Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10391 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10391 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31114/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1008/2020 depositata il 11/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia nasce da una domanda proposta nel 2006 da NOME COGNOME contro la società RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Salerno, in cui si denunciava la costruzione
da parte di quest’ultima di un muro, in aderenza a quello già esistente realizzato da COGNOME entro i limiti della sua proprietà. In particolare egli allegava di aver realizzato un muro di cinta alto 90 cm, sormontato da una cancellata di 1,23 m. Allegava poi che la società, proprietaria della particella confinante, aveva realizzato in aderenza un nuovo muro alto 1,30 m, dopo aver elevato la quota del piano di campagna. COGNOME lamentava danni estetici e infiltrazioni dovuti alla presenza di un’intercapedine tra i due muri, e domandava la declaratoria di illegittimità dell’opera e il ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni. La società convenuta sosteneva che l’opera realizzata fosse un muro di cinta conforme ai requisiti dell’art. 878 c.c. e che il livello del terreno non fosse stato modificato.
Il Tribunale rigettava la domanda di ripristino e dichiarava improcedibile quella risarcitoria.
Con atto di appello proposto nel 2017 il COGNOME censurava la decisione del Tribunale, negando che il muro della convenuta fosse un muro di cinta, bensì una costruzione soggetta alla disciplina degli artt. 873 e 877 c.c., e ribadendo che vi fosse stato un innalzamento del piano di campagna, con infiltrazioni nella sua proprietà.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello accoglieva parzialmente il gravame. Riteneva che muro e terrapieno, realizzati dalla convenuta, costituissero una costruzione complementare assentita con concessione edilizia n. 7 del 2003, e soggetta pertanto alla disciplina delle distanze. Stabiliva che, dove il muro della convenuta aderiva al fabbricato dell’attore, si dovesse applicare l’art. 873 c.c.; mentre, dove esso aderiva al muro di cinta, si dovesse applicare l’art. 877 c.c., imponendo l’eliminazione dell’interstizio e del dislivello di 40 cm , nonché l’uso di materiali idonei a evitare infiltrazioni. Condannava quindi la curatela della società nel frattempo fallita a rifare i lavori secondo tali criteri.
Ricorre in cassazione la curatela fallimentare della società con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste l’attore con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Col primo motivo si denuncia violazione degli artt. 112 e 2907 c.c. per ultrapetizione, in quanto la Corte di appello avrebbe statuito su una domanda non proposta dall’attore. Si afferma che la domanda introduttiva era limitata alla contestazione della costruzione realizzata dalla società in aderenza al muro di cinta della proprietà dell’attore, mentre la Corte di appello ha condannato la curatela alla demolizione del muro e del terrapieno, imponendo modifiche strutturali non richieste. Si contesta, inoltre, l’applicazione degli artt. 873 e 877 c.c., che disciplinano le distanze tra fabbricati e la costruzione in aderenza, sostenendo che la pretesa attorea era riferita esclusivamente alle distanze tra i due muri e non rispetto al fabbricato dell’attore.
Censurata è, in particolare, la seguente parte della sentenza: «La costruzione della convenuta, autorizzata dall’ente comunale consiste nel muro in aderenza e nel terrapieno ad esso addossato. Muro e terrapieno, nella proprietà della convenuta, fanno parte del progetto assentito con la concessione edilizia n. 7 del 17/01/2003, e sono tra essi complementari. Da ciò si evince che essi rivestono la qualità di costruzione. Laddove il muro di fabbrica aderisce al fabbricato, si applica l’art. 873 c.c., ossia occorre rispettare la distanza minima legale tra le costruzioni (muro della convenuta e fabbricato dell’attore) dei fondi finitimi, distanza di tre metri o, se maggiore, quella stabilita dal regolamento del Comune di Capaccio, applicabile ratione temporis. Nella parte in cui il muro della convenuta è stato costruito in aderenza al muro di cinta dell’attore, si applica l’art. 877 c.c. Ciò postula, perché sia rispettato il criterio dell’aderenza e la costruzione del nuovo muro non si risolva nella elusione dell’obbligo
di rendere comune il muro di confine (obbligo che si desume dalla lettera dell’art. 876 c.c.), che tra i due muri non vi siano interstizi e una differenza di altezza, ossia vanno eliminati l’interstizio e il dislivello tra i muri di 40 cm .
Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, pronunciandosi su una questione -la distanza tra il muro realizzato dalla società convenuta e il fabbricato dell’attore che non ha costituito oggetto di specifica domanda. Dalla stessa sentenza impugnata risulta, infatti, che l’attore aveva lamentato l’illegittimità dell’opera eseguita dalla convenuta per violazione delle distanze rispetto al muro posto a delimitazione della sua proprietà, ma non rispetto al fabbricato. Tuttavia, la Corte ha ritenuto di applicare l’art. 873 c.c., riguardante le distanze tra i fabbricati, e ha condannato la curatela al rifacimento dei lavori anche con riferimento a tale profilo, travalicando così i limiti oggettivi della domanda proposta.
Si rende pertanto ncessario cassare la sentenza e disporre nuovo esame sulla scorta delle domande rispettivamente proposte.
2 Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 99, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2907 c.c., sostenendosi che la Corte di appello avrebbe fondato la propria decisione su presunzioni errate e su valutazioni personali del c.t.u., senza esaminare correttamente le risultanze istruttorie. Si afferma che il c.t.u. avrebbe erroneamente dedotto l’innalzamento del piano di campagna dal raffronto con documentazione fotografica, senza alcuna prova diretta dell’intervento della società convenuta. Si sostiene che la Corte avrebbe considerato decisiva la consulenza tecnica senza che vi fossero prove testimoniali o documentali idonee a dimostrare la sopraelevazione del piano di campagna.
3 Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e dell’art. 878 c.c., rimproverandosi alla Corte d’Appello una
motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Premette la ricorrente che l’attore non ha mai lamentato la violazione delle distanze legali rispetto al proprio fabbricato; rileva inoltre che la Corte d’Appello ha attribuito natura di costruzione al muro del ricorrente sebbene non sia stata fornita alcuna prova dell’attività materiale di innalzamento del fondo, trattandosi di terrapieno naturale.
Si contesta la qualificazione della costruzione come muro di fabbrica soggetto alle distanze legali. Si afferma che il muro realizzato dalla società convenuta aveva funzione di contenimento di un terrapieno naturale e si sostiene che i muri di contenimento non sono soggetti alle distanze previste dall’art. 873 c.c. Si critica la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha imposto l’eliminazione dell’interstizio tra i due muri e, al fine di tale critica, si sostiene che il distacco tra le strutture era connaturato alla funzione del muro e che la sentenza ha operato un disgiungimento artificioso tra il muro e il terrapieno.
Il terzo motivo è fondato.
La Corte d’appello non solo ha considerato la distanza rispetto al fabbricato dell’attore, questione -come si è visto – mai dedotta, ma ha affermato che il muro della convenuta è un muro di fabbrica, senza però compiere accertamenti ed esplicitare i criteri che presiedono a tale qualificazione. Pertanto non si comprende su quali elementi la Corte l’ha fondata né se abbia valutato le dimensioni del muro per verificare la sussistenza dei requisiti normativi.
Il fondamento di una siffatta decisione non è percepibile e quindi vi sono gli estremi di una motivazione apparente e al di sotto del minimo costituzionale nel senso inteso dalla giurisprudenza (cfr. per tutte, Cass. SU n. 2767/2023 e Cass. SU 8053/2014).
Anche sotto tale profilo la sentenza va cassata imponendosi un nuovo esame per rimediare alle lacune segnalate, con logico assorbimento del secondo motivo.
Il giudice di rinvio (che si individua nella Corte di appello di Salerno, in diversa composizione) regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20/03/2025.