Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16079 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16079 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 05168/2024 R.G.
proposto da
, rappresentato e difeso dall’avv.
NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti; W.Z.
ricorrente
contro
Prefettura di Torino , in persona del Prefetto pro tempore , Ministero dell’ Interno , in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO
contro
ricorrenti
avverso la sentenza del Giudice di pace di Torino n. 3934/2023, pubblicata il 19/12/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di Pace di Palermo, con il provvedimento indicato in epigrafe, rigettava l’ impugnazione proposta da NOME
, cittadino del Perù, contro il decreto di espulsione a lui notificato
il 23/02/2023 , emesso dal Prefetto ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. b, d.lgs. n. 286 del 1998.
Tra i motivi di ricorso, il cittadino straniero aveva dedotto di avere diritto di restare nel territorio italiano, in applicazione dell’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998, essendo divenuto padre di un bambino nato nel mese di dicembre 2022 dalla sua convivente, che aveva raggiunto nel mese di febbraio 2022, con la quale conviveva insieme al figlio neonato e all’altro figlio più grande nato dalla coppia.
Sul punto, il Giudice di P ace aveva respinto l’impugnazione, rilevando che mancava in atti la certificazione anagrafica dello stato di famiglia, rilevante ai fini della prova della convivenza e del coniugio con la madre del minore, e ritenendo che il bambino avesse più di sei mesi, aggiungeva che il ricorrente non poteva comunque invocare il divieto temporaneo di espulsione e che anche la compagna era divenuta priva di un valido titolo di soggiorno, avendo ottenuto il permesso ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998, che era oramai scaduto con il raggiungimento dei sei mesi di età del neonato.
Il cittadino straniero ha proposto ricorso per cassazione avverso tale provvedimento, affidato a un solo motivo di ricorso.
Gli intimati si sono difesi con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo e unico motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere ritenuto il Giudice di pace che il ricorrente non poteva essere espulso nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.
Il cittadino straniero ha, in particolare evidenziato che, con il primo motivo di ricorso davanti al Giudice di Pace aveva rappresentato l’illegittimità dell’impugnato provvedimento , perché, nel momento in cui aveva ricevuto la notifica dello stesso, si trovava nella condizione di inespellibilità di cui all’art. 19, c omma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998, essendo padre di un minore di età inferiore ai 6 mesi, peraltro convivente
con la madre del neonato, tenuto conto della sentenza n. 376 del 2000 della Corte costituzionale, che aveva esteso l’applicabilità di tale tutela, originariamente prevista solo per la madre, anche al padre del minore nascituro e/o infante, non essendovi ragione per non applicarla anche al padre del minore non coniugato con la madre di quest ‘ ultimo.
In ordine al rilievo dato dal Giudice di Pace alla mancata produzione dello stato di famiglia, il ricorrente ha evidenziato che, essendo irregolare, non poteva procedere all’iscrizione anagrafica, né poteva comparire nello stato di famiglia della compagna, aggiungendo che, comunque, la convivenza non era condizione necessaria per l’applicazione del divieto di espulsione invocato.
Il ricorrente ha, poi, aggiunto, che, contrariamente da quanto affermato dal Giudice di Pace, il figlio della coppia non era nato a giugno 2022 ma a dicembre 2022 (come risultava dal doc. n. 6 del ricorso originario, contenuto nel fascicolo di parte del procedimento di primo grado di cui all ‘allegato B al ricorso per cassazione) e che, pertanto, quando era stato notificato il decreto di espulsione, il bambino non aveva ancora sei mesi ed era ancora applicabile l’art. 19, comma 2, lett. d. d.lgs. n. 286 del 1998.
I controricorrenti hanno illustrato la ritenuta infondatezza del ricorso, nulla argomentando in ordine al dedotto errore di individuazione della data di nascita del figlio del ricorrente, ma evidenziando che la sentenza della Corte costituzionale n. 376 del 2000 aveva subordinato il divieto di espulsione del padre del neonato a due, concorrenti, condizioni: 1) lo stato di coniuge della madre del minore; 2) la condizione di convivenza.
Il motivo di ricorso è fondato sia pure nei termini di seguito evidenziati.
3.1. Occorre prima di tutto rilevare la fondatezza della doglianza nella parte in cui è dedotto l’errore in cui è incorso il Giudice di Pace nel ritenere che il figlio del ricorrente fosse nato nel mese di giugno 2022.
Sebbene la parte non abbia espressamente richiamato il disposto dell’art 360, comma 1, n. 5, c.p.c., essendo, in rubrica, le censure convogliate tutte nella dedotta violazione di legge, è comunque inequivoca la doglianza, così come chiaramente illustrata nella parte espositiva del ricorso.
Come più volte evidenziato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina ex se l’inammissibilità di questo se la Corte può agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni dell’ impugnazione che chiarisce e qualifica il contenuto della censura (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7981 del 30/03/2007; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14026 del 03/08/2012; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 12690 del 23/05/2018; v. anche Cass., Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
Dalle allegazioni e dalle produzioni della parte davanti al Giudice di Pace, richiamate e documentate nel ricorso per cassazione, risulta effettivamente che il figlio del ricorrente è nato a dicembre 2022 (doc. 6 del fascicolo di parte di primo grado, richiamato nel ricorso per cassazione e depositato unitamente al ricorso stesso).
Il Giudice di pace ha invece fatto riferimento al doc. 6 del fascicolo del ricorrente, e cioè l’estratto per riassunto di nascita del figlio del ricorrente, ma invece di riportare la corretta data di nascita, ivi indicata, e cioè il , ha affermato che il bambino risultava nato il (p. 2 della sentenza impugnata).
Come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 5792 del 05/03/2024), il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale
rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.
Nella specie, tale errata lettura si sostanzia in un errore di fatto, che ha impedito al Giudice di Pace di riscontrare che effettivamente il neonato era venuto alla luce il .
Tale circostanza, che è stata inequivocamente oggetto di trattazione nel corso del giudizio, essendo il ricorso originario incentrato su di essa, è senza dubbio decisiva, perché il Giudice di Pace ha fondato la decisione, oltre che sulla ritenuta mancata prova del coniugio e della convivenza, anche sulla ritenuta nascita del figlio nel mese di giugno 2022. In conseguenza di tale erronea considerazione, il giudice ha ritenuto che erano già trascorsi i primi sei mesi di vita del bambino, al momento della notifica del provvedimento di espulsione, avvenuta il 23/02/2023, mentre invece, se avesse tenuto conto, come avrebbe dovuto, che il bambino era, in realtà, nato nel mese di dicembre 2022, avrebbe potuto giungere a diverse conclusioni, sia con riguardo alla posizione giuridica del ricorrente sia con riguardo a quella dell ‘ asserita convivente (cui era stato rilasciato il titolo di soggiorno ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998, dal giudice erroneamente ritenuto scaduto per il superamento dei sei mesi di età del bambino).
3.2. Il ricorrente ha, inoltre, censurato la decisione impugnata deducendo che non poteva essere espulso, perché era padre di un minore nato in Italia nel mese di dicembre 2022, partorito dalla sua convivente, cittadina straniera soggiornante anch’essa in Italia.
In particolare il cittadino straniero ha dedotto: di essere entrato in Italia il , raggiungendo la compagna ed il loro primo figlio, quivi già soggiornanti da circa 3 mesi; in data 29 novembre 2022, allorché
era in stato di gravidanza, la compagna del ricorrente aveva richiesto, e ottenuto, il rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche ex artt. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1999 e 28 d.P.R. n. 394 del 1999; in data , era nato a il secondo figlio della coppia, quest’ultimo veniva immediatamente riconosciuto dal ricorrente, che viveva con la compagna un’unità immobiliare sita in , insieme al neonato e al loro primo figlio. Q.S.
3.3. Com’è noto, l’art. 19 , comma 2, lett. d. d.lgs. n. 286 del 1998, statuisce quanto segue: «2. Non è consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’articolo 13, comma 1, nei confronti: … d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. … »
3.4. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 376/2000 (Corte cost., 27 luglio 2000 n. 376), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, lettera d, l. n. 40 del 1998, poi sostituito dall’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non estendeva il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.
Il giudizio in cui è stata sollevata la questione di costituzionalità appena richiamata riguardava il ricorso proposto da un cittadino albanese avverso il decreto di espulsione amministrativa emesso nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. b, d.lgs. n. 286 del 1998 . A sostegno della domanda il ricorrente aveva dichiarato di risiedere in Italia da circa dieci anni, di svolgere attività di collaboratore domestico, di essere coniugato e convivente con una sua concittadina in stato di gravidanza a rischio di aborto prematuro, di esser stato in possesso di un regolare permesso di soggiorno e di non averlo potuto rinnovare per cause di forza maggiore.
Nella motivazione della sentenza, la Corte costituzionale ha evidenziato di avere già esaminato la particolare ratio delle norme che prevedono benefici a favore della donna nel periodo immediatamente
antecedente e in quello successivo al parto nella sentenza n. 1 del 1987, ove aveva osservato che la norma in materia di astensione obbligatoria dal lavoro della donna che ha partorito, se ha «certamente il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto…. considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, e tanto non solo per ciò che attiene i bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino» . La stessa Corte ha, poi, rilevato che la disposizione in questione si colloca – nel quadro delle disposizioni che vietano l’espulsione ed il respingimento dello straniero per ragioni di carattere umanitario e più in generale all’interno della disciplina sull’ingresso ed il soggiorno degli stranieri – nella stessa peculiare posizione. Anche in questo caso, infatti, viene in rilievo, oltre alla tutela della salute della donna straniera incinta o che abbia partorito da non oltre sei mesi – situazione soggettiva che come tale giustificherebbe ex se una tutela rafforzata – l’esigenza di assicurare una speciale protezione alla famiglia in generale, ed ai figli minori in particolare, che hanno il diritto di essere educati all’interno del nucleo familiare per conseguire un idoneo sviluppo della loro personalità, protezione che non può non ritenersi estesa anche agli stranieri, che si trovino a qualunque titolo sul territorio dello Stato, perché il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della famiglia, sono diritti fondamentali della persona che spettano, in via di principio, anche agli stranieri.
La Corte costituzionale ha, inoltre, rilevato che i principi di protezione dell’unità familiare, con specifico riguardo alla posizione assunta nel nucleo dai figli minori in relazione alla comune responsabilità educativa di entrambi i genitori, non trovano riconoscimento solo nella nostra Costituzione ma sono affermati anche da alcune disposizioni di trattati internazionali ratificati dall’Italia, quali; gli artt. 8 e 12 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla l. n. 848 del 1955; l’art. 10 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e l’art. 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, ratificati e resi esecutivi dalla l. n. 881 del 1977; gli artt. 9 e 10 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva dalla l. n. 176 del 1991, n. 176.
Dal complesso di queste norme, pur nella varietà delle loro formulazioni, la Corte costituzionale ha evidenziato che emerge un principio, pienamente rinvenibile negli artt. 29 e 30 Cost., in base al quale alla famiglia deve essere riconosciuta la più ampia protezione ed assistenza, in particolare nel momento della sua formazione ed in vista della responsabilità che entrambi i genitori hanno per il mantenimento e l’educazione dei figli minori, aggiungendo che tale assistenza e protezione non può non prescindere dalla condizione, di cittadini o di stranieri, dei genitori, trattandosi di diritti umani fondamentali, cui può derogarsi solo in presenza di specifiche e motivate esigenze volte alla tutela delle stesse regole della convivenza democratica.
In tale quadro, secondo la Corte costituzionale, la norma in esame, pur apprestando nella particolare materia dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio dello Stato una tutela adeguata nei riguardi della donna incinta e di colei che ha partorito da non oltre sei mesi, omette di considerare proprio quelle ulteriori esigenze del minore, e cioè il suo diritto ad essere educato, tutte le volte che ciò sia possibile, in un nucleo familiare composto da entrambi i genitori, e non dalla sola madre, consentendo l’espulsione del marito convivente, mettendo oltretutto la donna straniera che si trova nel territorio dello Stato in una alternativa drammatica tra il seguire il marito espulso all’estero e l’affrontare il parto ed i primi mesi di vita del figlio senza il sostegno del coniuge, e questo proprio nel momento in cui si va formando quel nuovo più ampio nucleo familiare che la legge, in forza degli artt. 29 e 30 Cost., deve appunto tutelare.
Richiamando un precedente pronuncia (Corte cost., Sentenza n. 341 del 15/07/1999), la stessa Corte costituzionale ha evidenziato che esiste un principio di paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi, in forza del quale deve ritenersi costituzionalmente illegittima la norma de qua nella parte in cui non prevede un divieto di espulsione anche nei riguardi del marito convivente della donna incinta o della donna che abbia partorito da non oltre sei mesi. La presenza del padre è ritenuta, infatti, essenziale nel delicato periodo preso in considerazione dal legislatore quando ha stabilito, nella norma esaminata, la particolare tutela della madre e del bambino e la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale ha già più volte sottolineato come numerose norme, a partire dagli anni ’70, abbiano dato sempre maggiore realizzazione ai valori costituzionalmente garantiti della parità fra uomini e donne, della funzione sociale della maternità, avuto riguardo ai superiori interessi del bambino come oggetto di tutela diretta, quando non prevalente ed esclusiva (in particolare, Corte cost., Sentenza n. 179 del 21/04/1993).
È stata quindi naturale conseguenza, per la menzionata Corte costituzionale, che, una volta parificata la posizione del marito convivente con donna incinta, o che ha partorito da non oltre sei mesi, con quella della stessa, deve essere esteso anche a tale soggetto il divieto di espulsione, salvo che sussistano i motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.
3.5. È evidente che le ragioni poste a fondamento della sentenza additiva di accoglimento appena illustrata si concentrano sul rilevo che la previsione tutela non solo il diritto alla salute della donna che ha appena partorito, ma anche il diritto del figlio e di entrambi i genitori, riconosciuto dalla Costituzione e dalle Convenzioni sovranazionali menzionate, all’assistenza e alla cura d el minore, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi, in un
momento così importante dell ‘esistenza , in cui si va formando il nucleo familiare con il nuovo nato.
La dichiarazione di incostituzionalità è stata, in sintesi, fondata su ll’esigenza di tutela del nucleo familiare in formazione, ove il dirittodovere dei genitori, sposati e conviventi, all’esercizio della genitorialità in modo condiviso e paritario costituisce l’irradiazione del diritto del figlio alla cura da parte di entrambi i genitori.
3.6. Nella specie, è incontroverso che il provvedimento di espulsione è intervenuto quando la donna aveva già partorito e il neonato era stato riconosciuto come proprio figlio dal ricorrente, il quale, come sopra evidenziato, ha dedotto di avere raggiunto la donna poco dopo l’ingresso della stessa, ove i due vivevano, insieme al bambino neonato e a un altro figlio della coppia più grande, in un’abitazione in provincia di Torino.
3.7. La norma così come risultante dall’intervento additivo della Corte costituzionale non può non essere interpretata nel senso di conferire la tutela in essa prevista al nucleo familiare in formazione composto da genitori conviventi, anche se non sposati, e neonato.
In primo luogo, occorre tenere presente che il rapporto tra genitore e figlio non può essere discriminato per il solo fatto che il figlio sia nato fuori del matrimonio.
In secondo luogo, si deve considerare che la normativa intervenuta successivamente alla pronuncia di costituzionalità, e in vigore al tempo dell’espulsione del ricorrente, ha dato rilievo – fino, a prevedere, in presenza di determinate condizioni, il divieto assoluto di espulsione – ai vincoli familiari dell’espellendo , interpretati dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale anche come derivanti da un rapporto stabile di convivenza.
3.8. Con riferimento al primo aspetto, occorre rilevare che le medesime esigenze di tutela della relazione familiare tra genitore e figlio, con riferimento al ruolo del padre nell’assistenza e nella cura del minore, espresse nella pronuncia di incostituzionalità appena illustrata (Corte cost., 27 luglio 2000, n. 376) si riscontrano anche nell’ipotesi in cui il
rapporto di filiazione sia connotato di certezza giuridica, a seguito del riconoscimento del figlio, senza che i genitori siano coniugati.
In effetti, guardando alla posizione del minore e al rapporto di quest’ultimo con ciascuno dei genitori, poco rileva se il padre è o no sposato con la madre, in quanto, co me quest’ultima , è tenuto a svolgere le attività di assistenza e di cura del figlio.
Anche guardando alla posizione del genitore e al rapporto di quest’ultimo con i l figlio, poco rileva se un genitore è o no sposato con l ‘altro genitor e, essendo comunque portatore del diritto-dovere di assolvere ai compiti derivanti dal fatto di essere genitore.
In tale ottica, nessun differente trattamento è giustificabile dalla distinzione tra figli nati in costanza di matrimonio e figli nati fuori del matrimonio, tenuto conto del disposto dell’art. 30, comma 1, Cost., ove è stabilito che «E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio».
La giurisprudenza della Corte EDU ha ripetutamente affermato la contrarietà alla Convezione di ogni discriminazione dei figli nati al di fuori del matrimonio per effetto di legislazioni nazionali, ravvisando il contrasto sia con l’art. 8 CEDU, che accorda tutela alla vita privata e familiare, che con l’art. 14 CEDU, che vieta ogni forma di discriminazione idonea a pregiudicare il godimento dei diritti e delle libertà assicurati dalla Convenzione.
Già nel 1979 la Corte EDU aveva ritenuto che le limitazioni dei diritti successori dei figli fondate sulla nascita fossero incompatibili con la Convenzione (Corte EDU, COGNOME c. Belgio, 13 giugno 1979). Da quel momento, la menzionata Corte ha costantemente ribadito tale principio fondamentale, rendendo il divieto di discriminazione fondato sulla nascita dei figli ‘fuori del matrimonio’ una norma di protezione dell’ordine pubblico europeo (Corte EDU, Fabris c. Francia, 7 febbraio 2013).
Inoltre, con riferimento alla relazione tra genitore e figlio, sempre la Corte EDU ha precisato che il godimento da parte del genitore e del figlio della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale della
vita familiare ai sensi dell’articolo 8 CEDU (anche qualora la relazione tra i genitori sia cessata) e le misure interne che ostacolano tale godimento costituiscono un’ingerenza nel diritto tutelato dall’articolo 8 CEDU (Corte EDU, Anghel c. Italia, 25 giugno 2013; Corte EDU, Monory c. Romania e Ungheria, 5 aprile 2005; NOME COGNOME c. Romania, 27/07/2006).
Uno degli aspetti centrali della giurisprudenza della Corte EDU è proprio la definizione di vita familiare in riferimento alla relazione tra figli e genitori, avendo la menzionata Corte ritenuto che la nozione di famiglia sulla quale riposa l’art. 8 CEDU comporta che un bambino nato da un’ unione si inserisca a pieno titolo in tale relazione, con la conseguenza che dal momento, e per il solo fatto, della sua nascita esiste tra lui e i suoi genitori un legame costitutivo di una vita familiare (Corte EDU, COGNOME c. Olanda, 21 giugno 1988).
Si tratta di un diritti del bambino ed anche del genitore che, sinteticamente, viene espresso in termini di diritto alla bigenitorialità (cfr. per alcune applicazioni, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1486 del 21/01/2025; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9442 del 09/04/2024; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9691 del 24/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4796 del 14/02/2022).
Ovviamente, il diritto al rispetto della vita familiare, anche inteso nel senso appena descritto, così come previsto dalla Convenzione, è soggetto al bilanciamento imposto dall’art. 8, paragrafo 2, CEDU .
3.9. In tale ottica può esaminarsi il secondo aspetto sopra evidenziato, dovendosi tenere conto che la disposizione in esame si inserisce in un contesto di disciplina dell’espulsione amministrativa che , rispetto a quando è stata adottata la sentenza di illegittimità costituzionale n. 376 del 2000, è notevolmente cambiato.
Com’è noto, l’art. 2 d.lgs. n. 5 del 2007 (recante disposizioni di attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare), ha introdotto il comma 2 bis al l’art. 13 d.lgs. n. 286 del 1998, secondo il quale «Nell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello
straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.»
La disposizione si pone in correlazione c on il disposto dell’art. 5, comma 5, d.lgs. cit., così come modificato dal menzionato d.lgs. n. 5 del 2007, ove, con riferimento al diniego di permesso di soggiorno, al mancato rinnovo o alla revoca dello stesso, è ugualmente stabilito che «Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.»
La Consulta, poi, con sentenza n. 202 del 2013 (Corte cost., 18 luglio 2013, n. 202), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto» , e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato» .
Ciò significa che la valutazione imposta dall’art. 13, comma 2 bis, d.lgs. n. 286 del 1998 deve essere effettuata anche se il cittadino straniero non ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ma ha legami familiari nel territorio dello Stato.
Inoltre, il testo dell’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998 è stato modificato dalle disposizioni introdotte dal d.l. n. 130 del 2020, conv. con modif. in l. n. 173 del 2020, ancora vigenti ratione temporis , avendo il legislatore espressamente previsto, quale ulteriori e autonome ipotesi in cui è vietata
l’espulsione , proprio quelle in cui l’allontanamento del cittadino straniero potrebbe comportare una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, stabilendo che «Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute … », con la precisazione che «Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.»
Per effetto di tali interventi nomativi, in sede di opposizione al decreto di espulsione, e in base alla disciplina vigente ratione temporis , il Giudice è chiamato a tenere conto dei criteri posti dall’art. 13, comma 2 bis , d.lgs. n. 286 del 1998, relativi alla necessità di tenere conto della natura e dell’ effettività dei vincoli familiari dell’interessato, a prescindere da ll’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare , con valutazione da compiersi caso per caso (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 14167 del 23/05/2023; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n, 35653 del 05/12/2022). È, poi, il disposto dell’art. 19, comma 1.1, d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo vigente ratione temporis , che indica i casi in cui tali legami siano tali da imporre il divieto assoluto di espulsione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 35684 del 21/12/2023).
Questa stessa Corte ha anche precisato che, ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo modificato dal d.l. n. 130 del 2020, conv. con modif. in l. n. 173 del 2020, nonché ai sensi del l’art. 13, comma 2 bis , d.lgs. n. 286 del 1998, costituisce causa ostativa all’espulsione del cittadino straniero la sussistenza di suoi ‘ legami familiari ‘ nel territorio dello Stato, con le concrete connotazioni previste
dalle citate norme, in quanto espressione del diritto di cui all’art. 8 CEDU, bilanciato su base legale con una serie di altri valori tutelati, ma da declinarsi secondo i principi dettati dalla Corte di Strasburgo, dovendo perciò attribuirsi la nozione di ‘ famiglia ‘ non soltanto alle relazioni fondate sul matrimonio, ma anche ad altri ‘ legami familiari ‘ di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 35684 del 21/12/2023).
In particolare, la Corte ha evidenziato che, in base alle coordinate ermeneutiche indicate dalla Corte EDU, non rileva, quanto all’accertamento del requisito del ‘vincolo familiare’, la circostanza che il cittadino straniero non sia unito in matrimonio alla donna che allega essere la sua compagna, tenuto conto che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte EDU (v. Corte EDU, Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986; Corte EDU, Grande Camera, Van der Heijden c. Paesi Bassi, 3 aprile 2012 ), la nozione di ‘famiglia’ di cui all’art. 8 della Convenzione non è limitata soltanto alle relazioni fondate sul matrimonio e può comprendere altri ‘legami familiari’ di fatto, in cui le parti convivono fuori dal matrimonio, aggiungendo che è stato finanche ritenuto (Corte EDU, COGNOME e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994; Corte EDU, Grande Camera, COGNOME e altri c. Grecia, C-29381/09 e C32684/09, 7 novembre 2013) che possono esistere legami sufficienti per una vita familiare anche in assenza di convivenza (v. ancora Cass., Sez. 1, Sentenza n. 35684 del 21/12/2023).
3.10. In effetti, è ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte EDU la consapevolezza che la vita dei conviventi di fatto rientri nella nozione di vita ‘familiare’ ai sensi dell’art. 8 CEDU (Corte EDU, sentenza 13 giugno 1979, COGNOME contro Belgio; Corte EDU, sentenza 18 dicembre 1986, COGNOME e altri contro Irlanda; Corte EDU, sentenza 26 maggio 1994, COGNOME contro Irlanda; Corte EDU, sentenza 5 gennaio 2010, COGNOME contro Polonia; Corte EDU, sentenza 27 aprile 2010, COGNOME e COGNOME contro Italia; Corte EDU, sentenza 24 giugno 2010, Schalk and Kopf contro Austria; Corte EDU, sentenza 3 aprile 2012, Van der Heijden contro Paesi Bassi; Corte EDU, grande camera, sentenza 7
novembre 2013, COGNOME contro Grecia; Corte EDU, sentenza COGNOME ed altri contro Italia).
L’ambito soggettivo della nozione di vita familiare, peraltro, include sia le relazioni giuridicamente istituzionalizzate, sia le relazioni fondate sul dato biologico, sia, infine, quelle che costituiscono ‘famiglia’ in senso sociale, alla condizione che sussista l’effettività di stretti e comprovati legami affettivi.
Anche l’art. 9 CDFUE, nel riconoscere il «diritto di sposarsi» tra le libertà fondamentali tutelate in modo disgiunto e autonomo rispetto al «diritto di fondare una famiglia», ha realizzato una significativa apertura nei confronti delle famiglie di fatto ponendo le basi per un avanzamento nelle possibilità di protezione della molteplicità e varietà delle relazioni ad esse riconducibili (v. infra Corte cost., 25 luglio 2024, n. 148)..
3.11. Nella stessa ottica, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 148 del 2024, nel dichiarare costituzionalmente illegittimo -per violazione degli artt. 2, 3, 4, 35 e 36 Cost. -l’art. 230 bis , comma 3, c.c., e, in via consequenziale, l’art. 230 ter c.c., nella parte in cui non prevede come familiare anche il «convivente di fatto» e come impresa familiare quella cui collabora anche il «convivente di fatto» , ha precisato che il matrimonio, inteso quale unione tra persone di sesso diverso, è riconducibile all’art. 29 Cost. , mentre le convivenze di fatto, al pari delle unioni civili, appartengono alle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., all’interno delle quali l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità .
La menzionata Corte, dopo aver riassunto gli interventi normativi e quelli operati dalla stessa Corte costituzionale in materia, richiamati gli orientamenti principali della giurisprudenza di legittimità e quelli della Corte EDU, ha affermato che la convivenza more uxorio costituisce un rapporto ormai entrato nell’uso ed è comunemente accettato, accanto a quello fondato sul vincolo coniugale, precisando , comunque, che questa trasformazione della coscienza e dei costumi sociali non autorizza la perdita dei contorni caratteristici delle due figure, poiché, sebbene vi sia stata una convergente evoluzione sia della normativa, sia della
giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha dato piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto, permangono differenze di disciplina.
Ad opinione della Corte costituzionale, la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, in ragione dei caratteri di stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e doveri che nascono soltanto da tale vincolo, giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi, che trova il suo fondamento costituzionale nella circostanza che il rapporto coniugale riceve tutela diretta nell’art. 29 Cost. , mentre la convivenza di fatto trova giustificazione nell’art. 2 Cost. Tuttavia, vi sono aspetti particolari, in relazione ad ipotesi particolari -come ad esempio l’esigenza di tutelare il diritto alla salute psico -fisica del disabile grave, o l’affettività intramuraria in stato di detenzione, cui vanno aggiunti anche il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione -in cui si possono riscontrare tra convivenza more uxorio e rapporto coniugale caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria una identità di disciplina, che occorre garantire attraverso il controllo di ragionevolezza imposto dall’art. 3 Cost. (Corte cost., 25 luglio 2024, n. 148).
Come evidenziato dalla Corte costituzionale, nella sentenza appena richiamata, la giurisprudenza di legittimità, premesso che la situazione di convivenza resta non pienamente assimilabile al matrimonio, sia sotto il profilo della stabilità che delle tutele offerte al convivente, tanto nella fase fisiologica che in quella patologica del rapporto, ha riconosciuto con orientamento condiviso che -in quanto «espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole, cui corrisponde anche un’assunzione di responsabilità» verso il partner e il nucleo familiare -l’instaurazione di una stabile convivenza comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il compagno o la compagna.
Nelle più recenti pronunce di questa Corte, infatti, in caso di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, si è dato rilievo al periodo di convivenza, sia prematrimoniale (Cass., Sez. U, Sentenza n. 35385 del 18/12/ 2023), che dell’ex coniuge (C ass., Sez. 1, Sentenza n.
3645 del 07/02/2023 e Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 14256 del 05/05/2022) , quanto alla determinazione dell’assegno divorzile o dell’assegno di mantenimento ( Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34728 del 12/12/ 2023), e della convivenza antecedente l’unione civile per la determinazione dell’assegno in favore del componente dell’unione civile (Cass., Sez. U, Sentenza n. 35969 del 27/12/2023).
L’accertamento dell’esistenza della convivenza intesa quale legame affettivo stabile e duraturo in virtù del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale -ha assunto rilievo, in giurisprudenza, in tante altre situazioni specifiche (v. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9178 del 13/04/2018, in tema di risarcimento del danno da perdita della vita del convivente, e Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8037 del 21/04/2016, in tema di risarcimento della soff erenza provata dal convivente in conseguenza dell’uccisione del figlio unilaterale del partner; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 28 del 02/01/2025, sulla qualificazione in termini di obbligazioni naturali delle elargizioni effettuate dopo la cessazione della convivenza da un ex convivente in favore dell’altro , ove siano ricorrenti gli ulteriori requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza).
3.12. Guardando alla fattispecie in esame, non può escludersi la rilevanza del rapporto di convivenza, che sia connotato di stabilità e serietà nei termini sopra evidenziati, poiché, in questo caso, accanto al ‘ legame di coppia ‘ , con assunzione spontanea di obblighi di assistenza morale e materiale reciproca, sorge, in presenza di figli, il ‘ legame di genitoriale ‘ , che coinvolge genitori e figli, è fonte di diritti e doveri direttamente derivanti dalla legge e, come sopra evidenziato, è protetto dalla previsione dell’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998 nei primi momenti della sua formazione.
3.13. In conclusione, la sentenza della Corte costituzionale n. 376 del 2000, nel dichiarare l’ incostituzionalità parziale dell’ art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998, ha dato rilievo ai legami familiari, e in particolare alla relazione tra figlio e genitori, coniugati e conviventi, nei
primi mesi di vita del neonato, da custodire nell’interesse del figlio e dei genitori in un momento in cui il nucleo familiare è in formazione.
A tale pronuncia è seguito, nel tempo, un sistematico e ampio intervento normativo, anche in adeguamento a direttive dell’Unione, che ha dato rilievo dei legami familiari, in presenza di determinate condizioni, quale limite generare al potere di espulsione (salve le ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute), ove assumono, alle presenza di determinate caratteristiche, anche i vincoli familiari non correlati al matrimonio, ma alla sola convivenza di fatto.
I l disposto dell’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998 , che non prevede un divieto assoluto ma solo un divieto temporaneo di espulsione (salvi i motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Sato, previsti dall’art. 13, comma 1, d.lgs. cit. ), si inserisce in tale più ampio quadro normativo come sopra modificato.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata , e coerente con il complessivo sistema di norme, come sopra descritto, non può, dunque, non comprendere il divieto temporaneo di espulsione ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998 anche per il convivente more uxorio della donna che abbia appena partorito un neonato di età inferiore ai sei mesi, trattandosi di disposizione volta a tutelare sia pure temporaneamente il nucleo familiare in formazione a seguito della nascita del bambino, ove il rapporto tra genitori e tra genitori e figlio, nell’esercizio dei diritti e dei doveri genitoriali , non si differenzia da quello esistente tra genitori coniugati e tra genitori coniugati e figlio.
3.14. Nel caso di specie, il ricorrente è stato espulso in applicazione dell’art. 13, comma 2, lett. b, d.lgs. n. 286 del 1998, poiché si trovava in territorio italiano senza alcun titolo di soggiorno.
Il Giudice di Pace ha respinto il ricorso contro il provvedimento di espulsione, dando rilievo alla mancata produzione di uno stato di famiglia, che avrebbe potuto fornire la prova dello stato di coniugio e della convivenza del ricorrente con il nucleo familiare, senza tenere conto che
era incontestato che il ricorrente non era sposato con la madre del neonato e che lo stesso era irregolare nel territorio nazionale, con la conseguenza che non poteva risultare nella documentazione anagrafica indicata.
Il giudice avrebbe dovuto accertare, in fatto, la natura e l’ effettività dei vincoli familiari dedotti, verificando le allegazioni del ricorrente in ordine alla sussistenza e alla stabilità della convivenza del ricorrente con la madre del neonato e, più, in generale con il nucleo familiare della donna.
In conclusione il motivo di ricorso deve essere accolto in applicazione del seguente principio:
‘ In tema di espulsione amministrativa, il divieto temporaneo di espulsione previsto dall’art. 13, comma 2, lett. d, d.lgs. n. 286 del 1998 , come risultante all’esito della sentenza additiva di accoglimento della Corte costituzionale n. 376 del 2000, va interpretato nel senso che esso si riferisce anche al convivente della madre del neonato, il quale abbia riconosciuto il figlio, sempre che sussistano i requisiti di stabilità e serietà della convivenza, trattandosi di disposizione volta a tutelare sia pure temporaneamente il nucleo familiare in formazione intorno al neonato. ‘
In conclusione, accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Giudice di Pace di Torino, in persona di un diverso giudicante, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione della presente ordinanza devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del l’art. 52 d.l gs. n. 196 del 2003.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e cassa l’ordinanza impugnata con rinvio al Giudice di Pace di Torino, in persona di un diverso giudicante, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del l’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile