Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11193 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11193 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14976/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, giusta procura speciale in atti;
-ricorrente; controricorrente al ricorso incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, giusta procura speciale in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 101/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 09/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/03/2023 dal Consigliere AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 12.7.2002, la RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Patti – Sezione distaccata di Sant’Agata Militello, denunciando in via cautelare, ai sensi dell’art. 1171 c.c., la nuova opera in corso di realizzazione da parte della RAGIONE_SOCIALE, costituita da un fabbricato che non rispettava né le distanze tra costruzioni né quelle in tema di vedute.
Conclusasi la fase cautelare con un’ordinanza che disponeva la sospensione dei lavori da parte di RAGIONE_SOCIALE, la ricorrente chiedeva nel merito la demolizione delle opere ed il risarcimento del danno.
Con sentenza n. 44/2014, il Tribunale di Patti condannava RAGIONE_SOCIALE ad arretrare i balconi a forma triangolare posti al secondo ed al terzo piano a metri cinque dal confine con il fondo di proprietà di RAGIONE_SOCIALE; rigettava, invece, la domanda di violazione delle distanze tra la parete posta a confine ed il fondo di proprietà dell’attrice nonché quella di risarcimento danni.
Contro la sentenza del Tribunale proponeva appello RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di dichiarare che NOME non aveva diritto a mantenere la parete finestrata realizzata al primo piano ed ai piani superiori del fabbricato, essendo posta a ad una distanza inferiore di mt 5 prevista dal Piano Regolatore Generale del Comune di Capo d’Orlando e, conseguentemente, condannarla ad arretrare la
suddetta parete e dichiarare che l’immobile di RAGIONE_SOCIALE non era gravato a favore dell’immobile di RAGIONE_SOCIALE da servitù di mantenimento di costruzione a distanza inferiore a quella legale.
Si costituiva in giudizio, proponendo appello incidentale, RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di riformare la sentenza nella parte in cui veniva disposto l’arretramento dei balconi posti al secondo ed al terzo piano a mt 5 dal confine.
Con sentenza n. 101/2018 la Corte di Appello di Messina rigettava sia l’appello principale che quello incidentale e per l’effetto confermava la sentenza del Tribunale di Patti n. 44/2014.
La Corte di merito, qualificata come nuova costruzione l’edificio edificato dalla convenuta, accertava che i balconi finestrati posti al secondo e terzo piano si trovavano in posizione obliqua rispetto al confine e non fronteggiavano l’edificio della RAGIONE_SOCIALE, secondo quanto risultava dalla relazione del CTU. La sentenza impugnata riteneva non applicabile l’art.873 c.c. agli edifici che non si fronteggiano e rilevava che la parete finestrata oggetto di contestazione, oltre ad essere posta ad angolo, era costruita ‘in ritiro’ rispetto alla linea di confine. Infine, la Corte distrettuale accertava che dai balconi triangolari posti al secondo e terzo piano della RAGIONE_SOCIALE era possibile esercitare la veduta in violazione delle distanze previste dall’art.905 c.c. e dal PRG del Comune di Capo d’Orlando.
Avverso la sentenza della Corte d’appello propone ricorso per Cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione resiste con controricorso e propone ricorso incidentale articolato in cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto controricorso per resistere al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
La causa è stata decisa all’adunanza del 15 marzo 2023.
Con provvedimento del 10.4.2024, il Presidente ha designato ex artt. 380 e 276 cpc il AVV_NOTAIO NOME per la stesura della motivazione, atteso l’impedimento del AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo del ricorso principale, si denuncia la violazione e falsa applicazione della normativa dettata dal P.R.G. vigente nel Comune di Capo d’Orlando in materia di distanze delle costruzioni dal confine, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. La ricorrente deduce che la sentenza impugnata, dopo aver dato atto che le norme del PRG del Comune di Capo d’Orlando prescrivono che la nuova costruzione deve rispettare la distanza di dieci metri tra fabbricati e di metri cinque dal confine, ha erroneamente ritenuto che non fosse applicabile la normativa sulle distanze perché la parete finestrata si trovava in posizione obliqua rispetto al confine e non fronteggiava l’edificio della RAGIONE_SOCIALE mentre sarebbe irrilevante la circostanza che i fabbricati di rispettiva proprietà non fossero frontistanti in quanto la norma del PRG prevede anche la distanza delle costruzioni dai confini. La Corte avrebbe quindi errato nell’applicare la disciplina relativa alle distanze tra costruzioni realizzate su fondi finitimi mentre avrebbe dovuto tener conto della distanza delle costruzioni dal confine.
Il motivo è fondato.
La Corte distrettuale ha rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALE di violazione delle distanze in quanto la parete finestrata sulla quale erano stati costruiti i balconi triangolari risultava in posizione obliqua rispetto al confine e non fronteggiava l’edificio della ricorrente.
In primo luogo, i ricorrenti hanno dedotto la violazione delle distanze dal confine sicchè è irrilevante stabilire se gli edifici si fronteggino; inoltre -ed il rilievo è decisivo -la distanza dal confine era stabilita dai regolamenti locali che hanno funzione integrativa del codice civile.
Il giudice a quo non ha considerato che quando le distanze sono previste dai regolamenti locali non rileva il fatto che gli edifici si fronteggino.
Come costantemente affermato da questa Corte, le norme dei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze tra le costruzioni, e di esse dal confine, sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive tra edifici frontistanti, ma anche a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità edificatoria in relazione all’ambiente, sicché, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che le costruzioni si fronteggino e dall’esistenza di un dislivello tra i fondi su cui esse insistono (Cassazione civile sez. VI, 18/02/2014, n.3854; Cass. 19350/2005).
Si rende pertanto necessaria la cassazione della sentenza.
Il secondo motivo del ricorso principale, con cui si censura la violazione degli artt. 91 c.p.c. e 92 c.p.c. è, di conseguenza, assorbito.
Il ricorso incidentale è articolato in cinque motivi.
3.1.Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 900 e 905 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha considerato vedute i balconi triangolari costruiti sull’edificio della RAGIONE_SOCIALE, nonostante gli stessi si affaccino in uno spazio interno al fondo, ossia la chiostrina, e non presentino i requisiti della inspectio e della prospectio sul fondo del vicino.
3.2. Con il secondo motivo – rubricato ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 905 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.’ -la ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto l’arretramento dei balconi posti al secondo ed al terzo piano a mt 5, anziché a mt 1,5, dal confine con il fondo di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, in deroga all’art. 905 c.c. La Corte d’appello avrebbe illegittimamente ritenuto applicabile anche alle vedute la distanza di mt 5 che il regolamento del Comune di Capo D’Orlando impone per gli edifici al confine.
3.3. Il terzo motivo (‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.’) contesta l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che non fossero eliminabili per altra via le violazioni riscontrate, nonostante la giurisprudenza di legittimità ammetta altri strumenti, quale ad esempio quelli individuati dal CTU (sostituzione della ringhiera con dei muretti).
3.4. Il quarto motivo è titolato ‘Erroneità/illegittimità/nullità e/o annullabilità della sentenza impugnata nella parte in cui considera nuova costruzione il fabbricato della RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’art.
360 comma 1, n. 3 c.p.c.’. Con tale mezzo la ricorrente incidentale deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto nuova costruzione l’edificio della RAGIONE_SOCIALE, senza considerare che si trattava invece di una ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente, avendo mantenuto il perimetro e le distanze dagli edifici preesistenti. Di conseguenza la sentenza impugnata avrebbe errato nella parte in cui ha ritenuto applicabile nel caso di specie -per il solo fatto che l’edificio è stato sopraelevato -le norme richiamate del Piano Regolatore di Capo d’Orlando che sono relative alla nuova edilizia.
3.5. Con il quinto motivo, la ricorrente incidentale deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha compensato tra le parti le spese di lite, prospettando la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 1 commi 17 e 18 L. 288/2012, in relazione ex art. 360 n. 3 c.p.c.
Per ragioni di priorità logico -giuridica, va esaminato il quarto motivo.
4.1. Esso è fondato.
4.2. La Corte messinese ha constatato che nel progetto di variante alla concessione edilizia n. 250/1997 a firma dell’architetto COGNOME era stata prevista la demolizione parziale e la ricostruzione di un preesistente edificio in quanto mentre originariamente l’edificio si sviluppava in un solo piano, la nuova costruzione prevedeva tre elevazioni fuori terra. Trattandosi di nuova costruzione, è stato ritenuto applicabile il PRG del Comune di Capo d’Orlando, il quale prescrive per le nuove costruzioni una distanza di metri 10 tra fabbricati e metri 5 tra i confini di lotto.
La Corte di Appello non ha però considerato che, in caso di demolizione e successiva ricostruzione, la “nuova costruzione” è sottoposta nel suo complesso alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della sua edificazione solo ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese alle ricostruzioni. In caso contrario, ove una siffatta norma non esista, il manufatto va considerato come nuova costruzione solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario” (cfr., per tutte, Cass. s.u. 21578/2011, che ha richiamato Cass. n. 19287/2009; Cass. n. 9637/2006) e la demolizione va disposta non integralmente ma per i volumi eccedenti, da accertare in concreto (Cass. n. 12196/2022).
Il giudice del rinvio dovrà pertanto verificare se la normativa urbanistica locale prevedesse -al momento della realizzazione del nuovo manufatto -l’estensione alle ricostruzioni delle disposizioni riguardanti le nuove costruzioni, tenendo altresì conto delle novità normative nel frattempo sopravvenute.
A tal riguardo si deve considerare che l’art. 31, comma primo, lettera d), L. 457/1978 qualificava come interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare i manufatti mediante un insieme sistematico di opere idonee a condurre ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con formula idonea ad includere non soltanto le opere che riguardassero un fabbricato ancora esistente (e, cioè, un’entità dotata quanto meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di copertura), ma anche la demolizione con fedele ricostruzione di un precedente manufatto, nel rispetto della sagoma, del volume e delle superfici preesistenti (cfr., in motivazione, Cass. 14786/2017; Cass. s.u. 21578/2011; Cass. 0 -2 22688/2009; Cass. 2009/3391).
La ricostruzione previa demolizione è stata espressamente contemplata dal successivo art. 3, comma primo, lett. d) del D.P.R. 380/2001, lasciando inalterato, con previsione in parte qua non innovativa, l’obbligo di conservare la sagoma e la volumetria dell’edificio demolito (cfr.’ art. 1, D.LGS. 301/2002, in vigore dal 5.2.2003: Cass. 22688/2009). Per effetto delle successive disposizioni del d.l. 69/2013, la ricostruzione doveva invece conservare la sola volumetria originaria, essendo progressivamente caduto il requisito dell’identità di sagoma -ad eccezione che per gli immobili vincolati ai sensi del D.LGS. 42/2004 -area di sedime e caratteristiche dei materiali (cfr. Consiglio di Stato 6666/2019; Consiglio di Stato 5106/2016).
Con l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto “sblocca cantieri”), era stato inserito il comma 1 -ter all’art. 2 -bis D.P.R. 380/2001, così reintroducendo sia il vincolo volumetrico che quello della precedente area di sedime, ma più di recente il legislatore -con l’art. 10, comma 1, lettera b), d.l. 76/2020, convertito con L. 120/2020 -ha ampliato la formula dell’art. 3, 7 comma 1, lettera d), TUE, prevedendo che, nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, siano ricompresi gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria per promuovere interventi di rigenerazione urbana. La disciplina è infine completata dall’attuale formulazione dell’art. 2 bis, comma 1
ter, D.P .R. 380/2001, che, a seguito della sostituzione adottata con l’art. 10, comma 1, lettera a), del già citato d.l. 76/2020, dispone che in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti.
In tutti i casi, l’intervento di demolizione-ricostruzione, indipendentemente dalla qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione, deve essere realizzato, ai fini delle distanze, sulla linea di confine del fabbricato demolito, anche quando questo sia legittimamente posto a una distanza da fabbricati e da confini inferiore da quelle attualmente previste (Cass. Civ., Sez. II, 11.5.2023, n.12751).
In conclusione, attualmente in ogni caso di demolizione con ricostruzione -e quindi anche in presenza di aumento di volumetria nei casi consentiti dall’art. 3 lettera d) TUE -la costruzione deve rispettare le distanze preesistenti, sempre che non sia possibile la modifica dell’originaria area di sedime in modo da osservare quelle in vigore al momento della realizzazione del manufatto che sostituisce quello originario, ove legittimamente realizzato secondo i criteri individuati dall’art. 9 bis TUE.
La disciplina sopravvenuta può risultare -in singoli casi -più favorevole, consentendo la nuova costruzione nel rispetto delle
distanze previgenti ove non sia possibile il rispetto di quella vigente al momento della costruzione mediante la modifica dell’area di sedime (sempre che ricorrano tutte le altre condizioni di legge). Come chiarito dalla relazione ministeriale al decreto semplificazioni (d.l. 76/2020), l’art. 2 comma 1 -ter ha rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma, stabilendo che, per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana, la ricostruzione sia comunque consentita con la sola osservanza delle distanze legittimamente preesistenti, qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano lo scivolamento dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini stabiliti dal DM n. 1444 del 1968″.
In definitiva, il giudice del rinvio, oltre a dover verificare se, in base alla disciplina locale, il regime delle ricostruzioni in vigore al momento della costruzione si applicasse anche alle nuove costruzioni, dovrà valutare se la disciplina sopravvenuta in tema di distanze di cui all’art. 2, comma 1 ter, D.P.R. 380/2001 risulti in concreto eventualmente più favorevole per la controricorrente, sempre che ne ricorrano le condizioni applicative: la nuova disciplina, se meno restrittiva, opera difatti anche per le costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore, onde non può disporsi la demolizione degli edifici, originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta, non essendosi formato -sul punto -il giudicato interno (Cass. 1565/2000; Cass. 4980/2007; Cass. 14446/2010; Cass. 15298/2016).
4.Sono assorbiti i restanti motivi.
La sentenza impugnata deve, pertanto, cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.
6.Il giudice di rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale ed il quarto motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione