Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27290 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 27290 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso 4814-2021 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/04/2024
PU
avverso la sentenza n. 1305/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 15/07/2020 R.G.N. 42/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocati NOME COGNOME, COGNOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Firenze ha rigettato il gravame proposto avverso l’ordinanza con la quale il giudice di prime cure aveva rigettato il ricorso proposto, ex art. 702bis cod.proc.civ., nei confronti della Regione Toscana.
In particolare, gli attuali ricorrenti avevano esposto di aver ricoperto l’incarico di consigliere regionale della Regione Toscana e di aver maturato i requisiti previsti dalla legge regionale (età anagrafica e contributi) per il conseguimento del diritto all’assegno vitalizio; di avere maturato, per aver ricoperto anche la carica di parlamentare, nazionale o europeo, i requisiti per il conseguimento del diritto al vitalizio da parte del Parlamento italiano o europeo; di aver subito un pregiudizio economico in virtù del disposto dell’articolo 23-bis legge Regione Toscana 3/2009, introdotto con legge regionale 74/2015, che aveva introdotto il divieto di cumulo dell’assegno vitalizio diretto e indiretto con analoghi istituti previsti per gli eletti alla carica di parlamentare, europeo o nazionale, consigliere o assessore di altre RAGIONE_SOCIALE.
Soggiungevano che la norma recante il divieto di cumulo – art.4 L.R.T. 74/2015, come similari disposizioni di altri Regioni -erano state successivamente abrogate, con L.R.T. 27/2019, in ottemperanza alle indicazioni del legislatore statale e alla ridefinizione dei trattamenti in questione, onde il divieto di cumulo era rimasto in vigore per il periodo transitorio compreso tra il 31 dicembre 2015 e il 1° giugno 2019 e per tale segmento temporale censuravano la revisione, in senso sfavorevole, dei vitalizi diretti e di reversibilità in corso di erogazione.
Agivano, pertanto, perché il divieto di cumulo per il periodo transitorio venisse sottoposto a scrutinio di legittimità costituzionale, evidenziando che la modifica della L.R.T. 3/2009, con L.R.T. 85/2012 in attuazione degli indirizzi impartiti dal decreto- legge 174/2012 convertito in legge 213/2012, aveva previsto la soppressione del vitalizio e la perdita di efficacia delle disposizioni in materia a far data dalla fine della IX legislatura regionale, ivi compresa quella relativa alla trattenuta obbligatoria operata sull’indennità dei consiglieri in carica, ferma restando l’erogazione degli assegni vitalizi a coloro che ne avevano acquisito il diritto a tale data.
Assumevano che la legge regionale 74/2015 aveva introdotto il divieto di cumulo tra l’assegno vitalizio disciplinato dalla L.R.T. 3/2009 e gli eventuali assegni vitalizi erogati dal Parlamento italiano od europeo; e che l’art. 23 quinquies L.R.T. 3/2009, disponeva che in caso di cumulo i titolari dell’assegno vitalizio regionale perdevano il diritto all’erogazione del medesimo.
Rimarcavano la natura di prestazione indennitaria differita con finalità e funzione previdenziale per
garantire dignità, in dipendenza del mandato, degli assegni vitalizi previsti dalle legislazioni regionali e il contrasto della differente opzione interpretativa con gli artt. 3, 38, 117 Cost.
Entrambi i giudici di merito hanno delibato con esito negativo il dubbio di costituzionalità.
La Corte di merito, dato atto che la L.R.T.27/2019 aveva innovato la nuova disciplina dei vitalizi con l’applicazione del calcolo contributivo dei contributi versati, disponendo altresì l’abrogazione del divieto di cumulo di cui all’articolo 23-bis L.R.T 3/2009 introdotto con L.R.T. 74/2015, richiamava la stessa premessa alla legge chiarificatrice degli effetti dell’a brogazione alla data del 1 giugno 2019 fermo restando, sino al 31 maggio 2019, il divieto di cumulo lasciando privo di copertura il periodo fra l’entrata in vigore della legge 27/2019 e quello di entrata in vigore della legge 74/2015, efficace dal 31 dicembre 2015.
Conclusivamente, la Corte di merito ha ritenuto vigente, per il periodo residuale transitorio, rimasto scoperto – dal 31 dicembre 2015 al 1° giugno 2019 – il divieto di cumulo.
Ricorrono NOME COGNOME ed altri, in epigrafe indicati, con ricorso affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, con i quali si ripropongono i dubbi di legittimità costituzionale, cui resiste la Regione Toscana, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con i motivi di ricorso i ricorrenti si dolgono di violazione di legge di plurime disposizioni di leggi regionali Toscane, reiterando gli argomenti a sostegno dei dubbi di costituzionalità già oggetto di disamina dei
giudici di merito, per violazione, per plurimi profili, degli artt. 2,3,38,42,97 117 Cost.
Con il primo motivo invocano l’inciso «fatti salvi i relativi trattamenti già in erogazione a tale data» ( rectius alla data di entrata in vigore del d.l. 174/2012), enunciato nell’art. 2, comma 1, lett, m) d.l. n.174 cit. ,sostenendo l’erroneità della sentenza della Corte di merito che avrebbe ritenuto tale inciso limitato solo al divieto di ripetizione di quanto già erogato. Al riguardo, i ricorrenti ribadiscono che la normativa regionale recante il divieto di cumulo contrasterebbe con i principi della sovraordinata legge statale che avrebbe previsto, alla lett. m) cit. , l’intangibilità dei vitalizi in essere.
In particolare sostengono che le norme statali avrebbero delineato, in materia di vitalizi, principi contraddetti dalla disciplina regionale in esame; il legislatore regionale, nel prescrivere il divieto di cumulo, avrebbe introdotto una disciplina ultronea rispetto a quella consentita dalla normativa statale, recante l’esplicita salvezza dei trattamenti in essere, onde l’evidente violazione della tutela dell’affidamento, di rango costituzionale ed europeo.
Con il secondo mezzo assumono che la Corte di merito avrebbe erroneamente respinto l’ulteriore questione di legittimità costituzionale anche in base al fatto che i beneficiari conservavano altro vitalizio; che la Corte di merito avrebbe a tal fine omesso di considerare la mancanza di ogni motivazione dell’ablazione disposta dalla legge regionale in esame, il che dimostrerebbe l’arbitrarietà della previsione recante il divieto di cumulo, previsione che avrebbe colpito solo una limitata categorie di ex consiglieri, ovvero coloro che hanno espletato più mandati per la Repubblica Italiana,
sia in Parlamento che in RAGIONE_SOCIALE regionale, con conseguente violazione del principi di ragionevolezza, proporzionalità e di uguaglianza.
Richiamano, per suffragare la doglianza, l’ordinanza delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 18265/2019, con la quale si afferma che il vitalizio per la ex carica di parlamentare è assistito da garanzia costituzionale al pari dell’indennità di carica e, pertanto, potrebbe essere ridotto ma non soppresso ed assumono che ciò varrebbe anche per i vitalizi degli ex consiglieri regionali sicchè, di conseguenza, dovrebbe ritenersi superato l’orientamento espresso da Cass. n. 20542/2010, richiamato dalla sentenza impugnata, che ha negato la natura previdenziale dei vitalizi in esame.
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La soppressione del vitalizio regionale disposto dalla L.R.T. 74/2015 si porrebbe, in definitiva, ulteriormente in contrasto con i principi del legittimo affidamento, della certezza delle situazioni giuridiche e con il diritto di proprietà, garantiti non solo dalla Costituzione ma anche dall’ordinamento europeo.
Il ricorso è da rigettare.
Tutti i ricorrenti hanno ricoperto l’incarico di consigliere regionale della Regione Toscana nelle passate legislature, nonché di parlamentare e godono di un assegno vitalizio da parte della Regione calcolato con il sistema di tipo retributivo in vigore fino alle più recenti riforme.
In particolare, l’art. 10 -bis della L.R.T. 3/2009 (introdotto dall’art. 1 della L.R. T. 74/2015) ha previsto la soppressione del vitalizio per i (nuovi) consiglieri ed assessori in carica dalla decima legislatura (2015 2020), mantenendo ferma l’erogazione dei medesimi
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vitalizi agli amministratori regionali cessati con la nona legislatura (2010 – 2015) ed ai loro aventi causa.
Ciò in quanto l’art. 14, primo comma lett. f) del d.l. n. 138 del 2011 ha imposto alle Regioni di adeguare i propri ordinamenti prevedendo il «passaggio ad un sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali»: la prescrizione è completata dall’art. 14, comma 2, che dispone conseguenze di carattere sanzionatorio in caso di mancato adeguamento delle Regioni a tale misura di contenimento della spesa.
Successivamente, il decreto-legge n. 174 del 2012 (art. 2, comma 1, lett. m) ha rafforzato la portata dell’obbligo contenuto nelle citate norme del d.l.n. 138, stabilendo che il mancato rispetto avrebbe determinato, a decorrere dal 2013, ulteriori sanzioni (consistenti, fra le altre, nel blocco di una quota, pari all’ottanta per cento, dei trasferimenti erariali – tranne quelli destinati a specifiche finalità – a favore delle Regioni).
Detto assegno vitalizio regionale è cumulabile, senza alcuna detrazione, con ogni altro eventuale trattamento di quiescenza spettante, a qualunque titolo, al consigliere o assessore cessato dal mandato.
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L’unica eccezione al detto cumulo è stata stabilita dall’art. 4 della L.R.T. 74/2015 che ha introdotto l’art. 23-bis nella L.R.T. n. 3/2009 ai sensi del quale l’assegno vitalizio , diretto ed indiretto, non è cumulabile con analoghi istituti previsti per gli eletti alla carica di parlamentare europeo, di parlamentare della Repubblica italiana, di consigliere o di assessore di altre RAGIONE_SOCIALE.
I successivi articoli 5, 6, 7 della L.R. n. 74/2015, che hanno inserito gli artt. 23ter, quater, quinquies nella
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L.R. 3/2009, dettano norme per l’attuazione d el divieto di cumulo tra il vitalizio regionale e quello di parlamentare europeo, nazionale o consigliere ed assessore di altre RAGIONE_SOCIALE.
La norma contenuta nell’art. 4 della L.R.T. 74/2015, come le similari disposizioni di altre Regioni, sono state tutte successivamente abrogate, a seguito del ricalcolo cui i vitalizi in essere sono stati sottoposti, in ottemperanza a ll’obbligo imposto dal legislatore statale con l’art. 1, co. 965 L. n.145 del 2018.
Secondo le indicazioni del legislatore statale, infatti, i trattamenti in questione sono stati ridisegnati sulla base del metodo di calcolo contributivo, secondo parametri definiti in sede di Conferenza RAGIONE_SOCIALE; a seguito dell’intesa, raggiunta il 3 aprile 2019, tutte le Regioni hanno progressivamente recepito i nuovi criteri, abrogando le precedenti discipline regionali; così è avvenuto anche per la legge della Regione Toscana n. 74 del 2015, oggetto dell’odierno giudizio (abrogazione disposta con la L.R. n. 27/2019).
Ne consegue che il divieto di cumulo di cui al citato art. 4 della L.R. n. 74 è stato vigente per un periodo transitorio, dal 31 dicembre 2015 sino al 1° giugno 2019.
Vale la pena di anticipare subito che con le sentenze n. 136/2022 e n. 182/2022 la Corte costituzionale ha esaminato censure analoghe a quelle prospettate dagli odierni ricorrenti, relative a leggi regionali della Regione Trentino Alto Adige e della Regione Friuli Venezia Giulia, intervenute anch’esse – per la finalità di contenimento della spesa pubblica e dei costi della politica, ai sensi dell’art. 2 co. 1 lett. m) del d.l. n. 174 cit. – a disciplinare la revisione, in senso sfavorevole per i
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percettori, dei vitalizi diretti e di reversibilità in corso di erogazione ai consiglieri regionali.
Nelle due citate sentenze, la Corte costituzionale ha scrutinato proprio le questioni, svolte anche nel ricorso in oggetto, dell’incompetenza della normativa regionale, della lesione del legittimo affidamento, della certezza del diritto e della salvaguardia dei diritti acquisiti, in presunta violazione degli artt. 2, 3, 97, 117, secondo e terzo comma Cost., da parte delle disposizioni regionali contestate.
Le censure attinenti all’incompetenza regionale ai sensi dell’art. 117 , secondo e terzo comma, Cost. sono state respinte perché la Corte costituzionale ha ricondotto la disciplina del vitalizio regionale «a prescindere dal fatto che essa incida riduttivamente o meno sulla sua misura, alla potestà normativa della Regione -che dispone di competenza legislativa in materia di «ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto» (art. 4, numero 1, dello statuto) e di ampia autonomia finanziaria (articoli da 69 a 86 dello statuto) -nonché, in correlazione all’organo interessato, alla potestà regolamentare spettante al RAGIONE_SOCIALE regionale (art. 31 dello statuto)» (punto 6.1 della parte in diritto).
Per gli stessi motivi è dunque infondata la medesima censura sollevata con il ricorso all’esame: anche la Regione Toscana, come tutte le Regioni a statuto ordinario, ha potestà legislativa residuale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. , in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa (Corte cost. n.128/2020) e l’art. 9, comma 7 dello Statuto della Regione Toscana prevede che sia la legge regionale a disciplinare i vitalizi spettanti ai consiglieri.
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Tale potestà legislativa regionale in materia di ordinamento ed organizzazione amministrativa va esercitata nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica, quali sono quelli contenuti nell’art. 14 primo comma lett. f) del d.l. n. 138/2011 e nel d.l. n. 174/2012 (Corte cost. nn. 198 del 2012 e 23 del 2014), principi osservati dalla norma regionale contestata dai ricorrenti.
In riferimento alla eccepita violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost., a cui i ricorrenti riconducono il principio di tutela del legittimo affidamento e della certezza dei rapporti giuridici, le due recenti sentenze del Giudice delle leggi hanno ribadito che l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce un elemento fondamentale dello RAGIONE_SOCIALE, ma non comporta che sia interdetto, in via assoluta, al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata.
Quanto al requisito della giustificazione sul piano della ragionevolezza, è appena il caso di richiamare i motivi che hanno condotto il legislatore regionale ad adottare le norme contestate.
Il preambolo della L.R. 74/2015 evidenzia che la disciplina si rende necessaria per completare il percorso di riforma già avviato dalla Regione, nella precedente IX legislatura, con la soppressione dei vitalizi (per consiglieri e assessori in carica a partire dalla decima legislatura, ovvero 2015-2020); il divieto di cumulo è volto ad attutire le disparità di trattamento tra i consiglieri e a perseguire la finalità del contenimento dei costi della politica.
In conclusione la omologa norma sottoposta al vaglio della Corte costituzionale ha superato lo scrutinio
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relativo al principio di eguaglianza e ragionevolezza, considerando: il carattere temporaneo della misura (di durata limitata al periodo dal 31.12.2015 sino al 1.06.2019); l’incidenza della misura solo su una categoria limitata di soggetti, nel caso di specie gli ex consiglieri percettori di vitalizio, non indicativa dell’esistenza di una misura discriminatoria, atteso che, quando il trattamento in essere configuri una condizione di favore (condizione che non può non essere riconosciuta alla misura in esam e), l’intervento riduttivo può ritenersi del tutto ammissibile in quanto rispondente ad esigenze di eguaglianza sostanziale e solidarietà sociale (come evidenziato nelle citate sentenze della Corte costituzionale); tra le finalità dell’intervento è evidenziata la riduzione dei costi della politica ed il contenimento della spesa pubblica; restano tuttora di particolare vantaggio i trattamenti retti dai regimi più risalenti (Corte cost.136/2022 paragrafo 7.2.2), quali quelli relativi ai soggetti che hanno presentato il ricorso in esame.
Alla luce degli elementi appena evidenziati, e già scrutinati dal Giudice delle leggi, deve del pari escludersi un incidente di costituzionalità per violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza; inoltre, le misure introdotte dalla L.R. 74/2015 non sono pertanto lesive del legittimo affidamento e non si ravvisa alcuna violazione degli artt. 2,3,97 Cost.
Neanche si appalesa condivisibile l’assunto secondo cui la legge 145/2018 non ha previsto la soppressione del vitalizio ma il suo ricalcolo, sicchè la Regione avrebbe dovuto abrogare la L.R. 74/2015 con efficacia retroattiva.
Come dianzi esposto, con la L.R. n. 74/2015 cit. la Regione ha adeguato la propria normativa alla legislazione nazionale volta al contenimento dei costi della politica in ambito regionale (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n.148 e decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213).
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L’art. 4 della L.R. n. 74 cit. non ha soppresso il vitalizio, ma ha previsto (in via temporanea) il divieto di cumulare più trattamenti in godimento, in tal modo riducendo l’importo complessivo a tale titolo percepito, in coerenza con i principi statuiti dalla Corte Costituzionale e dalle Corti Europee.
La legittimità del divieto di cumulo è stata confermata dalla Corte costituzionale anche nel profilo per cui la sussistenza di altra fonte di reddito può ragionevolmente giustificare la diminuzione del vitalizio (Corte cost. sent. n. 182/2022 cit., ultimi tre capoversi).
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La disciplina del cumulo dei trattamenti per l’assolvimento dei diversi incarichi a livello regionale, nazionale ed europeo resta un trattamento di particolare favore che non ha, peraltro, alcun esplicito fondamento normativo.
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Del pari destituite di fondamento sono già state ritenute, dalle richiamate decisioni del Giudice delle leggi, le doglianze di violazione degli artt. 3, 97 e 117 comma 1 Cost. (in quanto la decurtazione inciderebbe su diritti quesiti correlati a prestazioni tutelate ai sensi dell’art. 38 Cost.), e degli artt. 42, co . 3, 97, co.1 e 117 Cost., in riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in quanto il prelievo forzoso
finirebbe per sostanziarsi in un caso di espropriazione della proprietà privata).
Vale richiamare la ridetta ragionevolezza e proporzionalità della riduzione -per un tempo determinato dell’ammontare dell’assegno vitalizio, riconducibile ad un trattamento indennitario; l’incidenza della decurtazione opera solo nei riguardi di ratei maturandi e non sugli importi già percepiti; anche nel caso di strumenti con funzione latamente previdenziale (diverse comunque da quella in esame) non sarebbe precluso al legislatore un intervento in senso riduttivo, giustificato, fra l ‘ altro, dalla situazione economica generale e da esigenze di solidarietà.
In ogni caso, vale rimarcare la particolare natura dell’assegno vitalizio, per nulla assimilabile ad un rapporto di natura previdenziale: in considerazione della brevità del periodo di contribuzione necessario per la insorgenza del diritto a percepirlo, per la possibilità di cumulo con altra attività lavorativa, per l’irrilevanza della sussistenza di uno stato di bisogno.
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Peraltro, fino all’adozione dell’art. 38 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria del 2000), grazie alla contribuzione figurativa i consiglieri regionali e i parlamentari non erano neanche tenuti al pagamento della propria parte di contributi che restava a totale carico dell’RAGIONE_SOCIALE o degli altri enti previdenziali di appartenenza.
Da qui l’esclusione della natura previdenziale dell’assegno vitalizio a favore dei Consiglieri regionali (v., fra le altre, Cass. nn.20542, 20538 del 2010).
Anche la giurisprudenza costituzionale ha sempre considerato il vitalizio concettualmente distinto dagli istituti propriamente pensionistici, non essendo esso
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strutturalmente conseguente ad un rapporto d ‘ impiego (Corte cost. n. 289 del 1994).
La logica assistenziale e previdenziale-assicurativa, evocata rispettivamente dai commi 1 e 2 dell’art. 38 Cost., è pertanto lontana dal regime di favore, in termini di anzianità anagrafica e contributiva, cui i vitalizi restano connessi.
Ulteriore indice sintomatico della natura non previdenziale dell’assegno de quo , è rinvenibile nel fatto che lo stesso non viene erogato dall’ RAGIONE_SOCIALE ma dalla Regione stessa.
Neanche si appalesa condivisibile il censurato contrasto con l’art. 42 Cost. e con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU per essersi il legislatore regionale – per le anzidette ragioni di riduzione dei costi della politica, di contenimento della spesa pubblica e tutela delle finanze regionali, con interventi rispettosi del principio di proporzionalità -limitato a ridurre un’indennità, per un p redeterminato periodo, senza che perciò solo possa essere paventata la perdita dei mezzi di sussistenza, con asserita connessa lesione del diritto di proprietà.
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La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata anche in relazione alla riduzione dei trattamenti pensionistici nel settore pubblico, prescrivendo la riserva di legge, un fine legittimo di interesse pubblico e la presenza di una misura non manifestamente priva di un fondamento ragionevole (tutti requisiti che, alla luce delle argomentazioni svolte, devono ritenersi sussistenti nella specie).
Nell’individuare i criteri dello scrutinio di ragionevolezza in materia previdenziale, la Corte EDU ha affermato che
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«mentre una privazione totale dei diritti che comporti la perdita dei mezzi di sussistenza equivale in linea di massima alla violazione del diritto di proprietà, l’imposizione di una misura ragionevole non vi equivale» e che «si può tenere conto della natura della prestazione soppressa -in particolare se essa ha avuto origine da un regime pensionistico vantaggioso disponibile solo a determinati gruppi di persone» (Corte EDU, sent. 8 ottobre 2013, ricorsi nn. 62235/12 e 57725/12).
Ma nella specie, come già ribadito, non è risultato inciso un trattamento pensionistico, i ricorrenti hanno conservato altre fonti di reddito e di sussistenza e la misura adottata, per il detto e limitato periodo (dal 31.12.2015 al 1°.6.2019), è stata imposta da ragioni di sobrietà, perequazione ed equità da assecondare attraverso il ridimensionamento di trattamenti che restano di particolare favore (così Corte cost. n. 108 del 2019).
Né si appalesa pertinente l’ invocata violazione dell’art. 1 della Convenzione EDU, posto che il contestato temporaneo divieto di cumulo non interferisce in alcun modo con i diritti e le libertà oggetto di protezione CEDU costituzionalizzata ai sensi dell’art. 117, primo co., Cost.
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I vitalizi parlamentari sono stati, inoltre, oggetto di scrutinio, con esito negativo, da parte del Tribunale di primo grado dell’Unione Europea, con le sentenze 15 ottobre 2020, nelle cause riunite T-389/2019 e 5 maggio 2021, in causa T-695/2019.
57. Con la prima decisione, il Tribunale di primo grado dell’Unione Europea ha ritenuto l’importo delle pensioni adeguabile al rialzo o al ribasso, ove detto
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adeguamento risponda ad obiettivi di interesse generale e non si ponga come sproporzionato rispetto allo scopo perseguito ( all’uopo richiamando CGUE 13giugno 2017, Florescu e altri, C-258/14, par. 56 e giurisprudenza ivi cit.; CGUE 14 dicembre 2018, FV/RAGIONE_SOCIALE, T-750/16, par. 108).
Nella specie, il Tribunale ha valorizzato lo scopo perseguito dalla deliberazione oggetto di contestazione, sostanziatosi nella razionalizzazione delle spese pubbliche, ovverosia in «un obiettivo di interesse generale tale da giustificare una limitazione dei diritti fondamentali» (sent. Trib. UE 15 ottobre 2020, in cause riunite T-389/19, par. 230), in continuità con la Corte EDU che, come noto, in presenza di impellenti motivi d ‘interesse generale, non ha escluso l’ammissibilità di disposizioni retroattive dal contenuto peggiorativo (per tutte, sent. Corte EDU 31 maggio 2011, Maggio c. Italia).
Tanto più ammissibile risulta, dunque, l’intervento del legislatore regionale nel caso in esame in cui non si ha un’efficacia retroattiva della disciplina, sibbene, come evidenziato, la riduzione prevista opera nei riguardi dei ratei maturandi e non sugli importi già percepiti.
Similmente la seconda sentenza del Tribunale di primo grado dell’Unione Europea , 5 maggio 2021, ha rilevato che la riforma dei vitalizi degli ex deputati della Camera si giustifica in relazione alla particolare situazione dei conti pubblici italiani, che ha reso necessari, negli ultimi anni, interventi legislativi di sfavore verso la generalità dei cittadini e la razionalizzazione delle spese pubbliche in un contesto di rigore di bilancio.
Il G iudice dell’Unione ha già riconosciuto , dunque, che tale ratio costituisce un obiettivo di interesse generale
tale da giustificare una limitazione dei diritti fondamentali (v.ulteriori precedenti ivi citati).
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E’ stato anche chiarito (v. CGUE, 7/07/2016, n. 447/15) che misure con effetti restrittivi possono essere giustificate se rispondono ad esigenze imperative d ‘ interesse generale, se sono idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e se non eccedono quanto necessario per il suo raggiungimento; e che una mutazione dei rapporti di durata è illegittima solo se incide sugli stessi «in modo improvviso e imprevedibile», senza che lo scopo perseguito dal legislatore ne imponga l’intervento ( CGUE 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02).
Nella specie l’i ntervento del legislatore regionale toscano non è stato né improvviso né imprevedibile perché attuato per ottemperare ai principi di coordinamento della finanza pubblica stabiliti dal legislatore nazionale con il d.l. 138/2011 e con il d.l. n. 174/2012 (che pure avevano superato lo scrutinio di legittimità costituzionale: Corte cost. nn. 198/2012 e 23/2014) -né ingiustificato rispetto allo scopo perseguito di contenere i costi della politica con risparmio di risorse pubbliche e di perequare le situazioni dei soggetti che svolgono le stesse attività politico-istituzionali.
Per finire, i ricorrenti chiedono lo scrutinio d ‘illegittimità delle disposizioni per l’ irragionevole discriminazione che creerebbero all’interno della categoria degli ex consiglieri regionali perché colpendo solo quanti hanno ricoperto la carica di Parlamentare nazionale od europeo l’esercizio del munus publicum assumerebbe per ciò solo un disvalore.
Invero, la ratio volta ad attuare la norma statale sul contenimento della spesa pubblica mediante il divieto di cumulo di più vitalizi al fine di perseguire una finalità perequativa, non palesa alcuna discriminazione -perché il divieto di cumulo è previsto non solo per chi è stato o è Parlamentare nazionale o europeo, ma anche consigliere ed assessore di altre RAGIONE_SOCIALE -né colora di alcun disvalore l’esercizio del munus publicum.
In conclusione, il ricorso è rigettato.
La novità della questione consiglia la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; spese compensate. Ai sensi dell’art.13,co.1 -quater, d.p.r.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 aprile