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Distanze tra costruzioni: quando si applica l’art. 907

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante la violazione delle distanze tra costruzioni. La controversia verteva su un muro e una terrazza realizzati a distanza inferiore a quella legale. La Corte ha confermato la decisione di merito, sottolineando che il ricorso mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, e ha ribadito l’inapplicabilità di deroghe in assenza di costruzioni in aderenza.

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Distanze tra Costruzioni: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

Il rispetto delle distanze tra costruzioni è una delle tematiche più frequenti e complesse nel diritto immobiliare, spesso fonte di accese liti tra vicini. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 1714/2024, offre importanti spunti di riflessione sui limiti del giudizio di legittimità e sulla corretta applicazione delle norme che regolano i rapporti di vicinato, in particolare l’art. 907 del Codice Civile.

I Fatti del Caso: Una Disputa tra Vicini

La vicenda trae origine dalla causa intentata dal proprietario di un appartamento contro la sua vicina. L’attore lamentava la realizzazione, da parte di quest’ultima, di due opere che riteneva lesive dei suoi diritti: un muro di mattoni costruito di fronte alla finestra del suo appartamento e l’ampliamento di una terrazza, entrambe a una distanza inferiore a quella legale di tre metri prevista dall’art. 907 c.c. per la tutela delle vedute. Di conseguenza, ne chiedeva la demolizione e il risarcimento dei danni.

Il Tribunale di primo grado, anche sulla base di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), accoglieva la domanda, ordinando la rimozione delle opere.

L’Analisi della Corte d’Appello

La proprietaria soccombente proponeva appello, ma la Corte territoriale confermava la decisione di primo grado. I giudici d’appello, basandosi sulla ricostruzione dei luoghi operata dal CTU, stabilivano un punto cruciale: i due immobili erano adiacenti ma non in aderenza. Questa distinzione è fondamentale, perché la deroga alla distanza minima di tre metri si applica solo nel caso di costruzioni in aderenza. Pertanto, la Corte concludeva che la realizzazione del muro violava effettivamente l’art. 907 c.c. Venivano inoltre respinte le argomentazioni della convenuta relative a un presunto consenso del vicino o alla preesistenza della terrazza.

Il Ricorso in Cassazione e le doglianze sulla violazione delle distanze tra costruzioni

Non soddisfatta, la proprietaria ricorreva in Cassazione, affidandosi a due principali motivi di contestazione.

Primo Motivo: Errata interpretazione delle norme sulle distanze

La ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel qualificare gli immobili come semplicemente ‘adiacenti’ invece che ‘in aderenza’. A suo avviso, questa errata interpretazione avrebbe portato all’impropria applicazione dell’art. 907 c.c., norma che non si applica quando gli edifici sono aderenti. Inoltre, introduceva un nuovo argomento: trattandosi di un condominio, la vicenda avrebbe dovuto essere valutata alla luce dell’art. 1102 c.c., che regola l’uso delle cose comuni.

Secondo Motivo: Vizio di motivazione sulla ricostruzione dei fatti

Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava un’erronea ricostruzione della fattispecie concreta, basata su una presunta errata valutazione delle prove, in particolare riguardo alla preesistenza della terrazza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo chiarimenti procedurali di grande importanza.

In primo luogo, ha ribadito un principio consolidato: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove. La contestazione della ricorrente sulla natura ‘aderente’ o ‘adiacente’ degli immobili rappresentava proprio un tentativo di sollecitare una nuova valutazione del fatto, attività preclusa in sede di legittimità. La valutazione del giudice di merito è insindacabile se, come in questo caso, è logicamente motivata.

Riguardo alla presunta violazione dell’art. 1102 c.c., la Corte ha rilevato che si trattava di una questione nuova, mai sollevata nei precedenti gradi di giudizio, e come tale inammissibile.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha applicato il cosiddetto principio della ‘doppia conforme’ (art. 348-ter c.p.c.). Poiché la sentenza d’appello aveva confermato la decisione di primo grado basandosi sullo stesso impianto argomentativo, senza che la ricorrente dimostrasse una reale differenza nelle ragioni di fatto delle due decisioni, il ricorso per vizio di motivazione era precluso.

Le Conclusioni: Principi di Diritto e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame ribadisce con forza la distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. Le parti non possono utilizzare il ricorso in Cassazione come un ‘terzo grado’ per ridiscutere l’accertamento dei fatti, come la qualificazione delle distanze tra costruzioni. La decisione sottolinea inoltre l’importanza di prospettare tutte le questioni rilevanti fin dai primi gradi di giudizio, poiché non è possibile introdurre nuovi temi di contestazione in Cassazione. Infine, viene confermata la rigidità del meccanismo della ‘doppia conforme’, che limita la possibilità di impugnare per vizi di motivazione sentenze d’appello che confermano quelle di primo grado sulla base di un analogo percorso logico-fattuale.

Quando una nuova costruzione viola la distanza legale per le vedute?
Secondo l’art. 907 c.c., richiamato nel caso di specie, una nuova costruzione deve essere tenuta a una distanza non minore di tre metri dalla finestra (veduta) del vicino, a meno che i due edifici non siano costruiti in aderenza.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti compiuta dal giudice (es. se due edifici sono adiacenti o aderenti)?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che l’accertamento e la valutazione dei fatti, come la qualificazione della posizione reciproca di due immobili, sono di esclusiva competenza dei giudici di merito. Il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per ottenere una nuova valutazione delle prove o una diversa ricostruzione della vicenda.

Cosa si intende per ‘doppia conforme’ e quali sono le sue conseguenze?
Il principio della ‘doppia conforme’, previsto dall’art. 348-ter c.p.c., si applica quando la sentenza di appello conferma la decisione di primo grado basandosi sulle stesse ragioni di fatto. In questo caso, il ricorso in Cassazione per vizio di motivazione (art. 360, n. 5, c.p.c.) è dichiarato inammissibile, impedendo di fatto un ulteriore esame del merito della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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