Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13153 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13153 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 706/2020 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
OZIMO CARMELO
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO REGGIO CALABRIA n. 592/2019 depositata il 15/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente causa trae origine dalla denunzia di nuova opera proposta, con ricorso del 9 novembre 2007, da NOME nei confronti di COGNOME NOME dinanzi al Tribunale di Palmi, sezione distaccata di Cinquefrondi. La ricorrente, proprietaria di un fabbricato a tre elevazioni fuori terra, sito in Laureana d Borrello, aveva denunziato che la vicina NOME COGNOME, nel demolire e ricostruire l’adiacente fabbricato di sua proprietà, ne aveva
aumentato la volumetria e l’altezza, realizzando la copertura a una distanza di mezzo metro dalla sovrastante finestra della ricorrente. Ordinata in via cautelare la sospensione dei lavori, il Tribunale di Palmi, con sentenza n. 887/201 del 17 novembre 2014, accoglieva la domanda, ordinando la riduzione in pristino.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, adita da NOMECOGNOME erede della convenuta NOME, ha riformato la sentenza rigettando la domanda.
La Corte di merito ha accertato che, in effetti, nel ricostruire il proprio fabbricato, la Ozimo aveva apportato aumento di volumetria e di altezza. In particolare, in conseguenza della diversa ricostruzione, la differenza di quota tra la soglia della finestra del terzo piano dell’edificio della Reitano e l’estradosso del tetto dell’edificio del vicino, originariamente di mt. 1,86, misurava attualmente mt. 1,30; inoltre ha accertato che il nuovo tetto aveva una sporgenza maggiore di 28 cm rispetto a quello precedente; nondimeno, secondo la Corte d’Appello, la domanda della Reitano era ugualmente infondata, in assenza della prova che la modificazione avesse comportato un effettivo pregiudizio al diritto di veduta della medesima, tenuto conto che il tetto dell’edificio Ozino «seppure innalzato di quota al sommo, è rimasto ben al di sotto della soglia inferiore della finestra del terzo piano della Reitano e considerato che, stando alle rappresentazioni grafiche e fotografiche in atti, la veduta oggetto di pretesa tutela non costituisce una veduta diretta (che consente cioè l’affaccio frontale verso il fondo del vicino), bensì una veduta obliqua verso il basso, per la quale veduta – va detto – secondo legge è sufficiente sia osservata la distanza di 75 cm dalla vicina proprietà (art. 906) c.c.».
Per la cassazione della decisione la COGNOME ha proposto ricorso, affidato a un solo motivo.
NOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1171 e 907 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Secondo la tesi del ricorrente, appurato che la costruzione, realizzata dal vicino in seguito alla demolizione di quella preesistente, aveva un’altezza maggiore, presentando inoltre una maggiore sporgenza del tetto, la domanda andava accolta, in quanto l’avanzamento verso l’esterno della falda del tetto aveva determinato una restrizione sul preesistete diritto di veduta della Reitano verso il basso fino alla base dell’edificio.
Il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 907 c.c. il vicino che costruisce per secondo deve rispettare la distanza di tre metri dalle vedute dirette e di 75 centimetri dalle vedute obblique. Questa Corte ha chiarito che dal collegamento del secondo comma con il primo comma dell’art. 907 c.c. risulta che l’obbligo di mantenere la distanza di tre metri anche dalla finestra da cui si esercita la veduta obliqua non può che riferirsi allo stesso soggetto di cui al primo comma, cioè al proprietario dell’unico fondo servente, con la conseguenza che, quando la veduta sia soltanto obliqua su di un fondo, il proprietario di questo non è tenuto a rispettare la distanza di tre metri, ma solo quella di settantacinque centimetri dal più vicino lato della veduta (Cass. n. 13109/1992; n. 724/1995; n. 4962/2001; n. 12479/2002; n. 29742/2024).
Nel caso in esame, non si risulta l’esistenza di una veduta in appiombo; in particolare, la Corte d’appello ha riconosciuto , con accertamento in fatto, qui non sindacabile, che non si trattava di veduta diretta, ma di veduta obbliqua verso il basso (v. pag. 9 sentenza). A tale considerazione, la quale di per sé non ha costituito oggetto di censura, la Corte d’appello ha fatto seguire l’esatta considerazione (in linea con la citata giurisprudenza) che in questo caso è sufficiente che sia osservata la distanza di 75 cm dalla vicina proprietà. Risulta ancora dalla sentenza impugnata che tale minore distacco di 75 cm dalla veduta continuava a sussistere pure a seguito delle modifiche del tetto apportate nel fabbricato del vicino.
Giova ancora richiamate il principio secondo cui l’innalzamento del livello di quota del fabbricato non è di per sé idonea ad alterare il contenuto di una servitù di veduta esercitata sul tetto medesimo, a meno che il titolare dello ius in re aliena non provi che l’innalzamento abbia, in concreto, modificato, riducendola ed ostacolandola, la veduta stessa (Cass. n. 1675/2003). Nello stesso senso, è stato precisato che la trasformazione di un tetto in terrazza, anche se comporti un leggero innalzamento del livello di quota dei fabbricati, non è idoneo in sé e per sé ad alterare il contenuto di una servitù di veduta in precedenza esercitata sul tetto, a meno che il titolare di essa non provi che un uso abnorme del terrazzo o l’innalzamento del fabbricato abbiano in concreto modificato, riducendolo, il suo diritto (Cass. n. 1268/1989).
Le massime sono riferite alla servitù di veduta, ma la conclusione non può essere diversa per le vedute aperte iure dominii : la disciplina delle distanze per le vedute, contenuta nell’art 907 c.c. vale per tutte le vedute, indipendentemente dal fatto che esse
siano state aperte iure proprietatis o iure servitutis (Cass. 1291/1980. In questa diversa prospettiva, pertanto, la prioritaria affermazione della corte di merito, nella parte in cui riconosce che l’innalzamento del tetto non avesse in alcun modo pregiudicato la facoltà di inspicere e prospicere esercitata dalla veduta dell’attuale ricorrente, riflette un accertamento in fatto (qui non ripetibile) che, in linea di principio, non rileva alcun errore di diritto nella ricognizione della fattispecie. Identica considerazione la corte di merito ha proposto con riguardo alla sporgenza del tetto.
La ricorrente richiama Cass. 5732 del 2019 in tema di vedute in appiombo, ma il richiamo non vale di per sé a incrinare la logica della decisione, fondata sull’assenza di qualsiasi pregiudizio rispetto ai procedenti modi di esercizio del diritto, senza distinzione fra veduta diretta, obbliqua o in appiombo.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto difese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione il 06/02/2025.
Il Presidente NOME COGNOME