Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34229 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34229 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
R.G.N. 14106/2021 C.C. 6/11/2024
DISTANZE
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14105/2021 ) proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e con elezione di domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta su foglio materialmente allegato al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e con elezione di domicilio digitale
all’indirizzo EMAIL;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 4235/2019, pubblicata il 7 ottobre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 novembre 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie depositate da entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 2433/2012, pubblicata il 14 novembre 2012, con cui la Corte di appello di Venezia rigettava l’impugnazione e confermava la sentenza n. 292/2009 pronunciata dal Tribunale di Padova – Sez. distaccata di Este, con cui era stato condannato ad eseguire a proprie spese alcune opere di sistemazione del pendio collinare e di modifica della illuminazione all’interno del fondo di sua proprietà, confinante con quello del sig. NOME COGNOME (odierno ricorrente), indicate dal consulente tecnico incaricato in sede di accertamento tecnico preventivo, nonché ad estirpare gli alberi piantati in prossimità del confine e a rifondere le spese di lite e di ATP.
Questa Corte, a seguito di ordinanza interlocutoria n. 4205/2015, depositata il 2 marzo 2015, con successiva ordinanza n. 16274/2017 -in accoglimento del ricorso proposto dal COGNOME -cassava con rinvio la sentenza d’appello ritenendola
viziata per difetto di motivazione sulle principali questioni del giudizio concernenti: -per un verso, l’esistenza di un pregiudizio alla proprietà del COGNOME derivante dalla modifica dello stato dei luoghi operata dal COGNOME e dal fascio di luce proveniente dal faro installato nella proprietà di costui; -per altro verso, ravvisando l’applicabilità delle norme di cui agli artt. 832, 900 e 907 c.c. alle modifiche del pendio del terreno con riferimento all’asserita riduzione della luce e della veduta della finestra del bagno.
A seguito di rituale riassunzione, la Corte di Appello di Venezia – decidendo in sede di rinvio con la sentenza n. 4235/2019 -riformava parzialmente la pronuncia di prime cure nella parte in cui il COGNOME era stato condannato ad eseguire le opere di sistemazione del pendio collinare, come specificate nella c.t.u., ivi comprese quelle, consequenziali alla modifica del sedime, di rifacimento del cancello di accesso al fondo, nonché quelle relative alla sostituzione del sistema di illuminazione.
Avverso la suddetta sentenza adottata all’esito del giudizio di rinvio ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME sulla base di tre motivi.
Il Consigliere delegato della Sezione, in persona del dr. NOME COGNOME ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., sul presupposto della ravvisata inammissibilità o manifesta infondatezza di tutti i motivi.
Il citato ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha
chiesto decidersi il ricorso in virtù del comma 2 dell’indicato art. 380 -bis c.p.c.
Il giudizio è stato, conseguentemente, fissato per l’adunanza camerale nelle forme dell’art. 380 -bis.1. c.p.c., in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. la nullità della sentenza e la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per essere incorso il Giudice del rinvio in un evidente errore di percezione in riferimento alle prove prodotte in giudizio, nonché per avere erroneamente posto le norme sulla distanza delle costruzioni in materie di vedute quali norme dirimenti la controversia.
Con il secondo il ricorrente prospetta -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 866, 913 e 833 c.c., per avere la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, erroneamente sussunto la fattispecie alle norme in materie di distanza tra le costruzioni e per aver posto a fondamento della decisione erronee premesse di fatto, ignorando gli atti e le risultanze istruttorie.
Con il terzo e ultimo motivo il ricorrente lamenta -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame di fatti decisivi, accertati nel corso del giudizio, sui quali il giudice di rinvio ha omesso la pronuncia ovvero ha ignorato, con motivazione apodittica, ogni mezzo istruttorio, ponendo alla base
della decisione fatti irrilevanti rispetto al petitum e alla causa petendi della controversia.
In primo luogo deve darsi atto dell’irrilevanza ai fini del presente giudizio -dell’avvenuto deposito da parte del ricorrente, ‘per opportuna conoscenza’, di atto di citazione relativo a domanda, proposta dal COGNOME NOME, diretta all’ottenimento della dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., di una donazione eseguita dallo stesso ricorrente NOME COGNOME in favore della consorte NOME.
Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile (o, comunque, manifestamente infondato) perché al di là del fatto che discorre di ‘errore di percezione’ (laddove, in effetti, si denuncia una scorretta valutazione) – con esso si censura, invero, l’apprezzamento del fatto e delle prove operata dalla Corte di appello, con riferimento, in particolare, alla mancata considerazione del fatto che il cancello realizzato dal COGNOME, lasciato sempre aperto, oscurava del tutto l’apertura esistente nella proprietà dello stesso ricorrente.
La Corte veneta, quale giudice di rinvio, ha ritenuto -sulla scorta dell’adeguata valutazione delle risultanze istruttore -che la finestra aperta dal COGNOME sul muro perimetrale della sua proprietà costituisse, in effetti, una luce e non una veduta, valorizzando anche la documentazione fotografica acquisita e la relazione del CTP del COGNOME, con conseguente inapplicabilità dell’art. 907 c.c. (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). Ha inoltre evidenziato, sempre in relazione all’apertura in
questione, che ‘… il limite … del rilevato del costruito INDIRIZZO risulta essere posto a circa mt. 4 di distanza dalla parete di INDIRIZZO COGNOME …’ (cfr. pag. 6 della sentenza), e che quindi erano – in ogni caso -state rispettate le distanze minime previste, per le vedute, dal citato art. 907 c.c.
In sostanza, la Corte di appello -con riferimento al cancello scorrevole -pur avendone considerato la sua presenza, ne ha, però, escluso un obbligo al rispetto delle distanze rispetto alla finestra del Giacometti (trattandosi di luce e non di veduta). Al riguardo, il motivo, nel lamentare la mancata valutazione della riduzione della luminosità dell’apertura quando il cancello è aperto, si presenta privo di specificità perché non rappresenta né dimostra la circostanza della perenne apertura del cancello stesso (limitandosi ad una mera affermazione -a pag. 12 del ricorso -assertiva che il cancello ‘ resta di fatto sempre aperto ‘), mentre tale circostanza non era rimasta accertata a seguito della c.t.u., risultando solo una schermatura ‘ a fine corsa ‘ (v. pag. 9 ricorso).
6. Il secondo motivo si profila inammissibile perché – per come esattamente accertato dalla Corte di appello – attiene ad una questione nuova (siccome dedotta, per la prima volta, con la comparsa conclusionale del giudizio di rinvio, perciò in modo del tutto inammissibile, stante anche la natura ‘ chiusa ‘ di tale giudizio, ragion per cui essa non poteva neppure essere posta in sede di riassunzione), ovvero a quella concernente
l’esistenza di vincoli idrogeologici, in relazione alla modifica del pendio collinare realizzata dal COGNOME.
Il terzo ed ultimo motivo è palesemente inammissibile perché del tutto generico, limitandosi a denunciare – in modo assolutamente apodittico -l’omesso esame di asseriti fatti decisivi e l’errato e/o mancato apprezzamento dei mezzi di prova, senza indicare minimamente quali siano i fatti decisivi e quali le prove erroneamente valutate, tendendo nel complesso il motivo a prospettare assertivamente un inadeguato apprezzamento delle risultanze probatorie da parte del giudice di rinvio, così sollecitando un inammissibile riesame delle stesse nella presente sede di legittimità.
In definitiva, il ricorso va integralmente respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Risultando la presente decisione adottata in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 1, c.p.c., devono essere adottate distintamente a carico del ricorrente – anche le statuizioni condannatorie previste dal citato art. 380 -bis, all’ultimo comma, nei termini sempre specificati in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, in un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Condanna lo stesso ricorrente al pagamento -a favore del controricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. -dell’ulteriore somma di euro 5.000,00, nonché, in applicazione dell’art. 96, comma 4, c.p.c., al pagamento dell’importo di euro 3.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda