Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7150 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7150 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22983/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME rappresentato e difeso da sé medesimo, con domicilio digitale presso no proprio a casella di posta elettronica certificata;
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione del decreto della Corte di appello di Lecce n. 367/2021, depositato l’ 11 agosto 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre 2024 dal Consigliere, NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso iscritto al n. 568/2020, l’ avv. NOME COGNOME chiedeva alla Corte di Appello di Lecce che gli fosse riconosciuto il diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata di un procedimento ex l. n. 89/2001, intrapreso nell’interesse di un suo assistito, introdotto con ricorso depositato il 7.11.2008, con cui era stata chiesta alla Corte di Appello di Lecce anche la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore di quanto dovutogli a titolo di distrazione delle spese di lite. Il procedimento era stato definito con decreto depositato il 3.5.2010, con il quale la Corte aveva accolto la domanda di equa riparazione, compensando le spese di lite.
Il Giudice designato, con decreto del 21.5.2021, rigettava la domanda di indennizzo.
-L’ avv. COGNOME ha proposto opposizione chiedendo che la Corte di Appello, previa revoca del decreto opposto, condannasse il Ministero della Giustizia al pagamento di una somma a titolo di equa riparazione per l’irragionevole durata del procedimento, valutata unitariamente la fase di cognizione e quella di esecuzione, sostenendo che il procedimento presupposto era stato iniziato a nome e nell’interesse proprio con domanda ex art. 93 cod. proc. civ. presentata innanzi alla Corte di Appello di Lecce e che la fase esecutiva dovesse considerarsi ancora in corso non avendo il Ministero debitore provveduto a corrispondere quanto dovutogli.
Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia eccependo il difetto di legittimazione, l’inammissibilità della domanda e chiedendone, in ogni caso, il rigetto.
A seguito di integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Corte d’Appello di Lecce rigettava l’opposizione, condannando controparte al pagamento delle spese di lite.
-Avverso tale decreto il suddetto legale ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il Ministero della Giustizia si è costituito con controricorso.
4. -A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, il ricorrente ha chiesto la decisione.
Parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 93, 100 e 112 cod. proc. civ. -Omesso esame del thema decidendum ed omessa decisione sulla domanda proposta dall’avv. NOME COGNOME in proprio -erronea motivazione e violazione artt. 1 bis e 3, comma 1, legge n. 89/2001 e dell’art.6 par.1 convenzione europea diritti dell’uomo -Omessa applicazione dei principi di diritto affermati con le sentenze della Corte di cassazione – Sezioni unite n. 19883/2019 e n. 1637/2010. Al riguardo, si sostiene che la Corte territoriale avrebbe palesemente travisato la domanda formulata nel ricorso monitorio, escludendo la legittimazione attiva del ricorrente. Si evidenzia che, con la sentenza n. 16307/2010 richiamata dalla Corte territoriale, le Sezioni Unite non escludono che l’avvocato distrattario abbia interesse a far valere un pregiudizio derivante dalla durata del giudizio presupposto di cognizione, limitandosi ad evidenziare ‘l’autonomia e l’estraneità del provvedimento sulla distrazione rispetto alla pronuncia sul merito, e perciò escludendo l’estensione al primo dei mezzi di reazione processuale che la legge riconosce contro l’altra’. Le Sezioni Unite, aderendo alle più recenti pronunce, ‘hanno ritenuto doveroso ricercare nell’ordinamento strumenti di garanzia della situazione giuridica fatta valere, alternativi e meno dispendiosi del ricorso al giudice di legittimità (Cass. 11965 e 13982/2009; 14831/2010): ravvisandoli nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt.287 e 288 cod. proc. civ., giustificato dalla necessità di porre rimedio ad un errore solo formale, estraneo alla decisione, in quanto determinato da una divergenza evidentemente e facilmente
individuabile, che lascia immutata la conclusione adottata’; inoltre, le Sezioni Unite avrebbero confermato l’esistenza dell’interesse dell’avvocato antistatario alla durata ragionevole del processo, in cui era stata formulata l’istanza ex art. 93 cod. proc. civ.
Parte ricorrente, inoltre, denuncia l’erronea interpretazione e applicazione dell’art. 93 cod. proc. civ. Infatti, se è giuridicamente corretto affermare che l’avvocato antistatario non assume la qualità di parte nel processo di merito avviato a nome e nell’interesse del proprio cliente, non sarebbe altrettanto corretto affermare che il difensore antistatario non assuma la qualità di parte processuale, agendo in proprio nello speciale procedimento disciplinato, nelle modalità e nei tempi, dall’art. 93 cod. proc. civ., azionando ‘con l’istanza di distrazione un diritto soggettivo autonomo, ancorché indissolubilmente legato alla sentenza che contiene la condanna alle spese nei confronti della controparte: perciò acquisendo la qualità di parte in senso proprio, che legittima la proposizione delle impugnazioni ordinarie, anche se la stessa non può investire sotto alcun profilo i rapporti tra le parti, ma resta ‘rigorosamente limitata all’ambito del suo interesse giuridicamente riconosciuto alle spese processuali, né da tale ambito può sconfinare in nessun caso’ (Cassazione SS. UU. n. 16037/2010). Né sarebbe giuridicamente corretto disconoscere che esista un diritto soggettivo del difensore antistatario a ottenere il pagamento degli onorari, in quanto laddove vi è una sentenza o altra decisione giudiziale definitiva che riconosce un diritto di credito, questo presume necessariamente che (dalla sent.n. 19883/2019 Sezioni Unite) ‘nel processo civile o amministrativo, sia stata fatta valere dinanzi al giudice una situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio e questa sia stata riconosciuta al suo titolare con decisione definitiva ed obbligatoria (fase processuale della cognizione)’.
Sul thema decidendum , si evidenzia come erroneamente la Corte ha ritenuto che l’odierno ricorrente abbia fatto valere un
pregiudizio derivante dalla durata del giudizio presupposto di cognizione, in cui non è stato parte; laddove, diversamente, l’odierno ricorrente ha agito per far valere il pregiudizio derivatogli dalla durata irragionevole di un procedimento ex l. 89/2001 in cui, non potendo esercitare il suo diritto in un autonomo giudizio, ha fatto valere con l’istanza di distrazione un diritto soggettivo autonomo, ancorché indissolubilmente legato alla sentenza che contiene la condanna alle spese nei confronti della controparte: perciò acquisendo la qualità di parte in senso proprio, che legittima la proposizione delle impugnazioni ordinarie, anche se la stessa non può investire sotto alcun profilo i rapporti tra le parti, ma resta ‘rigorosamente limitata all’ambito del s uo interesse giuridicamente riconosciuto alle spese processuali, né da tale ambito può sconfinare in nessun caso’ (Cassazione SS. UU. n. 16037/2010).
Sulla natura della fase processuale di cognizione e quella di esecuzione, la Corte territoriale avrebbe contravvenuto ai principii di diritto enunciati nella sentenza n. 19883/2019 delle Sez. Un., erroneamente scindendo le due fasi. Sarebbe evidente la diretta applicabilità del principio di ‘effettività della tutela giurisdizionale’ al ‘processo’ avviato dall’avv. NOME COGNOME con la richiesta di distrazione delle spese formulata alla Corte di Appello di Lecce, ex art. 93 cod. proc. civ.; argomentare diversamente comporterebbe affermare la possibile esistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di una sentenza definitiva emessa nei confronti di un soggetto ‘parte nel processo’ e a favore di un soggetto che ‘non è parte’.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ -Travisamento del thema decidendum -Erronea motivazione e violazione artt. 1 bis e 3, comma 1, legge n. 89/2001 e dell’art. 6 par. 1 Convenzione europea diritti dell’uomo -Omessa applicazione dei principi di diritto affermati con la sentenza della Corte di cassazione – Sezioni unite n. 19883/2019 e richiamati con la sentenza della Corte di cassazione
n. 18577/22. La Corte territoriale, pur riconoscendo all’odierno ricorrente che ‘ egli è munito di interesse ad agire e di legittimazione solo per la fase esecutiva o di ottemperanza, esperita in forza del un titolo esecutivo autonomo, ossia la pronuncia di distrazione delle spese ‘, avrebbe erroneamente calcolato la durata della ‘fase esecutiva’, limitandosi a conteggiare la durata dei singoli giudizi, omettendo di applicare i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19883/2019: ‘ la fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato-debitore inizia con la notifica dell’atto di pignoramento e termina allorché diventa definitiva la soddisfazione del credito indennitario ‘ . Con riferimento al computo della durata della fase esecutiva, alla odierna fattispecie dovrebbero applicarsi i principi espressi con Ordinanza n. 18577/22, con cui la Corte di cassazione ha ritenuto che la fase cognitiva di cui alla legge n. 89/01 va considerata unitariamente rispetto a quella esecutiva, escludendo dal tempo del processo solo l’intervallo che intercorre tra la fine della prima e l’inizio della seconda.
Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo -Interesse ad agire e legittimazione attiva -Sentenza Sezioni Unite Cassazione n. 19883/2019 -Sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 8562/2021. Si evidenzia come erroneamente – e in violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU – la Corte territoriale non ha riconosciuto l’interesse dell’odierno ricorrente a far valere un pregiudizio derivante dalla durata del processo presupposto di cognizione, valutando l’interesse ad agire e la legittimazione attiva solo per la fase esecutiva o di ottemperanza. Al contrario sarebbe evidente nel ricorrente la qualità di ‘parte di un processo’, ai sensi dell’art. 1 bis della l. n. 89/2001, avendo fatto ‘ valere dinanzi al giudice una situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio … riconosciuta al suo titolare con decisione definitiva ed obbligatoria (fase processuale della cognizione) ‘ ,
rispettando le modalità ed i tempi dell’azione stabiliti dall’art.93 cod. proc. civ., trattandosi di uno speciale diritto e di una speciale azione che trovano nel procedimento principale soltanto l’occasione ‘obbligatoria e necessaria’ per il loro esercizi o da parte del difensore antistatario; pertanto, dal punto di vista del diritto sostanziale l’art.93 cod. proc. civ. contemplerebbe un caso che fa eccezione essenzialmente sotto un profilo alla disciplina comune posta dall’art. 91 cod. proc. civ., consentendo l’art. 93 cod. proc. civ. al difensore, a determinate condizioni, d’inserirsi nel processo, affiancandosi alla parte difesa, per domandare ed ottenere di essere riconosciuto, nel caso di soccombenza della controparte, esclusivo creditore delle spese del giudizio.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
Al di là di una prospettazione non lineare delle questioni, ai limiti dell’inammissibilità, che peraltro in gran parte riproducono i temi già prospettati alla Corte d’appello, e di una personale rilettura delle decisioni di questa S.C., richiamate per punti giustapposti, le doglianze non meritano accoglimento.
Secondo la costante e uniforme giurisprudenza di questa Corte, l’istanza di distrazione delle spese processuali consiste nel sollecitare l’esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali e non introduce, dunque, una nuova domanda nel giudizio, perchè non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale (Cass., Sez. VI-3, 25 ottobre 2017, n. 25247; Cass., Sez. III, 15 aprile 2010, n. 9062).
Avendo la domanda di distrazione delle spese formulata dall’avvocato antistatario valenza incidentale e non costituendo domanda autonoma, quest’ultimo non ha diritto all’indennizzo per l’irragionevole durata del processo nel quale ha prestato la propria opera professionale, non comportando ciò la violazione dell’art. 6
CEDU, il quale stabilisce che ogni persona ha diritto a che si svolga in tempi ragionevoli il “suo” processo, non quello di altri al quale, per ragioni diverse e interne, sia altrimenti interessata pur senza diventarne parte in senso stretto (Cass., Sez. II, 4 maggio 2023, n. 11623; Cass., Sez. II, 18 maggio 2022, n. 15964).
Vi è inoltre da osservare che in virtù del provvedimento di distrazione delle spese processuali in favore del difensore con procura della parte vittoriosa, ex art. 93 cod. proc. civ., si instaura, fra costui e la parte soccombente, un rapporto autonomo rispetto a quello fra i contendenti che, nei limiti della somma liquidata dal giudice, si affianca a quello di prestazione d’opera professionale fra il cliente vittorioso ed il suo procuratore, sicché rimane integra la facoltà di quest’ultimo di rivolgersi al cliente, oltre che per la parte del credito professionale che ecceda la somma liquidata dal giudice che gli sia stata corrisposta dalla parte soccombente, anche per l’intera somma dovutagli, per competenze professionali e spese, nonostante la distrazione disposta. (Cass., Sez. VI-2, 21 maggio 2021, n. 14082; Cass., Sez. III, 12 novembre 2008, n. 27041).
Corretta risulta, pertanto, la decisione impugnata che ha negato l’indennizzabilità della pretesa avanzata dall’avvocato distrattario, escludendo comunque per la fase esecutiva la sussistenza dei presupposti per ottenere l’indennizzo, essendosi il giudizio di ottemperanza, iniziato il 5 aprile 2016, definito con sentenza del Tar Lazio del 10 febbraio 2017 con cui veniva dichiarata l’ inammissibilità del ricorso mentre il secondo giudizio di ottemperanza, definito con sentenza depositata il 21 luglio 2020, ha avuto una durata di un anno, 8 mesi e 7 giorni, l’app ello dinanzi al Consiglio di Stato era pendente alla data di proposizione del l’ istanza di indennizzo, per una durata complessiva inferiore ai tre anni fissati come termine ragionevole per il giudizio esecutivo dell’articolo 2, comma 2 bis, della legge 89 del 2001.
2. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Essendo la decisione resa nell’ambito del procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96 commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Trattandosi di ricorso in materia di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2021, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, in tema di raddoppio del contributo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1250,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito Condanna altresì parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di euro 1.250,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. – al pagamento della somma di euro 600,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione