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Distanze vedute oblique: la nuova costruzione è lecita?

Una proprietaria denuncia la nuova opera del vicino, il cui tetto ricostruito è più alto e voluminoso. La Cassazione respinge il ricorso, stabilendo che per le distanze vedute oblique è sufficiente rispettare il limite di 75 cm. Il semplice innalzamento non costituisce violazione se non si prova un concreto e specifico pregiudizio al diritto di veduta.

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Distanze vedute oblique: quando la costruzione del vicino è legittima?

Nei rapporti di vicinato, la costruzione o ristrutturazione di un edificio può facilmente diventare fonte di conflitto, specialmente quando si toccano i diritti di luce e veduta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio questo tema, offrendo chiarimenti cruciali sulle distanze vedute oblique e sull’onere della prova in caso di presunto danno. Il caso esaminato riguarda la denuncia di una proprietaria contro la vicina, che aveva innalzato e aumentato il volume del proprio tetto durante una ristrutturazione.

I Fatti di Causa

La vicenda ha inizio quando una proprietaria di un immobile a tre piani cita in giudizio la vicina per una denunzia di nuova opera. La vicina, nel demolire e ricostruire il proprio fabbricato adiacente, ne aveva aumentato l’altezza e la volumetria, realizzando una copertura a una distanza che la ricorrente riteneva lesiva del proprio diritto di veduta da una finestra.

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione alla proprietaria, ordinando la “riduzione in pristino”, ossia il ripristino della situazione precedente. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, respingendo la domanda. Secondo i giudici di secondo grado, pur essendo vero che la nuova costruzione era più alta e sporgente, la proprietaria non aveva fornito la prova di un effettivo pregiudizio al suo diritto. La Corte ha inoltre qualificato la veduta come “obliqua” e non diretta, applicando quindi una disciplina differente sulle distanze.

La Decisione della Cassazione sulle distanze vedute oblique

La proprietaria ha quindi presentato ricorso in Cassazione, ma senza successo. La Suprema Corte ha confermato la sentenza d’appello, rigettando il ricorso e consolidando importanti principi in materia.

La Distinzione tra Veduta Diretta e Obliqua

Il fulcro della decisione risiede nell’articolo 907 del Codice Civile, che stabilisce le distanze delle costruzioni dalle vedute. La norma impone una distanza di tre metri per le vedute dirette (quelle che si esercitano guardando frontalmente), ma solo di settantacinque centimetri per le vedute oblique o laterali. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva accertato in fatto che la veduta in questione era obliqua verso il basso. Di conseguenza, la distanza da rispettare era quella minima di 75 cm, che risultava osservata anche dopo la nuova costruzione.

L’Onere della Prova del Pregiudizio Effettivo

Un altro punto cruciale sottolineato dalla Cassazione è che il semplice innalzamento di una costruzione vicina non è di per sé sufficiente per dimostrare una violazione del diritto di veduta. Chi si ritiene danneggiato ha l’onere di provare che tale modifica ha, in concreto, ridotto o ostacolato la sua possibilità di inspicere et prospicere (guardare e affacciarsi). Nel caso in esame, la ricorrente non è riuscita a fornire tale prova. Il tetto del vicino, seppur più alto, rimaneva ben al di sotto della soglia della finestra, non impedendo la visuale.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione ribadendo che l’accertamento sulla natura della veduta (diretta o obliqua) è una valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizi logici non riscontrati nel caso specifico. Una volta stabilito che si trattava di veduta obliqua, la Corte d’Appello ha correttamente applicato la norma che prevede una distanza di 75 cm. La Suprema Corte ha inoltre chiarito che il principio secondo cui l’innalzamento di un fabbricato non altera di per sé una servitù di veduta, a meno che non si provi un danno concreto, si applica a tutte le vedute, sia quelle costituite per servitù (iure servitutis) sia quelle esercitate per diritto di proprietà (iure dominii). Pertanto, l’argomentazione della ricorrente è stata giudicata infondata, in quanto non ha dimostrato un reale pregiudizio rispetto alla situazione precedente.

Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione pratica fondamentale per i proprietari di immobili: non basta lamentare che la nuova costruzione del vicino sia più alta o più grande per ottenere tutela legale. Se la legge sulle distanze è rispettata, in particolare per le distanze vedute oblique, è necessario fornire una prova concreta e specifica del danno subito al proprio diritto di affaccio e di visuale. In assenza di tale prova, l’azione legale è destinata a fallire. La decisione riafferma la centralità dell’onere della prova e la distinzione normativa tra i diversi tipi di veduta, fornendo un criterio chiaro per risolvere molte dispute di vicinato.

Qual è la distanza minima che un vicino deve rispettare quando costruisce vicino a una finestra da cui si esercita una veduta obliqua?
Secondo l’art. 907 c.c., richiamato nella decisione, per le vedute oblique è sufficiente rispettare la distanza di settantacinque centimetri dal più vicino lato della veduta.

L’innalzamento del tetto di un vicino è sempre illegale se limita la visuale?
No. Secondo la Corte, l’innalzamento del livello di quota di un fabbricato non è di per sé idoneo a ledere un diritto di veduta. È necessario che il titolare del diritto provi che tale modifica abbia, in concreto, modificato, ridotto o ostacolato la veduta stessa.

Chi deve provare che la nuova costruzione danneggia effettivamente il diritto di veduta?
L’onere della prova spetta a chi lamenta la lesione del proprio diritto. La parte ricorrente deve dimostrare che la modifica edilizia del vicino ha causato un effettivo e concreto pregiudizio alla sua facoltà di veduta, non essendo sufficiente il solo fatto che la nuova costruzione sia più alta o voluminosa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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