suo tempo). I giudici hanno sottolineato che al 18 marzo 2020, il tenore letterale della norma era inequivocabile: il divieto era totale. Le modifiche e le deroghe introdotte successivamente dalla legge di conversione hanno avuto efficacia ex nunc, cioè solo per il futuro, e non potevano sanare un atto che era illegittimo al momento in cui è stato compiuto. Pertanto, il licenziamento era avvenuto in violazione di una norma imperativa e doveva essere considerato nullo.

La tutela aggiuntiva delle clausole sociali

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda il rapporto tra il divieto di licenziamento e le cosiddette ‘clausole sociali’, che spesso prevedono l’obbligo per la nuova azienda appaltatrice di assumere i lavoratori della precedente. La Cassazione ha chiarito che questa forma di tutela è aggiuntiva, e non sostitutiva, rispetto a quella contro il licenziamento illegittimo. Il lavoratore conserva pienamente il diritto di impugnare il recesso per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto di lavoro originario, anche se gli viene offerta una nuova assunzione.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su un percorso argomentativo chiaro. In primo luogo, ha evidenziato che il testo originario dell’art. 46 del D.L. n. 18/2020 non ammetteva interpretazioni estensive o deroghe non previste. Il divieto era posto a tutela di un interesse pubblico fondamentale durante un’emergenza nazionale, rendendo la norma di carattere imperativo. La violazione di una norma imperativa comporta la nullità dell’atto. In secondo luogo, la Corte ha ribadito il principio consolidato secondo cui le modifiche a un decreto-legge introdotte dalla legge di conversione hanno efficacia solo ex nunc, a meno che non sia espressamente prevista la retroattività. Di conseguenza, il licenziamento, intimato il 18.03.2020, doveva essere valutato esclusivamente sulla base della legge in vigore in quella data. Infine, i giudici hanno specificato che la tutela prevista in caso di cambio appalto (la riassunzione) non elimina il diritto del lavoratore di contestare il licenziamento subito dal datore di lavoro originario, trattandosi di due tutele distinte e cumulabili.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto del lavoro: la chiarezza e l’imperatività delle norme poste a protezione dei lavoratori, specialmente in contesti di emergenza. La decisione conferma che non è possibile applicare retroattivamente deroghe a un divieto legale e che la tutela del posto di lavoro contro un licenziamento illegittimo prevale, anche in presenza di meccanismi, come il cambio appalto, che potrebbero garantire la continuità occupazionale. Questa pronuncia serve da monito per i datori di lavoro sulla necessità di un’applicazione rigorosa delle normative vigenti al momento delle proprie decisioni.

Un licenziamento per cambio appalto era legittimo durante il primo lockdown Covid?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche se connesso a un cambio appalto, era nullo se intimato dopo il 17 marzo 2020, perché in violazione del divieto assoluto introdotto dal testo originario del D.L. n. 18/2020.

La successiva modifica della legge, che ha introdotto deroghe per il cambio appalto, ha sanato i licenziamenti precedenti?
No. La modifica legislativa ha avuto efficacia ‘ex nunc’ (solo per il futuro) e non ‘ex tunc’ (retroattiva). Pertanto, non ha avuto alcun effetto sui licenziamenti avvenuti prima della sua entrata in vigore.

La possibilità per il lavoratore di essere riassunto dalla nuova azienda appaltatrice rende valido il licenziamento intimato dalla vecchia?
No. La tutela offerta dalle clausole sociali (che prevedono la riassunzione in caso di cambio appalto) si aggiunge, ma non sostituisce, la tutela contro il licenziamento illegittimo. Il lavoratore ha comunque il diritto di impugnare il recesso per far valere la continuità giuridica del rapporto di lavoro originario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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